Firenze, come Torino, ha San Giovanni Battista patrono.
Come Torino, Firenze ha avuto origine da una città romana. La divinità poliade di Firenze era Marte. Lo dice Dante nel XIII canto dell’Inferno: I’ fui de la città che nel Batista mutò ’l primo padrone”. E' una cosa magnifica. Trovare Dante che parla del Patrono della città. Fantastico!
Dalla Treccani
padrone. - Nel senso di " patrono ", in If XIII 144 I' fui de la città che nel Batista / mutò 'l primo padrone; il primo protettore di Firenze è Marte, il dio della guerra; sotto la cui costellazione la città sarebbe nata; dice il Compagni (Cronica I I): " dedicata sotto il segno di Marte "; e Brunetto Latini nel Tresor (I XXXVII, traduz. Bono Giamboni) fa un ragionamento assai vicino a quello di D.: " non è meraviglia se i fiorentini stanno sempre in briga e in discordia, che quella pianeta regna tuttavia sopra loro ".
Anche Torino aveva Marte padrone? Non è noto.
Si legga anche http://www.treccani.it/enciclopedia/poliade/
poliade Nella storia delle religioni, divinità che ha un legame più stretto con una città rispetto a quello che la lega alle altre e perciò è da essa venerata con un culto particolarmente importante e solenne.
Nelle grandi religioni politeistiche dell’ambiente mediterraneo, ma anche altrove, si nota frequentemente che le singole città, pur venerando tutte le divinità del pantheon, per una di esse hanno un culto particolare, considerandosi protette da essa. Nella Mesopotamia ... quando la città di Babele conquistò l’egemonia in Mesopotamia (prima metà del 2° millennio a.C.), il suo dio, Marduk, venne a occupare una posizione preminente nel pantheon, appropriandosi delle funzioni di Enlil; e con l’egemonia assira altrettanto avvenne per il dio Assur. La situazione fu analoga nell’antico Egitto: capitale dell’Antico Regno era Menfi, il cui dio, Ptah, godette allora di un prestigio esteso a tutto l’Egitto, prestigio che, durante il Medio e il Nuovo Regno, sarebbe passato ad Amun, dio della nuova capitale, Tebe. Ogni singola città egiziana aveva la propria divinità p. e una tale idea era così radicata nella mentalità egiziana che, dopo la conquista greca, per la nuova città di Alessandria si dovette fondare il culto di una nuova divinità, Serapide, che vi potesse esercitare le funzioni poliadi.
L’idea non era aliena nemmeno ai Greci che ... conoscevano legami particolari tra una città e una divinità: così Atena ad Atene, Era ad Argo e a Samo, Apollo a Delfi e a Delo, Afrodite a Cipro, Elio a Rodi. Non era diversa la situazione nell’Italia arcaica: basti ricordare le singole città dei Prisci Latini che, pur riunite nella federazione religiosa accentrata intorno al culto di Iuppiter Latiaris, avevano ciascuna un proprio culto particolare: Ariccia quello di Diana, Lanuvio quello di Giunone Sospita, Palestrina di Fortuna Primigenia ecc. La divinità p. di Roma stessa era, almeno sin dalla fondazione, Giove. Ma la tradizione romana conosceva anche una ‘segreta divinità protettrice’ della città, di cui non si divulgava il nome, anche per evitare che essa potesse essere evocata dai nemici. Nel periodo ellenistico si diffuse nel mondo antico un nuovo concetto di divinità p.: come ogni luogo, così anche ogni città aveva la propria «fortuna» (gr. Τύχη). ...
Il bisogno di una tutela religiosa della città, sopravvivendo anche nel cristianesimo, trova tuttora espressione nella venerazione dei santi patroni locali.
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Benvenuti in queste pagine dedicate a scienza, storia ed arte. Amelia Carolina Sparavigna, Torino
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Thursday, May 30, 2019
Sunday, October 14, 2018
Lucifer
Illustration of Lucifer in the first fully illustrated print edition of Dante Alighieri's Divine Comedy. Woodcut for Inferno, canto 33. Pietro di Piasi, Venice, 1491. This work is in the public domain in its country of origin and other countries and areas where the copyright term is the author's life plus 100 years or less. (Image Courtesy Chiswick Chap, for Wikipedia).
Lucifer has in his mouth, Ivda, Bruto and Casio, two that betrayed Caesar.
Note the artist rendered the fact that Dante and Virgil have passed Lucifer, at the centre of the Earth and see him upside down.
Note the artist rendered the fact that Dante and Virgil have passed Lucifer, at the centre of the Earth and see him upside down.
In Dante's Divina Commedia, the Hell is a conical cavity reaching to the centre of the Earth. At the apex of the cone, there is Lucifer. After Dante and his guide Virgil have passed Lucifer at the bottom of the Hell, and are continuing their journey, Dante looks back and sees Lucifer upside down. And Virgil explains that they have passed the center of the Earth, which is pulling the weights (a clear statement on gravitation):
... tu passasti 'l punto
al qual si traggon d'ogne parte i pesi.
E se' or sotto l'emisperio giunto
ch'e` contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto
fu l'uom che nacque e visse sanza pecca:
tu hai i piedi in su picciola spera
che l'altra faccia fa de la Giudecca.
…thou then didst pass the point to which
all gravities from every part are drawn.
And now thou art arrived beneath the hemisphere
opposed to that which canopies the great dry land
and underneath whose summit was consumed the
Man, who without sin was born and lived; thou
hast thy feet upon a little sphere, which forms the
other face of the Judecca.
[The Inferno, Edited by Israel Gollancz, 1903]
Dante and Virgil commenced their ascent to the other side of the Earth, toward the Antipodes, where they find the Purgatory, a conical hill, rising out of the ocean at a point diametrically opposite to Jerusalem.
More at From Rome to the Antipodes: The Medieval Form of the World, International Journal of Literature and Arts, 2013, 1(2), 16-25.
Monday, January 10, 2011
Dante's portrait by Longfellow
Tuscan, that wanderest through the realms of gloom,With thoughtful pace, and sad, majestic eyes, Stern thoughts and awful from they thoughts arise, Like Farinata from his fiery tomb. Thy sacred song is like the trump of doom;Yet in thy heart what human sympathies,What soft compassion glows...
Henry Wadsworth Longfellow
Dante e l'America, Henry Longfellow
"La presenza di Dante nella cultura americana risale al 1867, quando il poeta Henry Wadsworth Longfellow completò la prima traduzione americana della Divina Commedia", dice Giuliana Fazzion, James Madison University. Longfellow fondò nel 1865 un circolo per la traduzione di Dante nella sua casa a Cambridge, Massachusetts. Altri studiosi collaborarono con Longfellow alla prima intera traduzione della Divina Commedia. Il gruppo di lavori si battezzo “Dante Club” e nel 1881 divenne “The Dante Society of America”.
Saturday, January 8, 2011
Il Caronte di Virgilio
Il post precedente riporta la descrizione di Caronte fatta da Dante nell'Inferno, con la traduzione Longfellow. Chi era Caronte? Nella mitologia, Caronte, figlio di Erebo e Notte, era il traghettatore dell'Ade. Trasportava le anime da una riva all'altra del fiume Acheronte, ma solo se i loro corpi avevano ricevuto i rituali funebri, con un obolo per pagare il viaggio; chi non aveva l'obolo, era costretto vagare tra le nebbie del fiume per cento anni. Si metteva così una moneta nella bocca del defunto prima della sepoltura. Alcuni ricercatori sostengono che il prezzo era di due monete, sistemate sopra gli occhi. Pochissime anime vive son state trasportate da Caronte, tra di loro Enea, Ulisse, Orfeo e Dante.
Caronte viene descritto nell'Eneide da Virgilio al libro VI con le seguenti parole:
Caronte viene descritto nell'Eneide da Virgilio al libro VI con le seguenti parole:
"Portitor has horrendus aquas et flumina servat
terribili squalore Charon, cui plurima mento
canities inculta iacet, stant lumina flamma,
sordidus ex umeris nodo dependet amictus.
Ipse ratem conto subigit velisque ministrat
et ferruginea subvectat corpora cumba,
iam senior, sed cruda deo viridisque senectus."
terribili squalore Charon, cui plurima mento
canities inculta iacet, stant lumina flamma,
sordidus ex umeris nodo dependet amictus.
Ipse ratem conto subigit velisque ministrat
et ferruginea subvectat corpora cumba,
iam senior, sed cruda deo viridisque senectus."
Ecco che Dante segue il suo maestro Virgilio e riprende la figura di Caronte, la barba bianca, gli occhi di fuoco, ma sembra renderlo meno demone e più dannato egli stesso come le anime che traghetta.
Charon the demon
Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: <<Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
E tu che se' costi`, anima viva, partiti da cotesti che son morti>>.
Ma poi che vide ch'io non mi partiva, disse: <<Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare: piu` lieve legno convien che ti porti>>.
E 'l duca lui: <<Caron, non ti crucciare: vuolsi cosi` cola` dove si puote
cio` che si vuole, e piu` non dimandare>>. Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude, che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude. ...
Caron dimonio, con occhi di bragia, loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
gridando: <<Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
E tu che se' costi`, anima viva, partiti da cotesti che son morti>>.
Ma poi che vide ch'io non mi partiva, disse: <<Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare: piu` lieve legno convien che ti porti>>.
E 'l duca lui: <<Caron, non ti crucciare: vuolsi cosi` cola` dove si puote
cio` che si vuole, e piu` non dimandare>>. Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude, che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude. ...
Caron dimonio, con occhi di bragia, loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
And lo! towards us coming in a boat an old man, hoary with the hair of eld, crying:
"Woe unto you, ye souls depraved! Hope nevermore to look upon the heavens; I come to lead you to the other shore, to the eternal shades in heat and frost. And thou, that yonder standest, living soul, withdraw thee from these people, who are dead!"
But when he saw that I did not withdraw, he said: "By other ways, by other ports thou to the shore shalt come, not here, for passage; a lighter vessel needs must carry thee." And unto him the Guide: "Vex thee not, Charon; it is so willed there where is power to do that which is willed; and farther question not." Thereat were quieted the fleecy cheeks of him the ferryman of the livid fen, who round about his eyes had wheels of flame.
But all those souls who weary were and naked their colour changed and gnashed their teeth together, as soon as they had heard those cruel words...
Charon the demon, with the eyes of glede, beckoning to them, collects them all together, beats with his oar whoever lags behind.
(traduzione Longfellow)
Friday, January 7, 2011
The Gate of Hell
"Per me si va ne la citta` dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e 'l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".
Queste parole di colore oscuro
vid'io scritte al sommo d'una porta.
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e 'l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".
Queste parole di colore oscuro
vid'io scritte al sommo d'una porta.
"Through me you pass into the city of woe:
Through me you pass into eternal pain:
Through me among the people lost for aye.
Justice the founder of my fabric mov'd:
To rear me was the task of power divine,
Supremest wisdom, and primeval love.
Before me things create were none, save things
Eternal, and eternal I endure.
All hope abandon ye who enter here."
Such characters in colour dim I mark'd
Over a portal's lofty arch inscrib'd.
Wednesday, January 5, 2011
Ulysses' last voyage
I and my company were old and slow when at that narrow passage we arrived where Hercules his landmarks set as signals, that man no farther onward should adventur. On the right hand behind me I left Seville, and on the other already had left Ceuta. 'O brothers, who amid a hundred thousand perils,' I said, 'have come to the West, to this short eve which is the remaining of your senses, still be you unwilling to deny the knowledge, following the sun, of the unpeopled world. Consider the seed from which you sprang; you were not made to live like brutes, but for pursuit of virtue and of knowledge.' So eager did I render my companions, with this brief exhortation for the voyage, that then I hardly could have held them back. And having turned our stern to the morning, we of our oars made wings for this mad flight, evermore gaining on the larboard side.
Already saw the night all the stars of the other pole, and ours so very low that they did not rise above the ocean floor. Five days and nights lasted since we had entered into the deep pass, when a mountain appeared to us, dim from distance, and it seemed to me so high as I had never any one seen.
Joyful were we, and soon it turned to weeping; for out of the new land a whirlwind rose, and smote upon the fore part of the ship. Three times it made her whirl with all the waters, at the fourth time it made the stern uplift, and the prow downward go, as pleased Another, until the sea above us closed again."
arranged from Longfellow's Translation
Already saw the night all the stars of the other pole, and ours so very low that they did not rise above the ocean floor. Five days and nights lasted since we had entered into the deep pass, when a mountain appeared to us, dim from distance, and it seemed to me so high as I had never any one seen.
Joyful were we, and soon it turned to weeping; for out of the new land a whirlwind rose, and smote upon the fore part of the ship. Three times it made her whirl with all the waters, at the fourth time it made the stern uplift, and the prow downward go, as pleased Another, until the sea above us closed again."
arranged from Longfellow's Translation
Ulisse
Lo maggior corno de la fiamma antica comincio` a crollarsi mormorando pur come quella cui vento affatica; indi la cima qua e la` menando, come fosse la lingua che parlasse, gitto` voce di fuori, e disse:
...
Io e compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov'Ercule segno` li suoi riguardi, accio` che l'uom piu` oltre non si metta: da la man destra mi lasciai Sibilia, da l'altra gia` m'avea lasciata Setta.
"O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'e` del rimanente, non vogliate negar l'esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Li miei compagni fec'io si` aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de' remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle gia` de l'altro polo vedea la notte e 'l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo, quando n'apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto torno` in pianto, che' de la nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fe' girar con tutte l'acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giu`, com'altrui piacque, infin che 'l mar fu sovra noi richiuso.
...
Io e compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov'Ercule segno` li suoi riguardi, accio` che l'uom piu` oltre non si metta: da la man destra mi lasciai Sibilia, da l'altra gia` m'avea lasciata Setta.
"O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'e` del rimanente, non vogliate negar l'esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Li miei compagni fec'io si` aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de' remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle gia` de l'altro polo vedea la notte e 'l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo, quando n'apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto torno` in pianto, che' de la nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fe' girar con tutte l'acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giu`, com'altrui piacque, infin che 'l mar fu sovra noi richiuso.