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Benvenuti in queste pagine dedicate a scienza, storia ed arte. Amelia Carolina Sparavigna, Torino

Saturday, July 28, 2018

Clades Lolliana (Latin)

Da un libro che esalta Arminio (vedi https://stretchingtheboundaries.blogspot.com/2018/07/hermann.html)
Attenzione a come è  definito Arminio, il Liberator Germaniae.


ARMINIVS CHERUSCORUM DUX AC DECUS LIBERATOR GERMANIAE.
EX COLLECTIS VETERUM LOCIS composuit I. F. MASSMANN . - professor, ordin. publ. in universit. monacensi. Hans F. Massmann
1839

CLADES LOLLIANA.
Agrippam anno 19. ante Chr. n. in Hispaniam profectum 9) in Germania legatus M. Lollius secutus est, homo in omni pecuniae quam recte faciendi cupidior et inter summam vitiorum dissimulationem vitiosissimus. 10) Insidiis Romanorum Germani cisrhenani in arma versi ac circumventi sub M. Lollio legato graviter vexati erant 11). qua propter Siggambri Usipetes Tencterique 12), qui primum quosdam in suo territorio deprehensos Romanorum in crucem egerant, deinde Rheno transmisso ex Germania (romana) Gallia que praedas egerant. equitatum Romanorum contra se missum iterum per insidias civcumvenerunt et a fugientibus usque ad Lollium praefectum praeter opinionem secum pertracti hunc quoque vicerunt 1). amissaque est legionis quintae aquila 2). Post quae in suam terram regressi 3). Quae clades Lolliana 4) vocavit ab urbe in Gallias Caesarem Octavianum 5); sed majoris infamiae quam detrimenti, dum posterior Variana pene exitiabilis 6). Sed unitas semper clades nominant scriptores Lollianas Varianasque 7).

9) Dio Cass. LIV, 11. - 10) Vellej. Paterc. II, 97. - 11) Julius Obsequens de prodigiis 131. et Eusebius ad Olymp. 190: Germanous  katestrepsato Lollios Markos veoterisantas.  Quae Lipsius, Schefferus alii verti voluerunt "Germanorum Romani, quasi ex Dione imperitus quispiam historiae reverentia nominis romani vocabula haec inter se fortasse permutaverit". Cf. Ledebur de Bructeris pg. 19. et Luden Hist. Germ. I, 638, 22. - 12) Cf. et Propert. IV, 6, 75; Horatii Od. IV, 14.
1) Dio Cass. LIV, 20. - 2) Vellejus II, 97. - 3) Dio LIV, 20. - 4) Sueton. Octav. 23. - 5) Vellej. II, 97. - 6) Sueton. Octav. 23. - 7) Tacit. A. I, 10. Sueton. Octav. 23: Graves ignominias cladesque duas omnino nec alibi quam in Germania accepit Lollianam et Varianam.

Clades Lolliana

Sto facendo una ricerca su vittorie e sconfitte dei Romani.
Sulle Clades Lolliana, vi giro l'articolo di de.wikipedia 

Als Clades Lolliana (Niederlage des Lollius) wird ein Gefecht zwischen römischen Truppen und den germanischen Stämmen der Sugambrer, Tenkterer und Usipeter bezeichnet, das 17 oder 16 v. Chr. stattfand und mit einer römischen Niederlage endete.
Nach einem erneuten Einfall der drei germanischen Stämme in das linksrheinische Gebiet, das zur römischen Provinz Gallien gehörte, zog der dortige Statthalter Marcus Lollius diesen entgegen. Jedoch siegten die germanischen Stämme über Lollius und waren sogar in der Lage, den Adler der 5. Legion zu erbeuten. Dieser Verlust bedeutete einen hohen Prestigeverlust für den Kaiser Augustus, der die Bedeutung des Legionsadlers in der römischen Öffentlichkeit gerade herausgestellt hatte, um das Ende des Konfliktes mit den Parthern, die drei erbeutete Legionsadler an das römische Reich zurückgegeben hatten, in besserem Licht darzustellen. Augustus brach noch im Jahr 16 v. Chr. nach Gallien auf, wo er drei Jahre blieb. Die Lollius-Niederlage wird oft als auslösender Faktor für seinen mit den Drusus-Feldzügen (12 bis 8 v. Chr.) beginnenden Versuch gesehen, Germanien zu erobern.
Die Niederlage wird von zahlreichen antiken Schriftstellern erwähnt. Die ausführlichsten Schilderungen finden sich bei Velleius Paterculus und Cassius Dio. Tacitus und Sueton stellen die Niederlage des Lollius mit der des Varus 9 n. Chr. zusammen. Weitere Erwähnungen gibt es bei Iulius Obsequens, dem griechischen Epigrammatiker Krinagoras und eventuell Properz. Wie schwer die römische Niederlage tatsächlich ausgefallen ist, lässt sich dennoch kaum erkennen. Laut Cassius Dio (und einer Andeutung bei Horaz) schlossen die Germanen Frieden, sobald sie von der bevorstehenden Ankunft des Augustus hörten, doch wird nicht erwähnt, ob es dabei auch zur Rückgabe des Adlers kam.

The Clades Lolliana (defeat of Lollius) is a battle between the Roman troops and the Germanic tribes of Sugambri, Tencteri and Usipetes (17 or 16 BC). It ended in a Roman defeat.
After a renewed invasion of the three Germanic tribes of the left bank of the Rhine, which belonged to the Roman province of Gaul, the governor Marcus Lollius moved against them. However, the Germanic tribes triumphed over Lollius and were even able to capture the eagle of the 5th Legion. This loss meant a great loss for the prestige of Emperor Augustus, who had just exposed the importance of the eagle of a legion to the Roman people to highlight the end of the conflict with the Parthians, returning the eagles of three legions  to the Roman Empire. In 16 BC, Augustus went to Gaul, where he stayed for three years. The Lollius defeat is often seen as the triggering factor for his attempt to conquer Germania,  at the beginning with the Drusus campaigns (12-8 BC).
The defeat is mentioned by numerous ancient writers. The most detailed descriptions can be found in Velleius Paterculus and Cassius Dio. Tacitus and Suetonius compare the defeat of Lollius to that of Varus in 9 AD [that of the Teutoburg forest]. Further mentions can be found in Iulius Obsequens, the Greek epigrammatist Krinagoras and possibly Properz. How serious the Roman defeat was is still to investigate, and it can be difficult to determine. According to Cassius Dio (as hinted by Horace), the Teutons made peace as soon as they heard of the imminent arrival of Augustus, but no mention is made of whether or not the eagle was returned.



Riferimenti sulla Clades Lolliana

Reinhard Wolters: Römische Eroberung und Herrschaftsorganisation in Gallien und Germanien. Brockmeyer, Bochum 1990, ISBN 3-88339-803-9, S. 140 f. und 149–157 (Bochumer historische Studien, Alte Geschichte, 8).
Reinhard Wolters: Die Römer in Germanien 4., aktualisierte Auflage. Beck, München 2001, ISBN 3-406-44736-8.
Weblinks
Zur Clades Lolliana und ihren Folgen auf der privaten Webseite des Archäologen Jürgen Franssen


Riflessione su Plutarco

Dall'enciclopedia Treccani
http://www.treccani.it/enciclopedia/plutarco/

Plutarco (Cheronea, Beozia, 50 d. C. - ivi dopo il 120) studiò ad Atene presso il platonico Ammonio, e dopo alcuni viaggi tornò nella sua città, donde però si allontanò ripetutamente per incarichi politici. Fu più volte a Roma, dove ebbe amici illustri tra cui Gaio Minucio Fundano e Aruleno Rustico. Fu arconte in Cheronea, poi sacerdote del tempio di Delfi (dal 95 alla morte). 
La posizione filosofica di Plutarco è una espressione tipica della cultura della tarda età ellenistico-romana, nella quale in un comune e spesso generico sfondo platonico rifluiscono suggestioni e influenze di varia origine, così filosofica (aristotelismo, stoicismo, neopitagorismo) come religiosa (in particolare religioni misteriche orientaleggianti). In campo etico, Plutarco seguendo le concezioni aristoteliche, distingue nell'anima tre aspetti e pone il canone della condotta nella medietà delle passioni dominate e controllate dalla parte razionale. Da ciò deriva la tranquillità spirituale (εὐϑυμία) elevata a virtù suprema. Lo stesso principio deve ispirare anche la politica che è, per Plutarco, l'arte di placare le folle e di conservare la pace. Perciò egli accetta il dominio romano, in cui vede adempiute le esigenze di una politica di pace. Da tale atteggiamento politico verso Roma è guidata la costruzione delle Vite parallele scritte per dimostrare le analogie, ma anche le differenze, fra gli eroi greci e romani. Oltre a 4 biografie isolate (quelle di Artaserse II, Arato di Sicione, Galba, Otone) sono esaminate le vite di 22 coppie di personaggi, uno greco e uno romano (Teseo e Romolo, Licurgo e Numa, ecc.), di cui all'inizio, nel Proemio, sono messe in luce le affinità, e alla fine, nel paragone (σύγκρισις) le differenze. La tradizione dei rapporti fra Greci e Romani era già nelle Imagines di Varrone e nelle Vitae di Cornelio Nepote; ma la novità di Plutarco consiste nell'accentuare nel confronto l'esistenza di due mondi, due culture, due civiltà che si integrano reciprocamente nell'Impero Romano. Bisogna però osservare che, se in generale l'atteggiamento di Plutarco è imparziale, egli era un greco giustamente impegnato a recuperare e far rivivere la passata grandezza della Grecia. Il tratto caratteristico delle Vite è l'indagine dell'intera storia di Roma e della Grecia attraverso l'ethos dei personaggi, che sono sì protagonisti di grandi imprese, ma si impongono alla nostra attenzione anche per particolari di minor rilievo e per aspetti poco conosciuti della loro personalità e umanità. Se la cronologia delle Vite è oscura, le fonti invece sono, in generale, più riconoscibili: per le vite romane Plutarco attinge quasi sempre direttamente agli storici o comunque a fonti di prima mano (Dionisio di Alicarnasso, Sallustio, Livio, Polibio, ecc.); le fonti delle vite greche sono in generale ancora biografie, anche se per lo più incerte, ma possiamo riconoscere Ermippo (per Solone), Filarco (per Agide e Cleomene) e poi Erodoto, Tucidide, Senofonte, Ctesia, Teopompo.  

Clades Variana (Teutoburgo): la strage finale

Il terzo giorno fu l'ultimo ed il più tragico per l'armata romana, ormai decimata dalla furiosa lotta dei giorni precedenti. La pioggia ed il vento si erano scatenati nuovamente, impedendo ai soldati romani di muoversi o di poter costruire un campo entro cui difendersi. La pioggia era talmente copiosa che avevano difficoltà ad usare le armi, che l'acqua rendeva scivolose.
I Germani pativano di meno. Il loro armamento era più leggero ed avevano la possibilità di attaccare e di ritirarsi velocemente nella vicina foresta. L'eco della battaglia aveva dato morale alle vicine tribù barbare che, fiduciose per l'esito finale della battaglia, avevano inviato nuovi rinforzi, infoltendo il già cospicuo numero di armati germani. I soldati romani, sempre più decimati e ormai ridotti allo stremo, erano ovunque circondati e colpiti da ogni parte. Era arrivata la fine. 
Varo e gli alti ufficiali, nel timore di essere catturati vivi o di morire per mano dei Germani compirono un suicidio collettivo.  Non appena si diffuse la notizia della morte di Varo, molti soldati romani smisero di combattere preferendo uccidersi o fuggire piuttosto che venire catturati. I resti dell'esercito romano erano ora allo sbando. Celio, caduto prigioniero, afferrò le catene che lo tenevano legato e si colpì  sulla testa con tale violenza da morire velocemente.
I Germani sfogavano la loro crudeltà sui prigionieri romani. Non ci fu mai nulla di più cruento di quel massacro fra paludi e foreste. Ad alcuni soldati romani strapparono gli occhi, ad altri tagliarono le mani, di uno fu cucita la bocca dopo avergli tagliato la lingua. Gran parte dei superstiti vennero sacrificati alle divinità germaniche. Qualcuno venne liberato, o scambiato con prigionieri germanici o dopo riscatto.
Durante la spedizione del 15, sei anni dopo la disfatta, Germanico si fece condurre sul campo della battaglia di Teutoburgo dai pochissimi superstiti, gli unici che fossero in grado di indicare il luogo. Voleva dare degna sepoltura ai resti dei soldati morti sei anni prima. E vide lo scempio del massacro.
Giunto sul luogo della battaglia, Germanico vide  biancheggiare le ossa dei romani, ammucchiate e disperse. Sparsi intorno, sui tronchi degli alberi erano conficcati teschi umani. Nei vicini boschi sacri si vedevano altari su cui i Germani avevano sacrificato i tribuni ed i principali centurioni. 

Clades Variana (Teutoburgo)

Adattato da Wikipedia
Il sito della battaglia fu suggerito già agli inizi del Settecento da  Zacharias Goeze, teologo e filosofo tedesco, appassionato di numismatica, il quale aveva saputo di alcune monete romane rinvenute in località Kalkriese, a 135 km a Nord-est del confine romano del Reno. Lo storico Theodor Mommsen nel 1885 era convinto che questa fosse la località della famosa battaglia, in base al numero di monete reperite sul sito; ma si è dovuto attendere il 1987 per averne conferma definitiva.



Maschera da parata in ferro ricoperta d'argento appartenuta ad un cavaliere romano, rinvenuta sul luogo della battaglia.

Il materiale archeologico trovato sull'area della battaglia (su una superficie complessiva di 5 per 6 km), era di oltre 4 000 oggetti di epoca romana:
3100 pezzi militari come parti di spade, pugnali, punte di lance e frecce, proiettili utilizzati dalle fionde delle truppe ausiliarie romane, dardi per catapulte, parti di elmi, parti di scudi, una maschera da parata in ferro ricoperta d'argento, chiodi di ferro delle calzature dei legionari, piccozze, falcetti, vestiario, bardature di cavalli e muli, strumenti chirurgici;
un limitato numero di oggetti femminili come forcine, spille e fermagli a testimonianza della presenza di donne tra le file dell'esercito romano in marcia;
1200 monete, coniate tutte prima del 14 d.C.;
numerosi frammenti ossei di uomini ed animali (muli e cavalli);
ed un terrapieno lungo 600 metri e largo 4,5 metri, che si estendeva alla base della colline di Kalkriese in direzione est-ovest, dove i Germani si appostarono aspettando le legioni, dal quale sferrarono il primo attacco, nel punto più stretto tra la collina e la Grande palude (ora ridotta ad una depressione).

L'ultima campagna di scavo (estate 2016) ha riportato inoltre alla luce altri reperti tra cui otto rare monete d’oro con l’effigie di Augusto sul recto e, sul verso, i ritratti dei due nipoti Gaio e Lucio Cesare, designati suoi successori. I due sono raffigurati con scudo, lancia e lituo. Poiché il primo morì nel 4 d.C. e il secondo nel 2 d.C., le monete risalgono a pochi anni prima della battaglia ed appartenevano con molta probabilità a un ufficiale dell’esercito che le avrebbe smarrite o sotterrate (sono state trovate a pochissima distanza l’una dall’altra) nell’imminenza dei combattimenti. Si tratta di una somma notevole: all’epoca con un solo aureo si poteva mantenere un’intera famiglia, a Roma, per un mese, quindi la somma equivaleva al sostentamento per circa un anno.

Gli imperatori romani che si susseguirono nei secoli decisero di non battezzare più altre legioni con il nome delle tre annientate a Teutoburgo (XVII, XVIII e XIX), forse anche per via delle insegne perdute che furono in seguito recuperate. Perdere le insegne era onta incancellabile per la mentalità e la tradizione militare romana.

Hermann contro Roma

Parliamo di Arminio (il titolo del post è però Hermann, e capirete il perché).
Mi servo a piene mani di Wikipedia,  https://it.wikipedia.org/wiki/Arminio

Arminio (in latino: Gaius Iulius Arminius; tedesco: Hermann o Armin; Weser, 18 a.C. – Germania Magna, 19) fu un principe e condottiero della popolazione dei Germani Cherusci, ex prefetto di una coorte cherusca dell'esercito romano. Arminio sconfisse l'esercito romano nella battaglia della foresta di Teutoburgo, quando a capo di una coalizione di tribù germaniche annientò, con l'inganno e il tradimento, tre intere legioni comandate da Publio Quintilio Varo. Voleva difendere la libertà dei Germani, minacciata da Roma all'apice della sua potenza.

Il nome di Arminio è una variante latinizzata di  germanico Irmin, "grande". Il nome Hermann (cioè "uomo dell'esercito" o "guerriero") fu utilizzato nel mondo germanico come equivalente di Arminio al tempo della Riforma protestante di Martin Lutero, che voleva farne un simbolo della lotta dei popoli germanici contro Roma.

Arminio servì nell'esercito romano, prima probabilmente sotto Tiberio in Germania durante la campagna del 5, più tardi, secondo le fonti storiografiche latine, trasferito in Pannonia, come luogotenente di reparti di cavalleria, collaborò alle operazioni militari dei Romani, durante i primi due anni della rivolta dalmato pannonica, guidando un contingente di truppe ausiliarie cherusce.

Ottenuta anche la cittadinanza romana, Arminio tornò nella Germania settentrionale, dove i Romani avevano conquistato i territori compresi tra il fiume Reno ed Elba, posti sotto l'allora governatore provinciale romano, Publio Quintilio Varo. Arminio iniziò subito a complottare e a unire sotto la sua guida diverse tribù di Germani per impedire ai romani di realizzare i loro progetti. Mentre complottava Arminio mantenne il suo incarico di ufficiale della Legione e da cittadino romano mantenne la piena fiducia di Varo, che affidò completamente ai suggerimenti di Arminio la campagna militare che stava seguendo, ignorando le accuse di tradimento formulate nei suoi confronti dai romani e promuovendolo a suo consigliere militare.

Nel 9, a capo di una coalizione formata da Cherusci, Marsi, Catti e Bructeri, il venticinquenne Arminio annientò l'esercito di Varo (circa 20.000 uomini) nella battaglia di Teutoburgo nei pressi della collina di Kalkriese, circa 20 chilometri a nord-est di Osnabrück. Praticamente Arminio attirò le tre legioni romane, mediante falsi informatori, nella trappola che egli stesso aveva preparato. Ed infatti nella battaglia di Teutoburgo i legionari romani non furono neppure schierati in assetto di combattimento ma, contro tutte le regole romane, furono fatti proseguire dentro un territorio ostile in semplice assetto di marcia ed affardellati. La maggior parte fu uccisa senza potersi difendere, i germani si lasciarono andare ad atrocità, e le testimonianze dei pochi sopravvissuti parlano di torture e mutilazioni perpetrate sui legionari catturati. Varo si suicidò.

Negli anni 14-16 le forze romane, guidate da Germanico, penetrarono profondamente in Germania, devastandone i territori ed infliggendo una pesante sconfitta ad Arminio e alle sue tribù alleate. Nel 16 Germanico, infatti, nel corso del suo ultimo anno di campagne, riuscì a battere pesantemente Arminio nel corso di due battaglie presso il fiume Weser. Il capo cherusco, ormai battuto pesantemente, probabilmente disperò sul futuro della sua Germania libera, ma Germanico era richiamato al termine di quest'anno dal padre adottivo, l'imperatore Tiberio, che ritenne opportuno rinunciare a nuovi piani di conquista dei territori dei Germani, fissando sul Reno il confine tra l'Impero e i barbari.

Durante le operazioni di questi due anni di guerra, i romani recuperarono le insegne militari di due delle tre legioni che erano state massacrate a Teutoburgo. La terza insegna fu recuperata in seguito, al tempo dell'imperatore Claudio, fratello di Germanico.

Una volta che i Romani si ritirarono, scoppiò la guerra tra Arminio e Maroboduo, l'altro potente capo germanico dell'epoca, re dei Marcomanni (che erano stanziati nell'odierna Boemia). Le due coalizioni si scontrarono in una battaglia campale, dove Arminio riuscì a battere le truppe alleate del re rivale marcomanno, il quale fu costretto a rifugiarsi a Ravenna, chiedendo asilo politico allo stesso imperatore romano Tiberio. L'anno successivo, nel 19, Arminio fu assassinato dai suoi sudditi, che temevano il suo crescente potere:

« Apprendo dagli storici e dai senatori contemporanei agli eventi che in Senato fu letta una lettera di Adgandestrio, capo dei Catti, con la quale prometteva la morte di Arminio se gli fosse stato inviato un veleno adatto all'assassinio. Gli fu risposto che il popolo romano si vendicava dei suoi nemici non con la frode o con trame occulte, ma apertamente e con le armi […] del resto Arminio, aspirando al regno mentre i Romani si stavano ritirando a seguito della cacciata di Maroboduo, ebbe a suo sfavore l'amore per la libertà del suo popolo, e assalito con le armi mentre combatteva con esito incerto, cadde tradito dai suoi collaboratori. Indubbiamente fu il liberatore della Germania, uno che ingaggiò guerra non al popolo romano ai suoi inizi, come altri re e comandanti, ma ad un Impero nel suo massimo splendore. Ebbe fortuna alterna in battaglia, ma non fu vinto in guerra. Visse trentasette anni e per dodici fu potente. Anche ora è cantato nelle saghe dei barbari, ignorato nelle storie dei Greci che ammirano solo le proprie imprese, da noi Romani non è celebrato ancora come si dovrebbe, noi che mentre esaltiamo l'antichità non badiamo ai fatti recenti. » (Tacito, Annales II, 88)

Ecco che cosa ci dice Wikipedia su Arminio nella cultura di massa

La figura di Arminio e le sue gesta furono riprese e celebrate dai movimenti nazionalisti tedeschi, Nazionalsocialismo compreso. 

Nella zona dove si svolse la battaglia della foresta di Teutoburgo sorge oggi un monumento ad Arminio chiamato Hermannsdenkmal; questo monumento sorge puntato verso la Francia, avversaria in quegli anni dell'Impero tedesco.

Il nome maschile Hermann (equivalente di Arminio, appunto) risulta oggi molto diffuso in Germania.

Ariovisto ed il diritto di guerra

Nel post https://stretchingtheboundaries.blogspot.com/2018/07/i-germani-e-i-loro-schiavi.html
abbiamo cercato di conoscere, in certa misura, come fosse il mondo dei popoli Germanici. Ed alla fine, ci siam resi conto che Giulio Cesare e i Germani potevano intendersi abbastanza bene. In effetti, Cesare arruolava dei Germani nel suo esercito.

Vediamo adesso come era uno dei loro condottieri. Ariovisto.
Ariovisto era principe e condottiero della popolazione dei Germani Cherusci, ex prefetto di una coorte cherusca dell'esercito romano. Ariovisto è stato un condottiero suebo. Fu a capo di una coalizione di popoli germanici che invase la Gallia nel I secolo a.C. e che fu sconfitta da Gaio Giulio Cesare nel 58 a.C. ai piedi dei Vosgi. La guerra scoppiò non appena questi oltrepassò con il suo esercito il Reno accorrendo in aiuto dei popoli gallici degli Arverni e dei Sequani che combattevano gli Edui. I quali, però, con il titolo di fratelli e consanguinei del popolo romano, erano a quest'ultimo alleati.

https://it.wikipedia.org/wiki/Ariovisto

"Di fronte a questo quadro descrittogli dall'eduo Diviziaco, nel 58 a.C. Cesare decise di agire. Come prima cosa mandò ambasciatori ad Ariovisto e chiese con lui un incontro. La risposta del germano, secondo quanto racconta Cesare, fu sprezzante:
« Agli ambasciatori Ariovisto così rispose: se gli serviva qualcosa da Cesare, si sarebbe recato di persona da lui; ma se era Cesare a volere qualcosa, toccava a lui andare da Ariovisto. [...] Del resto, si domandava con meraviglia che cosa Cesare o, in generale, il popolo romano avessero a che fare nella sua parte di Gallia, da lui vinta in guerra. » (Cesare, Bell. gall., I, 34,2-4.)
Di fronte a questa risposta, Cesare inviò un'altra ambasceria con la quale, redarguendolo per la sua arroganza, nonostante avesse ricevuto da Cesare e da Roma il riconoscimento del titolo di re e di quello di amico, gli pose un ultimatum: non portare altri Germani sulla sponda gallica del Reno, restituire gli ostaggi e di non recare nessun'altra offesa agli Edui e ai loro alleati. Se non avesse fatto ciò, il proconsole avrebbe agito di conseguenza.
A questo diktat Ariovisto rispose con toni ancora più accesi:
« [...] il diritto di guerra permetteva ai vincitori di dominare i vinti a proprio piacimento; allo stesso modo il popolo romano era abituato a governare i vinti non secondo le imposizioni altrui, ma a proprio arbitrio. Se Ariovisto non dava ordini ai Romani su come esercitare il loro diritto, non c'era ragione che i Romani ponessero ostacoli a lui, quando applicava il suo. Gli Edui avevano tentato la sorte in guerra, avevano combattuto ed erano usciti sconfitti; perciò, li aveva resi suoi tributari. Era Cesare a fargli un grave torto, perché con il suo arrivo erano diminuiti i versamenti dei popoli sottomessi. Non avrebbe restituito gli ostaggi agli Edui, ma neppure avrebbe mosso guerra a essi, né ai loro alleati, se rispettavano gli obblighi assunti, pagando ogni anno i tributi. In caso contrario, poco sarebbe servito loro il titolo di fratelli del popolo romano. Se Cesare lo aveva avvertito che non avrebbe lasciato impunite le offese inferte agli Edui, gli rispondeva che nessuno aveva combattuto contro Ariovisto senza subire una disfatta. Attaccasse pure quando voleva: si sarebbe reso conto del valore degli invitti Germani [...] » (Cesare, Bell. gall..)

Cesare si mosse con l'esercito contro le forze germaniche. Dopo diverse manovre, prima dello scontro finale i due si incontrarono a colloquio nei pressi di Vesontio (odierna Besançon), scortati ciascuno dalle rispettive cavallerie (per Cesare era la X legione montata a cavallo). Cesare esordì ricordando ad Ariovisto i benefici che aveva ottenuto dai romani per la loro liberalità e sottolineando l'antica e profonda amicizia che legava Roma agli Edui. Per questa ragione, Roma non poteva permettere che costoro subissero un qualche danno e fossero privati di quanto avevano. Rinnovò quindi ad Ariovisto le precedenti richieste. A questo punto il suebo rispose che lui si era recato in Gallia su richiesta dei galli, che erano stati i galli a dargli le terre che lui possedeva e che erano stati loro ad attaccarlo e non viceversa. Sottolineò anche che il tributo gli era dovuto e che se continuava a far giungere germani era per proteggersi. Ariovisto disse anche che se il titolo di amico del popolo romano doveva nuocergli, lui era pronto a ricusarlo. Il suebo chiese anche a Cesare perché Roma si intrometteva in un'area che non era di sua competenza, ma che invece era sua. Se dunque il proconsole non se ne fosse andato, Ariovisto l'avrebbe considerato un suo nemico. Cesare replicò sottolineando di nuovo il legame esistente tra Roma e gli Edui e che le vicende della Gallia erano quindi affare che lo riguardava. Mentre tra i due si svolgeva questo colloquio, la cavalleria germanica, secondo Cesare, attaccò quella romana. Cesare interruppe dunque l'incontro. Due giorni dopo, Ariovisto chiese un nuovo incontro a Cesare, che però inviò due suoi rappresentanti. Il suebo si adirò, li accusò di volerlo spiare e li fece gettare in catene.
Alla fine i due eserciti si scontarono ai piedi dei Vosgi (Battaglia in Alsazia), dove l'armata di Ariovisto fu rovinosamente sconfitta: morirono a migliaia e lo stesso Ariovisto si salvò a stento, riuscendo poi a guadare il Reno.

Jérôme Carcopino ha scritto:
« Respingendo gli svevi al di là del Reno, la barriera naturale che per tre secoli avrebbe arrestato il flusso della barbarie, tale vittoria salvava la Gallia dall'invasione dell'impero germanico, ma contemporaneamente e in modo evidente attribuiva a Roma, che aveva ingaggiato e vinto la battaglia con i soli legionari, il diritto di governare sovranamente i popoli che, grazie all'intervento degli Edui, si erano affidati alla sua protezione. Cesare si astenne dal proclamare pubblicamente un tale diritto, ma non lasciò neppure che restasse ignorato »

Slaves, that is, the spoils of war

SCLAVUS (slave)
Medieval Latin, from Late Latin Sclavus, from Byzantine Greek Σκλάβος (Sklábos), probably from the Greek verb σκυλάω (skuláō), a variant of σκυλεύω (skuleúō, “to get the spoils of war”). [F. Kluge, Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache. 2002, siehe «Sklave».]
The origin of σκλάβος has been disputed historically. Modern etymologists accept that it refers to the spoils of war, as it makes sense morphologically, but there is an obsolete theory that the word comes from plural Σλαβῆνοι (Slabênoi), from Proto-Slavic *slověne (plural; the singular form Proto-Slavic *slověninъ is derived from it), although this theory requires unexplained and unattested phonetic irregularities. It is argued that that the originally the term referred to Slavs (Old Slavonic словѣнинъ, словѣне), who were often enslaved during the early Middle Ages, and that the originally ethnic term came to have a more general social meaning, possibly around the 9th or 10th century when it appeared in German texts - but nowadays it is commonly regarded that it was only old German propaganda pseudo-etymology.

I popoli Germanici e gli schiavi

Dato che si parla sempre e solo della schiavitù nel mondo romano, come se solo i Romani avessero servi di proprietà dei padroni, vediamo come stavano le cose tra i popoli germanici. E, nel mentre, vediamo di conoscerli un po' meglio.

http://www.treccani.it/enciclopedia/popoli-germanici_%28Enciclopedia-Italiana%29/
di Plinio FRACCARO - Giuseppe CIARDI-DUPRE' - Arrigo SOLMI - Bruno Vignola - Enciclopedia Italiana (1932)


GERMANICI, POPOLI. - Sotto la denominazione di Germani si comprendono tutte quelle numerose e varie popolazioni appartenenti alla famiglia etnica indoeuropea e da questa staccatesi in epoca remotissima, e forse già al principio dell'età del bronzo, come una massa omogenea con distinta personalità antropologica e linguistica, che poi a poco a poco si accrebbe e si suddivise in una serie di ramificazioni particolari, le quali, all'inizio dell'era cristiana, si trovavano fissate nelle regioni settentrionali d'Europa dal Reno ad oltre la Vistola e, verso mezzogiorno, fino al corso del Danubio.
 ... Ad onta della comunanza dell'origine le diverse famiglie germaniche non ebbero in antico unità nazionale e neppure possedettero un nome che le designasse come complesso etnico. Il nome di Germani fu loro dato dai Romani, presso i quali esso diventò comune al tempo di Cesare, che lo udì nelle Gallie, e al quale venne data diffusione ufficiale con la creazione della provincia della Germania e con l'estensione del medesimo nome a tutti gli abitanti della Germania libera. Il vocabolo si trova per la prima volta nei Fasti Capitolini all'anno 222 a. C., ma fu osservato con fondamento ch'esso può essere un'interpolazione posteriore. ,,, Comunque sia, pare certo quanto a tal proposito racconta Tacito, che, cioè, col nome di Germani fu dapprincipio chiamata nelle Gallie qualche tribù passata per prima sulla sinistra del Reno, e il nome fu poi esteso a tutti gli altri abitanti della Germania. ... ll vocabolo Germani non fu tuttavia mai popolare fra le nazioni così designate e sparì inoltre dall'uso corrente assai per tempo, finché la lingua dotta non se ne impadronì adoperandolo nell'attuale largo significato generico. La parola deutsch, che deriva dal sostantivo antico tedesco diota "popolo", da cui l'aggettivo diutisc, latinizzato theodiscus, significava dapprima la lingua del popolo, cioè il "volgare", in contrapposto al latino, adoperato dalle classi dirigenti, e fu in seguito usata a indicare il popolo che la parlava; essa diventò generale dopo il decimo secolo.
... (I Germani] Parlavano una lingua indoeuropea occidentale di tipo kentum, strettamente affine al celtico e all'italico, differenziatasi dal linguaggio comune in seguito a un fenomeno particolare di mutazione consonantica, detto rotazione dei suoni o Lautverschiebung. Il fenomeno si è ripetuto più tardi, verso il sec. VI dell'era volgare, dando origine, in seno alle lingue germaniche, e precisamente a quelle del ramo occidentale, all'alto tedesco di fronte al basso.
I Germani non conobbero la scrittura e non ebbero un alfabeto prima dei loro contatti coi Romani, dai quali presero tutti gli elementi della civiltà; così dalle lettere capitali dei primi tempi dell'impero, ch'essi conobbero forse col tramite dei Celti, trassero un alfabeto detto runico (v. rune) del quale si servirono dapprima negli atti della magia, e poi per iscrizioni sopra armi, gioielli o lapidi sepolcrali. L'uso della scrittura a vero scopo letterario comincia però soltanto con la conversione al cristianesimo, la quale si compì presso talune famiglie, come i Visigoti, già fin dal sec. III, e molto più tardi, nel sec. XII, presso gli Scandinavi. Perciò appunto al cristianesimo quasi tutti i popoli germanici dovettero fare il sacrificio della loro primitiva leggenda divina e della loro saga eroica: i concetti etici che formano la struttura morale di quest'ultima sono il solo avanzo, nel campo dell'arte, dell'antica vita spirituale pagana.
... Le tribù germaniche migravano facilmente, si scomponevano e ricomponevano assumendo nomi nuovi, o scomparivano in lotte fra loro: perciò l'etnografia della Germania variò nelle varie epoche. Queste migrazioni non erano totali, e le tribù muovendosi lasciavano parte dei loro membri nell'antica sede; e oggi non si ammette più che il nord-est della Germania sia rimasto deserto in seguito alle migrazioni.
I Suebi, potente confederazione di tribù, cominciarono all'inizio del sec. I a. C. a lasciare le loro sedi a oriente dell'Elba, ove rimase la tribù sueba dei Semnoni, e occuparono la regione fra l'Elba, il Meno e la Selva Ercinia. I Marcomanni (uomini della marca) erano Suebi che, valicato il Meno, avevano preso possesso del paese fra il Reno e il Danubio superiore, sgombrato dagli Elvezî, che divenne così una marca di confine sueba. Fra il 9 e il 2 a. C. essi, guidati dal re Maroboduo, passarono nella Boemia, sgombrata dai Galli Boi, e vi fondarono un potente regno, che, dopo aver dominato su molte delle circostanti tribù germaniche, si sfasciò presto in seguito alle lotte coi Cherusci. La grande invasione del 166 d. C. li rese di nuovo famosi; una parte furono stanziati dai Romani in Pannonia, gli altri passarono, pare nel sec. VI, nella Baviera (Baivarii "abitanti di Baia, la Boemia"). Loro alleati contro i Romani erano i Quadi, d'origine suebica, che avevano strappato la Moravia ai Volcae Tectosages, stirpe gallica con la quale i Germani devono essere venuti a contatto molto per tempo, poiché ne estesero il nome (Welschen) a tutti i Galli e poi a tutti i popoli romanizzati. Ad est dei Quadi stavano tribù minori dei Bastarni (Sidones, Buri) e nella guerra marcomannica comparvero varie tribù vandaliche (Victovali, Asdingi, Lacringi). L'avanzata dei Suebi spinse oltre il Reno gli Usipeti e i Tencteri, che, sconfitti nel 55 da Cesare in Gallia, ripassarono il fiume e si unirono ai Sugambri, che si erano affacciati al Reno a sud della Ruhr, seguiti dai Marsi e dai Gambrivii. A nord del Meno inferiore stavano gli Ubii, vinti da Cesare e trasportati nel 38 a. C. da Agrippa sulla sinistra del Reno, ove Colonia Agrippina fu in seguito la loro città. Fra l'Elba, il Weser superiore e il Harz abitavano al tempo di Cesare i Cherusci, il popolo di Arminio, presto decaduti, e più a occidente i Bructeri, il cui territorio fu poi in gran parte occupato a ovest dai Chamavi e ad est dagli Angrivarii, che stavano prima sul medio Weser. Sulla costa fra l'Elba e l'Ems stavano i potenti Chauci, gli Amsivarii e, un po' più all'interno, i Chasuarii; più ad ovest i Frisii (che alla fine dell'antichità riappaiono estesi dalla Schelda allo Schleswig e furono poi incorporati nel regno dei Franchi), e nelle isole del Reno i Canninefati.
Fra Mosa e Reno stavano, già al tempo di Cesare, i Batavi, al pari dei Mattiaci (sul Reno di fronte a Magonza) ritenuti tribù dei potenti Chatti. Questi, ignoti ancora a Cesare, dall'Assia si estesero sino al Reno nel paese sgombrato dagli Ubî; essi non sono più ricordati dopo il 200 d. C. e al loro posto compaiono nel sec. VI gli Hassii. Un ramo dei Chatti erano i Chattuarii, posti prima fra i Cherusci e i Bructeri, e passati poi, sembra, sul Reno inferiore. Ad oriente dei Chatti, gli Hermunduri occupavano nel sec. I d. C. la Turingia stendendosi fino all'Elba e a sud fino al Danubio; essi furono sempre in buoni rapporti coi Romani.
.... Già al tempo di Cesare commercianti Romani si recavano presso gli Ubî e gli Svevi. Ma i Germani commerciavano da tempi remoti l'ambra del Baltico ed elementi antichissimi delle civiltà orientali e mediterranee entrarono in Germania seguendo le piste di questo commercio. La navigazione sui fiumi e lungo le coste del Mare del Nord era attiva. I Romani importavano in Germania specialmente prodotti industriali, metalli, droghe, vino, e ne esportavano ambra, pellicce, prodotti agricoli, bestiame e schiavi [ossia questi popoli fornivano ai Romani degli schiavi]. Gli scambi avvenivano più anticamente nella forma del baratto; poi i Germani accettavano anelli di metalli pregiati e infine dalle frontiere cominciarono a diffondersi le monete, prima le celtiche, poi le romane.
Il più antico diritto germanico era basato sulle consuetudini e non abbiamo testi giuridici anteriori al sec. V. I Germani vivevano in famiglie patriarcali, ma nei loro istituti non mancano tracce di un più antico ordinamento matriarcale (p. es. l'avunculato). La famiglia si allarga nella Sippe, la quale è anche, anticamente, gruppo politico e militare, che viene indebolendosi con l'affermarsi dell'organizzazione statale della tribù. Presso i Germani vigeva in genere la monogamia, e solo i personaggi più potenti tenevano parecchie mogli, e di solito per ragioni politiche. Molto più frequente era l'uso di concubine. Il matrimonio avveniva per contratto d'acquisto della moglie, ma rimanevano tracce della più antica forma di matrimonio per ratto. L'adulterio della donna era severamente punito e le vedove, in genere, non si rimaritavano. La donna era tenuta però in alta considerazione, anche per le virtù profetiche che le si attribuivano, e partecipava in pace e in guerra alle sorti del marito. Questi aveva nella casa una posizione sovrana: il riconoscimento dei figli era in suo arbitrio e tutti i beni che comunque pervenivano nella casa erano suoi. L'adozione era praticata. Portavano i Germani nomi individuali significativi, composti di solito di due elementi, uno dei quali spesso si ripete nei nomi d'una stessa famiglia. Prevalgono i nomi ispirati alla guerra, e ricorrono anche nomi semplici, ipocoristici e soprannomi.
La vendetta del sangue era obbligo degli agnati dell'ucciso, ma già al tempo di Tacito essa veniva sostituita dal risarcimento in bestiame pagato ai parenti. I giudizî, che si svolgevano attraverso forme procedurali tradizionali rigidamente osservate, erano regolati dai sacerdoti e dai magistrati. La pena di morte, consisteva nell'impiccagione o nell'annegamento; ma fu sempre più largamente sostituita dalla multa in bestiame.
La società germanica era composta di liberi e di semiliberi e liberti, questi legati in varie forme ed ereditariamente ai loro patroni. V'erano poi schiavi. Le fonti della schiavitù erano varie (guerra, obbligazione, ecc.), e le condizioni dello schiavo, che già ai suoi tempi Tacito trovava sopportabili, andarono migliorando dalla fine delle migrazioni. Dai liberi emergeva la nobiltà, ereditaria, costituita da famiglie famose e ritenute di origine divina. Essa stava spegnendosi al tempo delle migrazioni e venne sostituita dalla nobiltà degli uffici. Gli stranieri stavano sotto la protezione dei loro ospiti, che ne assumevano la tutela giuridica; e l'ospitalità era rigorosamente osservata. Accanto ai legami di parentela, altri, ed efficacissimi, se ne potevano costituire con il patto di fratellanza e poi con l'entrata nel seguito di un capo (Gefolgschaft).
I Germani non raggiunsero mai l'unità politica nazionale. I varî popoli stavano a sé, formando stati di solito piccoli; solo col tempo si costituirono stati più vasti a struttura confederativa più o meno salda e tenuti assieme dall'egemonia di una tribù più potente o dalla signoria personale di un conquistatore. Il territorio dello stato è detto Land, e se lo stato è retto da un re, Riki (Reich), determinato poi dal nome del popolo. Le tribù sono divise in genti e centenae (Hundertschaften), gruppi di famiglie, che hanno il loro territorio (Gau), il loro villaggio (Dorf) e i loro magistrati (thungini) e formano le unità dell'esercito. Il potere sovrano risiede nelle assemblee armate (thing) dei liberi, che eleggevano i magistrati; nell'assemblea venivano solennemente consegnate ai giovani per la prima volta le armi. C'erano poi anche assemblee di anziani. I capi dei popoli, scelti fra la nobiltà, vennero poi assumendo potere e attributi di re; ma al loro apparire nella storia non tutti i Germani erano retti da re. La monarchia era più forte presso i Germani orientali, ma i re avevano funzioni prevalentemente militari e non legislative. L'epoca delle migrazioni, che richiedevano unità e saldezza di comando, rinvigorì la monarchia, e sul suolo romano, a contatto dello stato dispotico, essa divenne infine assoluta ed ereditaria. Accanto ai re le assemblee potevano eleggere anche dei valorosi a duci per la guerra.
All'alba della loro storia, i Germani sono da tempo sedentari e abitano territori definiti, spesso separati da zone neutrali disabitate. Erano però facili a migrare, spinti dal desiderio d'avventure e specialmente dal fatto che la popolazione diveniva presto sovrabbondante.
Abitavano in villaggi di case disposte irregolarmente e isolate nel mezzo dell'orto ricinto, costruite in legname, graticci e creta, con caratteristica cantina sotterranea coperta di fimo contro il freddo, nella quale riponevano anche le vettovaglie. Dai Romani appresero poi l'uso delle pietre e dei mattoni. Essi praticavano largamente l'allevamento di pecore, capre, porci, cavalli, volatili domestici e specialmente dei bovini, che davano a loro gli elementi principali della nutrizione, carne, latte e burro. Amavano la caccia e la pesca. Esercitavano l'agricoltura, che nei tempi più antichi era in buona parte affidata alle donne; usavano un buon tipo di aratro e coltivavano abbastanza bene parecchi cereali. Conoscevano varie specie di ortaggi, ma ebbero dai Romani gli alberi fruttiferi pregiati.
Fino al sec. I d. C. presso la maggior parte dei Germani, a eccezione cioè delle tribù che avevano subito fortemente l'influenza dei Celti e dei Romani, la proprietà del suolo spettava alla comunità, che assegnava la terra arativa in parcelle per uno o più anni alle singole famiglie. Non è possibile attribuire, come alcuni fanno, a tribù in guerra o in migrazione questo sistema esplicitamente attestato da Cesare (Bell. gall., VI, 22) e da Tacito (Germania, 26). La cosa era resa più agevole dal fatto, ben avvertito da Tacito, che alla terra si chiedeva solo il prodotto annuale dei cereali e che era ignota la coltura a giardino legata alla terra. Sotto l'influenza di molti fattori, il ritmo della periodica riassegnazione dei campi venne rallentando e poi cessò ovunque; mentre contemporaneamente la privata proprietà si stabiliva anche sulla terra incolta sottoposta dai singoli all'aratro e si formava dai doni di terre fatti dai re ai singoli, e collettiva rimase solo la proprietà della terra non sottoposta a coltura, riservata all'uso in comune.
Stirpe guerriera, i Germani avevano in grande onore le armi. L'arma nazionale era l'asta da urto (framea) di varia lunghezza; l'uso della spada era invece meno diffuso presso alcune tribù. Ma si adoperavano anche giavellotti da lancio, come l'ango dei Franchi, simile al pilum: l'arco rimase sempre invece un'arma secondaria. Altre armi usate erano la mazza e l'ascia; questa era anzi arma nazionale dei Franchi. L'armamento difensivo era ignoto un tempo ai Germani, che usavano denudarsi per combattere; poi fu adottato generalmente lo scudo, di legno o di vimini, dipinto con varî colori. Alcune tribù erano famose per la loro cavalleria, con la quale combattevano frammischiati fanti leggieri; e i cavalli germanici erano abituati a manovre speciali, e ad attendere abbandonati a sé i loro cavalieri che combattevano a piedi. Ma il nucleo degli eserciti germanici fu sempre costituito dalla fanteria, con la sua ordinanza a cuneo, e formata da gruppi di vicini e di consanguinei. Squilli di corno, canti guerrieri e il famoso barditus o barritus, grido di guerra, stimolavano l'ardore dei combattenti. Il campo veniva protetto con i carri; in seguito i G. appresero anche a costruire valli difensivi. Ma per lungo tempo i Germani non ebbero il concetto del comando della battaglia; i capi davano l'esempio più che dirigere.

Queste sono alcune cose che ci dice l'enciclopedia Treccani.

Ci sono alcune cose che si possono osservare.
Per prima cosa, l'esercito era costituito da soli uomini liberi? Io penso che sia così, esattamente come era nel mondo romano.
Il matrimonio per ratto, mi ricorda il Ratto delle Sabine dei romani.
Presso i Germani, mi sembra che gli schiavi fossero ambite prede di guerra per essere usati nei baratti coi romani. Di cosa si occupavano questi schiavi? allevamento e cura del bestiame e agricoltura, suppongo.
Morale, la società era molto più complessa di quanto ci si potrebbe aspettare. E non era come io mi immaginavo, ingenuamente, ossia fatta di tutti uomini liberi. Gli uomini liberi erano relativamente pochi. Al loro seguito c'era una massa di semiliberi e schiavi. E gli schiavi erano bottino di guerra. Esattamente come tra i popoli più evoluti.

Piracy and slavery

"Piracy and banditry provided a significant and consistent supply of slaves, though the significance of this source varied according to era and region. Pirates and brigands would demand ransom whenever the status of their catch warranted it. Whenever ransom was not paid or not warranted, captives would be sold to a trafficker. In certain areas, piracy was practically a national specialty, described by Thucydides as "the old-fashioned" way of life. Such was the case in Acarnania, Crete, and Aetolia. Outside of Greece, this was also the case with Illyrians, Phoenicians, and Etruscans. During the Hellenistic period, Cilicians and the mountain peoples from the coasts of Anatolia could also be added to the list. Strabo explains the popularity of the practice among the Cilicians by its profitability; Delos, not far away, allowed for "moving myriad slaves daily". The growing influence of the Roman Republic, a large consumer of slaves, led to development of the market and an aggravation of piracy. In the 1st century BC, however, the Romans largely eradicated piracy to protect the Mediterranean trade routes."

Let us remember that it was Pompey the Great that eradicated the piracy.

Fighting maritime piracy: three lessons from Pompeius Magnus
Christian Schubert & Leonhard K. Lades
Pages 481-497 | Received 25 Oct 2012, Accepted 09 May 2013, Published online: 04 Jul 2013

"Piracy in international waters is on the rise again, in particular off the coast of Somalia. While the dynamic game between pirates, ship-owners, insurance firms and the military seems to have reached some kind of equilibrium, piracy risks generating significant negative externalities to third parties (e.g. in terms of environmental hazards and terrorism), justifying attempts to contain it. We argue that these attempts may benefit from a look back – through the analytical lens of rational choice theory – to the most successful counterpiracy campaign ever undertaken, namely, the one led by the Roman general Gnaeus Pompeius Magnus (Pompey the Great) in 67 BC."


The rules of war: Slavery


"By the rules of war of the period, the victor possessed absolute rights over the vanquished, whether they were soldiers or not. Enslavement, while not systematic, was common practice. Thucydides recalls that 7,000 inhabitants of Hyccara in Sicily were taken prisoner by Nicias and sold for 120 talents in the neighbouring village of Catania. Likewise in 348 BC the population of Olynthus was reduced to slavery, as was that of Thebes in 335 BC by Alexander the Great and that of Mantineia by the Achaean League."

On Alexander at Thebes we discussed in 
http://stretchingtheboundaries.blogspot.com/2018/07/sikandar-destroyer-thebe.html
The same behavious had Alexander for other populations.

About Olynthus, it was Philip that destroyed the town.  https://en.wikipedia.org/wiki/Olynthus
Come dire: Tale padre, tale figlio.

"Olynthus was at first in alliance with Philip. Subsequently, in alarm at the growth of his power, it concluded an alliance with Athens. Olynthus made three embassies to Athens, the occasions of Demosthenes's three Olynthiac Orations. On the third, the Athenians sent soldiers from among its citizens. After Philip had deprived Olynthus of the rest of the League, by force and by the treachery of sympathetic factions, he besieged Olynthus in 348. The siege was short; he bought Olynthus's two principal citizens, Euthycrates and Lasthenes,who betrayed the city to him. He then looted and razed the city and sold its population—including the Athenian garrison—into slavery. According to the latest researches only a small area of the North Hill was ever re-occupied, up to 318, before Cassander forced the population to move in his new city of Cassandreia.
Though the city was extinguished, through subsequent centuries there would be men scattered through the Hellenistic world who were called Olynthians."

Antonio Moro, Antoon Mor van Dashorst

Antonio Moro, conosciuto anche come Antoon Mor van Dashorst (Utrecht, 1520Anversa, tra il 1576 e il 1578), è stato un pittore e ritrattista olandese. Nel 1552 dipinse l'Imperatore Carlo V d'Asburgo, mentre nel 1554 a Londra fece il ritratto della Regina Maria I d'Inghilterra

Probabilmente visitò l'Italia nel 1550 dove a Roma imitò alcuni lavori di Tiziano, come la "Danae".
Moro fu inviato dalla Regina Maria dall'Ungheria al Portogallo e tra i ritratti più importanti vi furono quello dell'Infanta Maria, uno della regina Caterina di Portogallo, entrambi conservati nel Museo del Prado, e quello di Re Giovanni III e sua moglie Caterina, conservato a Lisbona. Dopo il suo ritornò a Madrid, dove dipinse il ritratto di Massimiliano di Boemia, fece di nuovo tappa a Roma nel 1552. Alcuni sostengono, ma con prove insufficienti, che uno dei capolavori del Museo del Prado, il ritratto di un ignoto giovane cardinale, da sempre attribuito a Raffaello, potrebbe essere stato dipinto da Moro. Da Roma, si mosse a Genova e infine a Madrid. Nel 1553 fu inviato in Inghilterra, dove ritrasse Maria I di Inghilterra. 

Io conosco questo pittore per via del suo ritratto di Thomas Gresham.


Some Notes on the Gresham's Law of Money Circulation
International Journal of Sciences February 2014 (02)
Amelia Carolina Sparavigna
Polytechnic University of Turin

Abstract
The Gresham’s Law is among the most known laws of economic science. In its popular version, the law is telling that when a government overvalues one type of money and undervalues another, the undervalued money disappears while the overvalued money floods into circulation. Named after Thomas Gresham, a financier of Tudor dynasty, this law was stated by Nicole Oresme and Nicolaus Copernicus. Here we discuss it and follow its long history.

Keywords: Money Circulation, Commodities, Legal Tenders



Gerrit van Honthorst (Gherardo delle Notti)




Gerrit van Honthorst, noto anche come Gherardo delle Notti (Utrecht, 4 novembre 1592 – Utrecht, 27 aprile 1656), è stato un pittore olandese. All'inizio della sua carriera visitò Roma, dove venne a conoscenza delle opere dei maestri italiani e da cui fu influenzato, specialmente da Caravaggio. È proprio da quest'ultimo che trasse ispirazione per la caratteristica illuminazione usata in parte dei suoi dipinti. Ritornato nei Paesi Bassi, divenne uno dei pittori di spicco del suo periodo, dipingendo sia quadri che ritratti. Morì, sempre ad Utrecht dov'era anche nato, all'età di 65 anni.




GIMP Retinex Filter Applied to Arts: Gerrit Van Honthorst and His Chiaroscuro
PHILICA Article 928, 6 Pages Posted: 3 Mar 2017  Amelia Carolina Sparavigna
Polytechnic University of Turin Date Written: January 19, 2017

Friday, July 27, 2018

Plutarco, non distorce ma interpreta

Devo dire che si trovano cose interessanti su Wikipedia.
Vediamo cosa si può trovare su Plutarco.

Plutarco (Cheronea, 46 d.C./48 d.C. – Delfi, 125 d.C./127d.C.) è stato un  biografo, scrittore, filosofo e sacerdote greco antico, vissuto sotto l'Impero Romano: ebbe anche la cittadinanza romana, e ricoprì incarichi amministrativi. Studiò ad Atene e fu fortemente influenzato dalla filosofia di Platone. La sua opera più famosa è costituita dalle Vite parallele, biografie dei più famosi personaggi della classicità greco-romana, oltre ai Moralia, di carattere etico, scientifico, erudito, in un pensiero fortemente influenzato da Platone e dal fatto che nell'ultima parte della sua vita fu sacerdote al Santuario di Delfi.

Di Plutarco si dice al link https://it.wikipedia.org/wiki/Plutarco le cose seguenti.

"Le Vite parallele (Βίοι Παράλληλοι) sono dedicate a Quinto Sosio Senecione, amico e confidente di Plutarco, al quale lo scrittore dedica anche altre opere e trattati. Costituite da 23 coppie (una è andata perduta), alla biografia di un personaggio greco viene accostata, generalmente, quella di un romano, ad esempio Alessandro Magno e Giulio Cesare. L'originalità plutarchea sta proprio in questo accostamento, che dimostra sia come l'Ellade aveva prodotto valenti uomini d'azione e sia come i romani non erano tutti barbari. Le sue biografie contengono un'infinità di informazioni utili alla ricerca storiografica.
Non distorce la realtà ma interpreta i fatti in base ai suoi interessi etici e alla sua impostazione morale. Tutto ciò emerge anche dal suo linguaggio; la sua narrazione risulta avvincente e lo stile s'impronta ai moduli della storiografia drammatica di età ellenistica, infatti pur se per il biografo i termini "tragico" e "teatrale" hanno valenza negativa, li utilizza nella presentazione di personaggi tragicamente atteggiati. La composizione delle Vite Parallele si colloca nella maturità di Plutarco, più o meno furono scritte dal 96 al 120 d.C. circa".

PS Si veda come Plutarco "interpreta" al post Cesare sul Reno.

CESARE E ALESSANDRO | romanoimpero.com

CESARE E ALESSANDRO | romanoimpero.com

Molto interessante quello che dice Sigmund Freud.

Usipeti

Da http://www.treccani.it/enciclopedia/usipeti/
Usipeti (lat. Usipĕtes e Usipii) Antica tribù germanica, dapprima stanziata con i Tencteri nell’interno della Germania. Incalzati dagli Svevi, nel 55 a.C. premevano sui confini renani trattando segretamente con le tribù galliche ai danni di Roma. Vinti da Cesare, gli U. con i Sigambri e i Tencteri inflissero una grave sconfitta al generale Marco Lollio nel 16 a.C.; furono poi più volte battuti, con Sigambri, Catti e Cherusci, da Claudio Druso Nerone (11 a.C.).
Da https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Lollio
Ecco cosa ci dice su quello che è capitato a Lollio
"Combatté in Tracia come governatore della Macedonia mentre portava aiuto a Remetalce I, zio e tutore dei figli di Cotis V, sottomise i Bessi (nel 19-18 a.C.).[1] Poco più tardi, inviato in Gallia, subì una disastrosa sconfitta (clades lolliana del 17 a.C.) paragonabile a quella di Publio Quintilio Varo,[11] contro Sigambri, Usipeti e Tencteri, dove perse l'aquila della legio V.[2][3] Le popolazioni germaniche avevano inizialmente catturato nei loro territori alcuni commercianti romani e li avevano impalati, poi avevano attraversato il Reno, portando devastazione nella stessa Gallia Comata. Quando la cavalleria romana sopraggiunse, fu sorpresa in un agguato e, una volta messa in fuga, i Germani si imbatterono anche il Marco Lollio, il quale, venuto a battaglia, fu sconfitto.[12]"

Gli Usipeti, con i Tencteri, sono portati da alcuni ricercatori olandesi come popolazioni vittime di genocidio da parte di Gilio Cesare. 

Lysander and Cyrus

From "Alexander the not so Great: History through Persian eyes", Prof Ali Ansari
Institute of Iranian Studies, St Andrews University
https://www.bbc.com/news/magazine-18803290

"There is a wonderful account provided by Lysander, a Spartan general, who happened to visit Cyrus the Younger in the provincial capital at Sardis. Lysander recounts how Cyrus treated him graciously and was particularly keen to show him his walled garden - paradeisos, the origin of our word paradise - where Lysander congratulated the prince on the beautiful design.
When, he added, that he ought to thank the slave who had done the work and laid out the plans, Cyrus smiled and pointed out that he had laid out the design and even planted some of the trees.
On seeing the Spartan's reaction he added: "I swear to you by Mithras that, my health permitting, I never ate without having first worked up a sweat by undertaking some activity relevant either to the art of war or to agriculture, or by stretching myself in some other way."
Astonished, Lysander applauded Cyrus and said: "You deserve your good fortune Cyrus - you have it because you are a good man.""

Sunday, July 22, 2018

Endymion


In ihm ist Jagd noch. Durch sein Geäder
bricht wie durch Gebüsche das Tier.
Täler bilden sich, waldige Bäder
spiegeln die Hindin, und hinter ihr

hurtigt das Blut des geschlossenen Schläfers,
von des traumig wirren Gewäfers
jähem Wiederzergehn gequält.
Aber die Göttin, die, nievermählt,

Jünglingin über den Nächten der Zeiten
hingeht, die sich selber ergänzte
in den Himmeln und keinen betraf,

neigte sich leise zu seinen Seiten,
und von ihren Schultern erglänzte
plötzlich seine Schale aus Schlaf.

(Rainer Maria Rilke)

La caccia è ancora in lui. Attraverso le sue vene
l'animale scorre come tra i cespugli.
Si formano le valli, le acque dei boschi
riflettono la cerva  e dietro di lei

corre il sangue del dormiente rinchiuso in sé,
dal sognar fantasticamente confuso
e agitato come da improvviso risveglio.
Ma è la dea, lei non sposata,

giovane donna che vaga nelle notti
del tempo, che si completava
nei cieli e a nessuno interessata,

che ora si è appoggiata al suo fianco.
E brilla dalle sue spalle
improvvisamente il suo guscio di sonno.



Annibale Carracci, Galleria Farnese

Saturday, July 21, 2018

Torino è l'altra faccia della stessa Roma
Torino un pugno al cielo di terra buona.
Sì, ma per due che come noi si sono amati e poi
trovati qui come disperati, Torino sei
un mare nero per i figli tuoi
Torino occhi aperti non tradirmi mai
Torino strade dritte tu mi perderai.
Dimmi tu come stai in questa città malata di malinconia.

da Torino, Antonello Venditti

3D Giulio Cesare

Roberta Fontana al link
http://www.robertafontana.com/portfolio-lavori/personaggi/gaio-giulio-cesare-2/
ci presenta i suoi bellissimi lavori in 3D.


Giulio Cesare in 3D


Friday, July 20, 2018

3D Julius Caesar

Here the link to 3D models og Julius Caesar.

"Ebbe un ruolo cruciale nella transizione del sistema di governo dalla forma repubblicana a quella imperiale. Fu dictator di Roma alla fine del 49 a.C., nel 47 a.C., nel 46 a.C. con carica decennale e dal 44 a.C. come dittatore perpetuo, e per questo ritenuto da Svetonio il primo dei dodici Cesari, in seguito sinonimo di imperatore romano."

http://www.robertafontana.com/portfolio-lavori/personaggi/gaio-giulio-cesare-2/


Thursday, July 19, 2018

Arles bust


Lifelike rendering of the Arles bust 

More at SSRN

The Arles bust is a life-sized marble bust showing a man with nasolabial creases and hollows in his face. It was discovered in September–October 2007 in the Rhone River near Arles, southern France, by divers from the French Department of Subaquatic Archaeological Research. It has been debated that it is a possible portrait of Julius Caesar.

Wednesday, July 18, 2018

Il Re di Pietra e Chaucer

A prohemie, in which discryveth he,
Pemond, and of Saluces the contree,
And speketh of Appenyn, the hilles hye,
That been the boundes of West Lumbardye,
And of Mount Vesulus in special,
Wher as the Poo out of a welle smal,
Taketh his first spryngyng and his cours
That eastward ay encresseth in his cours
To Emele-ward, to Ferare and Venyse;
The which a long thyng were to devyse.

(Geoffrey Chaucer, "The Clerk's Tale," from The Canterbury Tales)

A dir la verità, questo racconto mostra un uomo molto cattivo, ma a Saluzzo sono tutti buoni come il pane!

Comparing the Profiles of Caesar's Heads given by the Pantelleria Marble Bust and by a Coin of 44 BC

Comparing the Profiles of Caesar's Heads given by the Pantelleria Marble Bust and by a Coin of 44 BC: Here we want to show an interesting fact concerning the profile of the Caesar’s head, which is portrayed in the Pantelleria marble bust. It is the same of the portrait of Caesar given by a coin of 44 BC. The coin was struck just after Caesar's refusal of the crown offered by Mark Antony during the Lupercalia.


The Profiles of Caesar's Heads given by Tusculum and Pantelleria Marbles

The Profiles of Caesar's Heads given by Tusculum and Pantelleria Marbles: Here we want to show a comparison of the profiles of Julius Caesar’s head, as portrayed in Tusculum and in Pantelleria marbles. These profiles are in good agreement and are in good agreement to that given in a coin of 44 BC, struck one month before Caesar’s assassination.



Sikandar the Destroyer - Gaza

From Wikipedia
Upon arriving, Alexander camped near the southern side of the city and deemed the southern walls as the weakest.[4] Near these weak points, Alexander built the mounds that were eventually used to enter the city.[4] It is alleged the mounds were built quickly, despite the engineers' belief they could not be completed due to the nature of Gaza's fortifications.[5]

One day during the siege, the Gazans made a sortie against enemy siege equipment constructed on site, and Alexander led his shield bearing guards into counterattack. Alexander's shoulder was injured in the attempt.[5] According to Arrian, the rest of the mound was completed shortly after, around the whole of Gaza.[5] At some undefined period after this, the siege equipment from Tyre arrived, and was put into use also. It was after this that major sections of the wall were broken by the Macedonians.[5] After three attempts to enter the city, the Macedonians finally entered the city. The Gazans fought bitterly.

Batis refused to surrender to Alexander. When Gaza was taken, the male population was put to the sword and the women and children were sold into slavery.

According to the Roman historian Quintus Curtius Rufus,[6] Batis was killed by Alexander in imitation of Achilles' treatment of the fallen Hector. A rope was forced through Batis's ankles, probably between the ankle bone and the Achilles tendon, and Batis was dragged alive by chariot beneath the walls of the city. Alexander, who admired courage in his enemies and might have been inclined to show mercy to the brave Persian general, was infuriated at Batis's refusal to kneel and by the enemy commander's haughty silence and contemptuous manner.

As a result of the Siege, Alexander was allowed to proceed south into Egypt securely, without his line of communications being threatened from the North by Batis from Gaza.

The Green Caesar




The Green Caesar is a portrait of Gaius Julius Caesar made of green slate kept in the Antikensammlung Berlin with the inventory number Sk 342, which was probably made in the first century AD

Monday, July 16, 2018

Sardis and Croesus

From Wikipedia

Sardis or Sardes was an ancient city at the location of modern Sart in Turkey's Manisa Province. Sardis was the capital of the ancient kingdom of Lydia,[1] one of the important cities of the Persian Empire, the seat of a proconsul under the Roman Empire, and the metropolis of the province Lydia in later Roman and Byzantine times.
The earliest reference to Sardis is in The Persians of Aeschylus (472 BC); in the Iliad, the name Hyde seems to be given to the city of the Lydian chiefs and in later times Hyde was said to be the older name of Sardis, or the name of its citadel. It is, however, more probable that Sardis was not the original capital of the Lydian, but that it became so amid the changes which produced the powerful Lydian empire of the 8th century BC.

Map of Sardis and Other Cities within the Lydian Empire

The city was captured by the Cimmerians in the 7th century BC, by the Persians in the 6th, by the Athenians in the 5th, and by Antiochus III the Great at the end of the 3rd century BC. In the Persian era, Sardis was conquered by Cyrus the Great and formed the end station for the Persian Royal Road which began in Persepolis, capital of Persia. Sardis was the site of the most important Persian satrapy.[2] During the Ionian Revolt, the Athenians burnt down the city. Sardis remained under Persian domination until it surrendered to Alexander the Great in 334 BC.


The early Lydian kingdom was very advanced in the industrial arts and Sardis was the chief seat of its manufactures. The most important of these trades was the manufacture and dyeing of delicate woolen stuffs and carpets. The stream Pactolus which flowed through the market-place "carried golden sands" in early antiquity, which was in reality gold dust out of Mount Tmolus. It was during the reign of King Croesus that the metallurgists of Sardis discovered the secret of separating gold from silver, thereby producing both metals of a purity never known before.[3]This was an economic revolution, for while gold nuggets panned or mined were used as currency, their purity was always suspect and a hindrance to trade. Such nuggets or coinage were naturally occurring alloys of gold and silver known as electrum and one could never know how much of it was gold and how much was silver. Sardis now could mint nearly pure silver and gold coins, the value of which could be — and was — trusted throughout the known world. This revolution made Sardis rich and Croesus' name synonymous with wealth itself. For this reason, Sardis is famed in history as the place where modern currency was invented.
Disaster came to the great city under the reign of the emperor Tiberius, when in AD 17, Sardis was destroyed by an earthquake, but it was rebuilt with the help of ten million sesterces from the Emperor and exempted from paying taxes for five years.[4] It was one of the great cities of western Asia Minor until the later Byzantine period.

Sikandar the Destroyer - the battle of Granicus

From Wikipedia
The Battle of the Granicus River in May 334 BC was the first of three major battles fought between Alexander the Great and the Persian Empire. Fought in Northwestern Asia Minor, near the site of Troy, it was here that Alexander defeated the forces of the Persian satraps of Asia Minor, including a large force of Greek mercenaries led by Memnon of Rhodes.
Total casualties for the Greeks were between 300 and 400. The Persians had roughly 1,000 cavalry and 3,000 infantry killed, mostly in the rout. The Greek mercenaries, under the command of Memnon of Rhodes, who fought for the Persians, were abandoned after the cavalry retreat. They attempted to broker a peace with Alexander but to no avail. As a result, after the battle Alexander ordered the mercenaries to be enslaved. Out of the 18,000 Greek mercenaries, half were killed and 8,000 enslaved and sent back to Macedon [It would be better to tell that 10000 were killed, and 8000 enslaved, ossia 10000 Greci passati a fil di spada dopo la battaglia].  They were bound in fetters and sent away to Macedonia to till the soil, because, though they were Greeks, they were fighting against Greece on behalf of the foreigners [actually, they were fighting against Alexander].
Alexander sent 300 Persian armours to the Parthenon of Athens as an oblation to Athena, with this epigram: "Alexander, son of Philip, and the Greeks, except of Lacedaemonians, from the barbarians who live in Asia". («Ἀλέξανδρος Φιλίππου καὶ οἱ Ἕλληνες, πλὴν Λακεδαιμονίων, ἀπὸ τῶν βαρβάρων τῶν τὴν Ἀσίαν κατοικούντων»-"Alexandros Philippou kai hoi Hellēnes plēn Lakedaimoniōn apo tōn barbarōn tōn tēn Asian katoikountōn")

I barbari che vivono in Asia?!  

Kardo and Decumanus - Torino

Romans planned their military castra with a precise regular scheme, based on two main axes, crossing at right angles at the center of the settlement. These axes are known as Decumanus (D) and Kardo (K). Sometimes, a castrum evolved in a colonia and then in a modern town. Torino is an example of this evolution, that was born as a Julius Caesar’s castrum. Today, the Decumanus is Via Garibaldi. In this Google Earth map, we can easily see the rectangle of the Roman town, composed of several insulae. The modern town had maintained this layout during its expansion.



Sunday, July 15, 2018

Silhouettes. Tusculum bust and coins - 1



This article https://www.carotta.de/subseite/texte/articula/CesareTuscolo_CorriereDelTicino.pdf  published on the Corriere del Ticino in 2017 tell us  some information about the Tusculum bust, a portraiture of Julius Caesar, today at the Archaeological Museum of Torino.
This is a translation from the article written by Francesco Carotta entitled Il Cesare Incognito.

"The story of the discovery of the Tusculum bust has some humor in it. The marble head was found in Tusculum by Luciano Bonaparte. Luciano made profit with the antiquities, in particular those emerging from the ruins of that pleasant town among the Alban Hills (near today's Frascati), where the Roman nobility had built the villas, a famous one was that of Cicero. He used these antiquities to refund his huge debts. However, he did not realize that he had in his hands an original portrait of Caesar, which would have allowed him to restore his financial health. The bust then remained unsold and passed to the House of Savoy. With some others items of Lucien Bonaparte's collection, the bust was taken to the Castle of Agliè, where, a century and a half later, in 1940, archaeologist Maurizio Borda, comparing the profile with some coins of Caesar, recognized that Caesar was portrayed in it."

Maurizio Borda, vissuto nella prima metà del XX secolo, fu archeologo, ricercatore e docente universitario, storico e incaricato presso la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti di Roma al Ministero della Pubblica Istruzione. In qualità di archeologo, si occupò degli scavi della città di Tusculum negli anni dal 1952 al 1955. Attribuì a Giulio Cesare un ritratto in marmo riscoperto proprio a Tusculum, ritratto che oggi viene considerato l'unica rappresentazione certa del dittatore. Sistemò il primo Museo Tuscolano del dopoguerra aperto nel 1954 nel castello della curia vescovile di Frascati, poi i vari reperti del museo furono spostati alle Scuderie Aldobrandini.

Let us use the coin of August 43 BC. AR Denarius 43 BC. Rome mint. L Flaminius Chilo. Laureate head right within pelleted border. From a picture of the profile of the Tusculum bust, we can obtain a silhouette (in red). Superposing to the coin, we have a remarkable coincidence.