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Benvenuti in queste pagine dedicate a scienza, storia ed arte. Amelia Carolina Sparavigna, Torino

Sunday, July 29, 2018

Varo, ridammi le mie legioni!

Dal sito
http://win.storiain.net/arret/num162/artic4.asp

"Ma i successi delle armi romane sono di breve durata. Nel corso dello stesso anno avviene un disastro senza precedenti in Germania. La provincia è agli ordini del governatore Publius Quintilius Varus, un parente acquisito di Menenio Agrippa, genero e uomo di fiducia di Augusto (morto 20 anni prima). Varo, che non possiede una grande statura di comandante militare, si trova in guarnigione ad Aliso, con la XVII, XVIII e XIX Legione, e si lascia imbrogliare all'annuncio di un inizio di rivolta nella regione. Non capisce che l'istigatore non è altro che Arminio, un cerusco alla guida delle truppe ausiliarie del suo stesso esercito. Ordina quindi di marciare, in pieno autunno, verso est con le tre legioni (circa 15.000 uomini) con il rinforzo di tre ali di cavalleria (circa 800 uomini). Arminio ne approfitta per disertare e preparare una vasta imboscata, con l'aiuto di Ceruschi, Cauchi e Marsi, nella foresta di Teutoburgo, fra l'Ems e la Weser. Il terreno scelto dai Germani per l'attacco (foresta fitta e paludi) impedirà ai Romani di far valere le loro qualità manovriere. La sorpresa è totale. I legionari, appesantiti dai loro bagagli (nella colonna ci sono civili, donne, bambini o schiavi) e vittime dell'apatia di Varo, vengono rapidamente accerchiati. I Romani resistono, grazie alla loro disciplina e alle loro qualità di combattenti, ma non possono sfuggire alla rete nella quale sono stati intrappolati. Gli ausiliari germani disertano e si schierano dalla parte di Arminio. Il giorno dopo, la cavalleria romana tenta di aprirsi un varco verso Aliso, ma non vi riesce. Il terzo giorno, col morale ormai a terra, i Romani soccombono alla superiorità numerica dei Germani. Verranno praticamente tutti massacrati, tranne una decina di uomini che riescono a fuggire. Varo si suicida prima di essere catturato. Il disastro è totale. Si tratta della più pesante sconfitta romana dopo quella di Crasso contro i Parti nel 53 a.C.
Arminio si afferma come una figura quasi mitica, alla quale i Germani faranno riferimento nella loro lotta contro Roma. Il capo cerusco porta con sé - umiliazione suprema per i Romani - le tre aquile delle legioni di Varo. L'imperatore Augusto viene costretto a riportare la frontiera sul Reno. Secondo Svetonio, Augusto non si rimetterà più da questa sconfitta, ripetendo senza sosta nel corso degli ultimi anni di vita: «Varo, Varo ridammi le mie legioni !». Augusto muore nel 14, senza avere occasione di una rivincita completa su Arminio, che Tiberio, suo successore, affiderà ben presto a Germanicus."

Saturday, July 28, 2018

Clades Lolliana (Latin)

Da un libro che esalta Arminio (vedi https://stretchingtheboundaries.blogspot.com/2018/07/hermann.html)
Attenzione a come è  definito Arminio, il Liberator Germaniae.


ARMINIVS CHERUSCORUM DUX AC DECUS LIBERATOR GERMANIAE.
EX COLLECTIS VETERUM LOCIS composuit I. F. MASSMANN . - professor, ordin. publ. in universit. monacensi. Hans F. Massmann
1839

CLADES LOLLIANA.
Agrippam anno 19. ante Chr. n. in Hispaniam profectum 9) in Germania legatus M. Lollius secutus est, homo in omni pecuniae quam recte faciendi cupidior et inter summam vitiorum dissimulationem vitiosissimus. 10) Insidiis Romanorum Germani cisrhenani in arma versi ac circumventi sub M. Lollio legato graviter vexati erant 11). qua propter Siggambri Usipetes Tencterique 12), qui primum quosdam in suo territorio deprehensos Romanorum in crucem egerant, deinde Rheno transmisso ex Germania (romana) Gallia que praedas egerant. equitatum Romanorum contra se missum iterum per insidias civcumvenerunt et a fugientibus usque ad Lollium praefectum praeter opinionem secum pertracti hunc quoque vicerunt 1). amissaque est legionis quintae aquila 2). Post quae in suam terram regressi 3). Quae clades Lolliana 4) vocavit ab urbe in Gallias Caesarem Octavianum 5); sed majoris infamiae quam detrimenti, dum posterior Variana pene exitiabilis 6). Sed unitas semper clades nominant scriptores Lollianas Varianasque 7).

9) Dio Cass. LIV, 11. - 10) Vellej. Paterc. II, 97. - 11) Julius Obsequens de prodigiis 131. et Eusebius ad Olymp. 190: Germanous  katestrepsato Lollios Markos veoterisantas.  Quae Lipsius, Schefferus alii verti voluerunt "Germanorum Romani, quasi ex Dione imperitus quispiam historiae reverentia nominis romani vocabula haec inter se fortasse permutaverit". Cf. Ledebur de Bructeris pg. 19. et Luden Hist. Germ. I, 638, 22. - 12) Cf. et Propert. IV, 6, 75; Horatii Od. IV, 14.
1) Dio Cass. LIV, 20. - 2) Vellejus II, 97. - 3) Dio LIV, 20. - 4) Sueton. Octav. 23. - 5) Vellej. II, 97. - 6) Sueton. Octav. 23. - 7) Tacit. A. I, 10. Sueton. Octav. 23: Graves ignominias cladesque duas omnino nec alibi quam in Germania accepit Lollianam et Varianam.

Clades Lolliana

Sto facendo una ricerca su vittorie e sconfitte dei Romani.
Sulle Clades Lolliana, vi giro l'articolo di de.wikipedia 

Als Clades Lolliana (Niederlage des Lollius) wird ein Gefecht zwischen römischen Truppen und den germanischen Stämmen der Sugambrer, Tenkterer und Usipeter bezeichnet, das 17 oder 16 v. Chr. stattfand und mit einer römischen Niederlage endete.
Nach einem erneuten Einfall der drei germanischen Stämme in das linksrheinische Gebiet, das zur römischen Provinz Gallien gehörte, zog der dortige Statthalter Marcus Lollius diesen entgegen. Jedoch siegten die germanischen Stämme über Lollius und waren sogar in der Lage, den Adler der 5. Legion zu erbeuten. Dieser Verlust bedeutete einen hohen Prestigeverlust für den Kaiser Augustus, der die Bedeutung des Legionsadlers in der römischen Öffentlichkeit gerade herausgestellt hatte, um das Ende des Konfliktes mit den Parthern, die drei erbeutete Legionsadler an das römische Reich zurückgegeben hatten, in besserem Licht darzustellen. Augustus brach noch im Jahr 16 v. Chr. nach Gallien auf, wo er drei Jahre blieb. Die Lollius-Niederlage wird oft als auslösender Faktor für seinen mit den Drusus-Feldzügen (12 bis 8 v. Chr.) beginnenden Versuch gesehen, Germanien zu erobern.
Die Niederlage wird von zahlreichen antiken Schriftstellern erwähnt. Die ausführlichsten Schilderungen finden sich bei Velleius Paterculus und Cassius Dio. Tacitus und Sueton stellen die Niederlage des Lollius mit der des Varus 9 n. Chr. zusammen. Weitere Erwähnungen gibt es bei Iulius Obsequens, dem griechischen Epigrammatiker Krinagoras und eventuell Properz. Wie schwer die römische Niederlage tatsächlich ausgefallen ist, lässt sich dennoch kaum erkennen. Laut Cassius Dio (und einer Andeutung bei Horaz) schlossen die Germanen Frieden, sobald sie von der bevorstehenden Ankunft des Augustus hörten, doch wird nicht erwähnt, ob es dabei auch zur Rückgabe des Adlers kam.

The Clades Lolliana (defeat of Lollius) is a battle between the Roman troops and the Germanic tribes of Sugambri, Tencteri and Usipetes (17 or 16 BC). It ended in a Roman defeat.
After a renewed invasion of the three Germanic tribes of the left bank of the Rhine, which belonged to the Roman province of Gaul, the governor Marcus Lollius moved against them. However, the Germanic tribes triumphed over Lollius and were even able to capture the eagle of the 5th Legion. This loss meant a great loss for the prestige of Emperor Augustus, who had just exposed the importance of the eagle of a legion to the Roman people to highlight the end of the conflict with the Parthians, returning the eagles of three legions  to the Roman Empire. In 16 BC, Augustus went to Gaul, where he stayed for three years. The Lollius defeat is often seen as the triggering factor for his attempt to conquer Germania,  at the beginning with the Drusus campaigns (12-8 BC).
The defeat is mentioned by numerous ancient writers. The most detailed descriptions can be found in Velleius Paterculus and Cassius Dio. Tacitus and Suetonius compare the defeat of Lollius to that of Varus in 9 AD [that of the Teutoburg forest]. Further mentions can be found in Iulius Obsequens, the Greek epigrammatist Krinagoras and possibly Properz. How serious the Roman defeat was is still to investigate, and it can be difficult to determine. According to Cassius Dio (as hinted by Horace), the Teutons made peace as soon as they heard of the imminent arrival of Augustus, but no mention is made of whether or not the eagle was returned.



Riferimenti sulla Clades Lolliana

Reinhard Wolters: Römische Eroberung und Herrschaftsorganisation in Gallien und Germanien. Brockmeyer, Bochum 1990, ISBN 3-88339-803-9, S. 140 f. und 149–157 (Bochumer historische Studien, Alte Geschichte, 8).
Reinhard Wolters: Die Römer in Germanien 4., aktualisierte Auflage. Beck, München 2001, ISBN 3-406-44736-8.
Weblinks
Zur Clades Lolliana und ihren Folgen auf der privaten Webseite des Archäologen Jürgen Franssen


Riflessione su Plutarco

Dall'enciclopedia Treccani
http://www.treccani.it/enciclopedia/plutarco/

Plutarco (Cheronea, Beozia, 50 d. C. - ivi dopo il 120) studiò ad Atene presso il platonico Ammonio, e dopo alcuni viaggi tornò nella sua città, donde però si allontanò ripetutamente per incarichi politici. Fu più volte a Roma, dove ebbe amici illustri tra cui Gaio Minucio Fundano e Aruleno Rustico. Fu arconte in Cheronea, poi sacerdote del tempio di Delfi (dal 95 alla morte). 
La posizione filosofica di Plutarco è una espressione tipica della cultura della tarda età ellenistico-romana, nella quale in un comune e spesso generico sfondo platonico rifluiscono suggestioni e influenze di varia origine, così filosofica (aristotelismo, stoicismo, neopitagorismo) come religiosa (in particolare religioni misteriche orientaleggianti). In campo etico, Plutarco seguendo le concezioni aristoteliche, distingue nell'anima tre aspetti e pone il canone della condotta nella medietà delle passioni dominate e controllate dalla parte razionale. Da ciò deriva la tranquillità spirituale (εὐϑυμία) elevata a virtù suprema. Lo stesso principio deve ispirare anche la politica che è, per Plutarco, l'arte di placare le folle e di conservare la pace. Perciò egli accetta il dominio romano, in cui vede adempiute le esigenze di una politica di pace. Da tale atteggiamento politico verso Roma è guidata la costruzione delle Vite parallele scritte per dimostrare le analogie, ma anche le differenze, fra gli eroi greci e romani. Oltre a 4 biografie isolate (quelle di Artaserse II, Arato di Sicione, Galba, Otone) sono esaminate le vite di 22 coppie di personaggi, uno greco e uno romano (Teseo e Romolo, Licurgo e Numa, ecc.), di cui all'inizio, nel Proemio, sono messe in luce le affinità, e alla fine, nel paragone (σύγκρισις) le differenze. La tradizione dei rapporti fra Greci e Romani era già nelle Imagines di Varrone e nelle Vitae di Cornelio Nepote; ma la novità di Plutarco consiste nell'accentuare nel confronto l'esistenza di due mondi, due culture, due civiltà che si integrano reciprocamente nell'Impero Romano. Bisogna però osservare che, se in generale l'atteggiamento di Plutarco è imparziale, egli era un greco giustamente impegnato a recuperare e far rivivere la passata grandezza della Grecia. Il tratto caratteristico delle Vite è l'indagine dell'intera storia di Roma e della Grecia attraverso l'ethos dei personaggi, che sono sì protagonisti di grandi imprese, ma si impongono alla nostra attenzione anche per particolari di minor rilievo e per aspetti poco conosciuti della loro personalità e umanità. Se la cronologia delle Vite è oscura, le fonti invece sono, in generale, più riconoscibili: per le vite romane Plutarco attinge quasi sempre direttamente agli storici o comunque a fonti di prima mano (Dionisio di Alicarnasso, Sallustio, Livio, Polibio, ecc.); le fonti delle vite greche sono in generale ancora biografie, anche se per lo più incerte, ma possiamo riconoscere Ermippo (per Solone), Filarco (per Agide e Cleomene) e poi Erodoto, Tucidide, Senofonte, Ctesia, Teopompo.  

Clades Variana (Teutoburgo): la strage finale

Il terzo giorno fu l'ultimo ed il più tragico per l'armata romana, ormai decimata dalla furiosa lotta dei giorni precedenti. La pioggia ed il vento si erano scatenati nuovamente, impedendo ai soldati romani di muoversi o di poter costruire un campo entro cui difendersi. La pioggia era talmente copiosa che avevano difficoltà ad usare le armi, che l'acqua rendeva scivolose.
I Germani pativano di meno. Il loro armamento era più leggero ed avevano la possibilità di attaccare e di ritirarsi velocemente nella vicina foresta. L'eco della battaglia aveva dato morale alle vicine tribù barbare che, fiduciose per l'esito finale della battaglia, avevano inviato nuovi rinforzi, infoltendo il già cospicuo numero di armati germani. I soldati romani, sempre più decimati e ormai ridotti allo stremo, erano ovunque circondati e colpiti da ogni parte. Era arrivata la fine. 
Varo e gli alti ufficiali, nel timore di essere catturati vivi o di morire per mano dei Germani compirono un suicidio collettivo.  Non appena si diffuse la notizia della morte di Varo, molti soldati romani smisero di combattere preferendo uccidersi o fuggire piuttosto che venire catturati. I resti dell'esercito romano erano ora allo sbando. Celio, caduto prigioniero, afferrò le catene che lo tenevano legato e si colpì  sulla testa con tale violenza da morire velocemente.
I Germani sfogavano la loro crudeltà sui prigionieri romani. Non ci fu mai nulla di più cruento di quel massacro fra paludi e foreste. Ad alcuni soldati romani strapparono gli occhi, ad altri tagliarono le mani, di uno fu cucita la bocca dopo avergli tagliato la lingua. Gran parte dei superstiti vennero sacrificati alle divinità germaniche. Qualcuno venne liberato, o scambiato con prigionieri germanici o dopo riscatto.
Durante la spedizione del 15, sei anni dopo la disfatta, Germanico si fece condurre sul campo della battaglia di Teutoburgo dai pochissimi superstiti, gli unici che fossero in grado di indicare il luogo. Voleva dare degna sepoltura ai resti dei soldati morti sei anni prima. E vide lo scempio del massacro.
Giunto sul luogo della battaglia, Germanico vide  biancheggiare le ossa dei romani, ammucchiate e disperse. Sparsi intorno, sui tronchi degli alberi erano conficcati teschi umani. Nei vicini boschi sacri si vedevano altari su cui i Germani avevano sacrificato i tribuni ed i principali centurioni. 

Clades Variana (Teutoburgo)

Adattato da Wikipedia
Il sito della battaglia fu suggerito già agli inizi del Settecento da  Zacharias Goeze, teologo e filosofo tedesco, appassionato di numismatica, il quale aveva saputo di alcune monete romane rinvenute in località Kalkriese, a 135 km a Nord-est del confine romano del Reno. Lo storico Theodor Mommsen nel 1885 era convinto che questa fosse la località della famosa battaglia, in base al numero di monete reperite sul sito; ma si è dovuto attendere il 1987 per averne conferma definitiva.



Maschera da parata in ferro ricoperta d'argento appartenuta ad un cavaliere romano, rinvenuta sul luogo della battaglia.

Il materiale archeologico trovato sull'area della battaglia (su una superficie complessiva di 5 per 6 km), era di oltre 4 000 oggetti di epoca romana:
3100 pezzi militari come parti di spade, pugnali, punte di lance e frecce, proiettili utilizzati dalle fionde delle truppe ausiliarie romane, dardi per catapulte, parti di elmi, parti di scudi, una maschera da parata in ferro ricoperta d'argento, chiodi di ferro delle calzature dei legionari, piccozze, falcetti, vestiario, bardature di cavalli e muli, strumenti chirurgici;
un limitato numero di oggetti femminili come forcine, spille e fermagli a testimonianza della presenza di donne tra le file dell'esercito romano in marcia;
1200 monete, coniate tutte prima del 14 d.C.;
numerosi frammenti ossei di uomini ed animali (muli e cavalli);
ed un terrapieno lungo 600 metri e largo 4,5 metri, che si estendeva alla base della colline di Kalkriese in direzione est-ovest, dove i Germani si appostarono aspettando le legioni, dal quale sferrarono il primo attacco, nel punto più stretto tra la collina e la Grande palude (ora ridotta ad una depressione).

L'ultima campagna di scavo (estate 2016) ha riportato inoltre alla luce altri reperti tra cui otto rare monete d’oro con l’effigie di Augusto sul recto e, sul verso, i ritratti dei due nipoti Gaio e Lucio Cesare, designati suoi successori. I due sono raffigurati con scudo, lancia e lituo. Poiché il primo morì nel 4 d.C. e il secondo nel 2 d.C., le monete risalgono a pochi anni prima della battaglia ed appartenevano con molta probabilità a un ufficiale dell’esercito che le avrebbe smarrite o sotterrate (sono state trovate a pochissima distanza l’una dall’altra) nell’imminenza dei combattimenti. Si tratta di una somma notevole: all’epoca con un solo aureo si poteva mantenere un’intera famiglia, a Roma, per un mese, quindi la somma equivaleva al sostentamento per circa un anno.

Gli imperatori romani che si susseguirono nei secoli decisero di non battezzare più altre legioni con il nome delle tre annientate a Teutoburgo (XVII, XVIII e XIX), forse anche per via delle insegne perdute che furono in seguito recuperate. Perdere le insegne era onta incancellabile per la mentalità e la tradizione militare romana.

Hermann contro Roma

Parliamo di Arminio (il titolo del post è però Hermann, e capirete il perché).
Mi servo a piene mani di Wikipedia,  https://it.wikipedia.org/wiki/Arminio

Arminio (in latino: Gaius Iulius Arminius; tedesco: Hermann o Armin; Weser, 18 a.C. – Germania Magna, 19) fu un principe e condottiero della popolazione dei Germani Cherusci, ex prefetto di una coorte cherusca dell'esercito romano. Arminio sconfisse l'esercito romano nella battaglia della foresta di Teutoburgo, quando a capo di una coalizione di tribù germaniche annientò, con l'inganno e il tradimento, tre intere legioni comandate da Publio Quintilio Varo. Voleva difendere la libertà dei Germani, minacciata da Roma all'apice della sua potenza.

Il nome di Arminio è una variante latinizzata di  germanico Irmin, "grande". Il nome Hermann (cioè "uomo dell'esercito" o "guerriero") fu utilizzato nel mondo germanico come equivalente di Arminio al tempo della Riforma protestante di Martin Lutero, che voleva farne un simbolo della lotta dei popoli germanici contro Roma.

Arminio servì nell'esercito romano, prima probabilmente sotto Tiberio in Germania durante la campagna del 5, più tardi, secondo le fonti storiografiche latine, trasferito in Pannonia, come luogotenente di reparti di cavalleria, collaborò alle operazioni militari dei Romani, durante i primi due anni della rivolta dalmato pannonica, guidando un contingente di truppe ausiliarie cherusce.

Ottenuta anche la cittadinanza romana, Arminio tornò nella Germania settentrionale, dove i Romani avevano conquistato i territori compresi tra il fiume Reno ed Elba, posti sotto l'allora governatore provinciale romano, Publio Quintilio Varo. Arminio iniziò subito a complottare e a unire sotto la sua guida diverse tribù di Germani per impedire ai romani di realizzare i loro progetti. Mentre complottava Arminio mantenne il suo incarico di ufficiale della Legione e da cittadino romano mantenne la piena fiducia di Varo, che affidò completamente ai suggerimenti di Arminio la campagna militare che stava seguendo, ignorando le accuse di tradimento formulate nei suoi confronti dai romani e promuovendolo a suo consigliere militare.

Nel 9, a capo di una coalizione formata da Cherusci, Marsi, Catti e Bructeri, il venticinquenne Arminio annientò l'esercito di Varo (circa 20.000 uomini) nella battaglia di Teutoburgo nei pressi della collina di Kalkriese, circa 20 chilometri a nord-est di Osnabrück. Praticamente Arminio attirò le tre legioni romane, mediante falsi informatori, nella trappola che egli stesso aveva preparato. Ed infatti nella battaglia di Teutoburgo i legionari romani non furono neppure schierati in assetto di combattimento ma, contro tutte le regole romane, furono fatti proseguire dentro un territorio ostile in semplice assetto di marcia ed affardellati. La maggior parte fu uccisa senza potersi difendere, i germani si lasciarono andare ad atrocità, e le testimonianze dei pochi sopravvissuti parlano di torture e mutilazioni perpetrate sui legionari catturati. Varo si suicidò.

Negli anni 14-16 le forze romane, guidate da Germanico, penetrarono profondamente in Germania, devastandone i territori ed infliggendo una pesante sconfitta ad Arminio e alle sue tribù alleate. Nel 16 Germanico, infatti, nel corso del suo ultimo anno di campagne, riuscì a battere pesantemente Arminio nel corso di due battaglie presso il fiume Weser. Il capo cherusco, ormai battuto pesantemente, probabilmente disperò sul futuro della sua Germania libera, ma Germanico era richiamato al termine di quest'anno dal padre adottivo, l'imperatore Tiberio, che ritenne opportuno rinunciare a nuovi piani di conquista dei territori dei Germani, fissando sul Reno il confine tra l'Impero e i barbari.

Durante le operazioni di questi due anni di guerra, i romani recuperarono le insegne militari di due delle tre legioni che erano state massacrate a Teutoburgo. La terza insegna fu recuperata in seguito, al tempo dell'imperatore Claudio, fratello di Germanico.

Una volta che i Romani si ritirarono, scoppiò la guerra tra Arminio e Maroboduo, l'altro potente capo germanico dell'epoca, re dei Marcomanni (che erano stanziati nell'odierna Boemia). Le due coalizioni si scontrarono in una battaglia campale, dove Arminio riuscì a battere le truppe alleate del re rivale marcomanno, il quale fu costretto a rifugiarsi a Ravenna, chiedendo asilo politico allo stesso imperatore romano Tiberio. L'anno successivo, nel 19, Arminio fu assassinato dai suoi sudditi, che temevano il suo crescente potere:

« Apprendo dagli storici e dai senatori contemporanei agli eventi che in Senato fu letta una lettera di Adgandestrio, capo dei Catti, con la quale prometteva la morte di Arminio se gli fosse stato inviato un veleno adatto all'assassinio. Gli fu risposto che il popolo romano si vendicava dei suoi nemici non con la frode o con trame occulte, ma apertamente e con le armi […] del resto Arminio, aspirando al regno mentre i Romani si stavano ritirando a seguito della cacciata di Maroboduo, ebbe a suo sfavore l'amore per la libertà del suo popolo, e assalito con le armi mentre combatteva con esito incerto, cadde tradito dai suoi collaboratori. Indubbiamente fu il liberatore della Germania, uno che ingaggiò guerra non al popolo romano ai suoi inizi, come altri re e comandanti, ma ad un Impero nel suo massimo splendore. Ebbe fortuna alterna in battaglia, ma non fu vinto in guerra. Visse trentasette anni e per dodici fu potente. Anche ora è cantato nelle saghe dei barbari, ignorato nelle storie dei Greci che ammirano solo le proprie imprese, da noi Romani non è celebrato ancora come si dovrebbe, noi che mentre esaltiamo l'antichità non badiamo ai fatti recenti. » (Tacito, Annales II, 88)

Ecco che cosa ci dice Wikipedia su Arminio nella cultura di massa

La figura di Arminio e le sue gesta furono riprese e celebrate dai movimenti nazionalisti tedeschi, Nazionalsocialismo compreso. 

Nella zona dove si svolse la battaglia della foresta di Teutoburgo sorge oggi un monumento ad Arminio chiamato Hermannsdenkmal; questo monumento sorge puntato verso la Francia, avversaria in quegli anni dell'Impero tedesco.

Il nome maschile Hermann (equivalente di Arminio, appunto) risulta oggi molto diffuso in Germania.

Ariovisto ed il diritto di guerra

Nel post https://stretchingtheboundaries.blogspot.com/2018/07/i-germani-e-i-loro-schiavi.html
abbiamo cercato di conoscere, in certa misura, come fosse il mondo dei popoli Germanici. Ed alla fine, ci siam resi conto che Giulio Cesare e i Germani potevano intendersi abbastanza bene. In effetti, Cesare arruolava dei Germani nel suo esercito.

Vediamo adesso come era uno dei loro condottieri. Ariovisto.
Ariovisto era principe e condottiero della popolazione dei Germani Cherusci, ex prefetto di una coorte cherusca dell'esercito romano. Ariovisto è stato un condottiero suebo. Fu a capo di una coalizione di popoli germanici che invase la Gallia nel I secolo a.C. e che fu sconfitta da Gaio Giulio Cesare nel 58 a.C. ai piedi dei Vosgi. La guerra scoppiò non appena questi oltrepassò con il suo esercito il Reno accorrendo in aiuto dei popoli gallici degli Arverni e dei Sequani che combattevano gli Edui. I quali, però, con il titolo di fratelli e consanguinei del popolo romano, erano a quest'ultimo alleati.

https://it.wikipedia.org/wiki/Ariovisto

"Di fronte a questo quadro descrittogli dall'eduo Diviziaco, nel 58 a.C. Cesare decise di agire. Come prima cosa mandò ambasciatori ad Ariovisto e chiese con lui un incontro. La risposta del germano, secondo quanto racconta Cesare, fu sprezzante:
« Agli ambasciatori Ariovisto così rispose: se gli serviva qualcosa da Cesare, si sarebbe recato di persona da lui; ma se era Cesare a volere qualcosa, toccava a lui andare da Ariovisto. [...] Del resto, si domandava con meraviglia che cosa Cesare o, in generale, il popolo romano avessero a che fare nella sua parte di Gallia, da lui vinta in guerra. » (Cesare, Bell. gall., I, 34,2-4.)
Di fronte a questa risposta, Cesare inviò un'altra ambasceria con la quale, redarguendolo per la sua arroganza, nonostante avesse ricevuto da Cesare e da Roma il riconoscimento del titolo di re e di quello di amico, gli pose un ultimatum: non portare altri Germani sulla sponda gallica del Reno, restituire gli ostaggi e di non recare nessun'altra offesa agli Edui e ai loro alleati. Se non avesse fatto ciò, il proconsole avrebbe agito di conseguenza.
A questo diktat Ariovisto rispose con toni ancora più accesi:
« [...] il diritto di guerra permetteva ai vincitori di dominare i vinti a proprio piacimento; allo stesso modo il popolo romano era abituato a governare i vinti non secondo le imposizioni altrui, ma a proprio arbitrio. Se Ariovisto non dava ordini ai Romani su come esercitare il loro diritto, non c'era ragione che i Romani ponessero ostacoli a lui, quando applicava il suo. Gli Edui avevano tentato la sorte in guerra, avevano combattuto ed erano usciti sconfitti; perciò, li aveva resi suoi tributari. Era Cesare a fargli un grave torto, perché con il suo arrivo erano diminuiti i versamenti dei popoli sottomessi. Non avrebbe restituito gli ostaggi agli Edui, ma neppure avrebbe mosso guerra a essi, né ai loro alleati, se rispettavano gli obblighi assunti, pagando ogni anno i tributi. In caso contrario, poco sarebbe servito loro il titolo di fratelli del popolo romano. Se Cesare lo aveva avvertito che non avrebbe lasciato impunite le offese inferte agli Edui, gli rispondeva che nessuno aveva combattuto contro Ariovisto senza subire una disfatta. Attaccasse pure quando voleva: si sarebbe reso conto del valore degli invitti Germani [...] » (Cesare, Bell. gall..)

Cesare si mosse con l'esercito contro le forze germaniche. Dopo diverse manovre, prima dello scontro finale i due si incontrarono a colloquio nei pressi di Vesontio (odierna Besançon), scortati ciascuno dalle rispettive cavallerie (per Cesare era la X legione montata a cavallo). Cesare esordì ricordando ad Ariovisto i benefici che aveva ottenuto dai romani per la loro liberalità e sottolineando l'antica e profonda amicizia che legava Roma agli Edui. Per questa ragione, Roma non poteva permettere che costoro subissero un qualche danno e fossero privati di quanto avevano. Rinnovò quindi ad Ariovisto le precedenti richieste. A questo punto il suebo rispose che lui si era recato in Gallia su richiesta dei galli, che erano stati i galli a dargli le terre che lui possedeva e che erano stati loro ad attaccarlo e non viceversa. Sottolineò anche che il tributo gli era dovuto e che se continuava a far giungere germani era per proteggersi. Ariovisto disse anche che se il titolo di amico del popolo romano doveva nuocergli, lui era pronto a ricusarlo. Il suebo chiese anche a Cesare perché Roma si intrometteva in un'area che non era di sua competenza, ma che invece era sua. Se dunque il proconsole non se ne fosse andato, Ariovisto l'avrebbe considerato un suo nemico. Cesare replicò sottolineando di nuovo il legame esistente tra Roma e gli Edui e che le vicende della Gallia erano quindi affare che lo riguardava. Mentre tra i due si svolgeva questo colloquio, la cavalleria germanica, secondo Cesare, attaccò quella romana. Cesare interruppe dunque l'incontro. Due giorni dopo, Ariovisto chiese un nuovo incontro a Cesare, che però inviò due suoi rappresentanti. Il suebo si adirò, li accusò di volerlo spiare e li fece gettare in catene.
Alla fine i due eserciti si scontarono ai piedi dei Vosgi (Battaglia in Alsazia), dove l'armata di Ariovisto fu rovinosamente sconfitta: morirono a migliaia e lo stesso Ariovisto si salvò a stento, riuscendo poi a guadare il Reno.

Jérôme Carcopino ha scritto:
« Respingendo gli svevi al di là del Reno, la barriera naturale che per tre secoli avrebbe arrestato il flusso della barbarie, tale vittoria salvava la Gallia dall'invasione dell'impero germanico, ma contemporaneamente e in modo evidente attribuiva a Roma, che aveva ingaggiato e vinto la battaglia con i soli legionari, il diritto di governare sovranamente i popoli che, grazie all'intervento degli Edui, si erano affidati alla sua protezione. Cesare si astenne dal proclamare pubblicamente un tale diritto, ma non lasciò neppure che restasse ignorato »

Slaves, that is, the spoils of war

SCLAVUS (slave)
Medieval Latin, from Late Latin Sclavus, from Byzantine Greek Σκλάβος (Sklábos), probably from the Greek verb σκυλάω (skuláō), a variant of σκυλεύω (skuleúō, “to get the spoils of war”). [F. Kluge, Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache. 2002, siehe «Sklave».]
The origin of σκλάβος has been disputed historically. Modern etymologists accept that it refers to the spoils of war, as it makes sense morphologically, but there is an obsolete theory that the word comes from plural Σλαβῆνοι (Slabênoi), from Proto-Slavic *slověne (plural; the singular form Proto-Slavic *slověninъ is derived from it), although this theory requires unexplained and unattested phonetic irregularities. It is argued that that the originally the term referred to Slavs (Old Slavonic словѣнинъ, словѣне), who were often enslaved during the early Middle Ages, and that the originally ethnic term came to have a more general social meaning, possibly around the 9th or 10th century when it appeared in German texts - but nowadays it is commonly regarded that it was only old German propaganda pseudo-etymology.

I popoli Germanici e gli schiavi

Dato che si parla sempre e solo della schiavitù nel mondo romano, come se solo i Romani avessero servi di proprietà dei padroni, vediamo come stavano le cose tra i popoli germanici. E, nel mentre, vediamo di conoscerli un po' meglio.

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di Plinio FRACCARO - Giuseppe CIARDI-DUPRE' - Arrigo SOLMI - Bruno Vignola - Enciclopedia Italiana (1932)


GERMANICI, POPOLI. - Sotto la denominazione di Germani si comprendono tutte quelle numerose e varie popolazioni appartenenti alla famiglia etnica indoeuropea e da questa staccatesi in epoca remotissima, e forse già al principio dell'età del bronzo, come una massa omogenea con distinta personalità antropologica e linguistica, che poi a poco a poco si accrebbe e si suddivise in una serie di ramificazioni particolari, le quali, all'inizio dell'era cristiana, si trovavano fissate nelle regioni settentrionali d'Europa dal Reno ad oltre la Vistola e, verso mezzogiorno, fino al corso del Danubio.
 ... Ad onta della comunanza dell'origine le diverse famiglie germaniche non ebbero in antico unità nazionale e neppure possedettero un nome che le designasse come complesso etnico. Il nome di Germani fu loro dato dai Romani, presso i quali esso diventò comune al tempo di Cesare, che lo udì nelle Gallie, e al quale venne data diffusione ufficiale con la creazione della provincia della Germania e con l'estensione del medesimo nome a tutti gli abitanti della Germania libera. Il vocabolo si trova per la prima volta nei Fasti Capitolini all'anno 222 a. C., ma fu osservato con fondamento ch'esso può essere un'interpolazione posteriore. ,,, Comunque sia, pare certo quanto a tal proposito racconta Tacito, che, cioè, col nome di Germani fu dapprincipio chiamata nelle Gallie qualche tribù passata per prima sulla sinistra del Reno, e il nome fu poi esteso a tutti gli altri abitanti della Germania. ... ll vocabolo Germani non fu tuttavia mai popolare fra le nazioni così designate e sparì inoltre dall'uso corrente assai per tempo, finché la lingua dotta non se ne impadronì adoperandolo nell'attuale largo significato generico. La parola deutsch, che deriva dal sostantivo antico tedesco diota "popolo", da cui l'aggettivo diutisc, latinizzato theodiscus, significava dapprima la lingua del popolo, cioè il "volgare", in contrapposto al latino, adoperato dalle classi dirigenti, e fu in seguito usata a indicare il popolo che la parlava; essa diventò generale dopo il decimo secolo.
... (I Germani] Parlavano una lingua indoeuropea occidentale di tipo kentum, strettamente affine al celtico e all'italico, differenziatasi dal linguaggio comune in seguito a un fenomeno particolare di mutazione consonantica, detto rotazione dei suoni o Lautverschiebung. Il fenomeno si è ripetuto più tardi, verso il sec. VI dell'era volgare, dando origine, in seno alle lingue germaniche, e precisamente a quelle del ramo occidentale, all'alto tedesco di fronte al basso.
I Germani non conobbero la scrittura e non ebbero un alfabeto prima dei loro contatti coi Romani, dai quali presero tutti gli elementi della civiltà; così dalle lettere capitali dei primi tempi dell'impero, ch'essi conobbero forse col tramite dei Celti, trassero un alfabeto detto runico (v. rune) del quale si servirono dapprima negli atti della magia, e poi per iscrizioni sopra armi, gioielli o lapidi sepolcrali. L'uso della scrittura a vero scopo letterario comincia però soltanto con la conversione al cristianesimo, la quale si compì presso talune famiglie, come i Visigoti, già fin dal sec. III, e molto più tardi, nel sec. XII, presso gli Scandinavi. Perciò appunto al cristianesimo quasi tutti i popoli germanici dovettero fare il sacrificio della loro primitiva leggenda divina e della loro saga eroica: i concetti etici che formano la struttura morale di quest'ultima sono il solo avanzo, nel campo dell'arte, dell'antica vita spirituale pagana.
... Le tribù germaniche migravano facilmente, si scomponevano e ricomponevano assumendo nomi nuovi, o scomparivano in lotte fra loro: perciò l'etnografia della Germania variò nelle varie epoche. Queste migrazioni non erano totali, e le tribù muovendosi lasciavano parte dei loro membri nell'antica sede; e oggi non si ammette più che il nord-est della Germania sia rimasto deserto in seguito alle migrazioni.
I Suebi, potente confederazione di tribù, cominciarono all'inizio del sec. I a. C. a lasciare le loro sedi a oriente dell'Elba, ove rimase la tribù sueba dei Semnoni, e occuparono la regione fra l'Elba, il Meno e la Selva Ercinia. I Marcomanni (uomini della marca) erano Suebi che, valicato il Meno, avevano preso possesso del paese fra il Reno e il Danubio superiore, sgombrato dagli Elvezî, che divenne così una marca di confine sueba. Fra il 9 e il 2 a. C. essi, guidati dal re Maroboduo, passarono nella Boemia, sgombrata dai Galli Boi, e vi fondarono un potente regno, che, dopo aver dominato su molte delle circostanti tribù germaniche, si sfasciò presto in seguito alle lotte coi Cherusci. La grande invasione del 166 d. C. li rese di nuovo famosi; una parte furono stanziati dai Romani in Pannonia, gli altri passarono, pare nel sec. VI, nella Baviera (Baivarii "abitanti di Baia, la Boemia"). Loro alleati contro i Romani erano i Quadi, d'origine suebica, che avevano strappato la Moravia ai Volcae Tectosages, stirpe gallica con la quale i Germani devono essere venuti a contatto molto per tempo, poiché ne estesero il nome (Welschen) a tutti i Galli e poi a tutti i popoli romanizzati. Ad est dei Quadi stavano tribù minori dei Bastarni (Sidones, Buri) e nella guerra marcomannica comparvero varie tribù vandaliche (Victovali, Asdingi, Lacringi). L'avanzata dei Suebi spinse oltre il Reno gli Usipeti e i Tencteri, che, sconfitti nel 55 da Cesare in Gallia, ripassarono il fiume e si unirono ai Sugambri, che si erano affacciati al Reno a sud della Ruhr, seguiti dai Marsi e dai Gambrivii. A nord del Meno inferiore stavano gli Ubii, vinti da Cesare e trasportati nel 38 a. C. da Agrippa sulla sinistra del Reno, ove Colonia Agrippina fu in seguito la loro città. Fra l'Elba, il Weser superiore e il Harz abitavano al tempo di Cesare i Cherusci, il popolo di Arminio, presto decaduti, e più a occidente i Bructeri, il cui territorio fu poi in gran parte occupato a ovest dai Chamavi e ad est dagli Angrivarii, che stavano prima sul medio Weser. Sulla costa fra l'Elba e l'Ems stavano i potenti Chauci, gli Amsivarii e, un po' più all'interno, i Chasuarii; più ad ovest i Frisii (che alla fine dell'antichità riappaiono estesi dalla Schelda allo Schleswig e furono poi incorporati nel regno dei Franchi), e nelle isole del Reno i Canninefati.
Fra Mosa e Reno stavano, già al tempo di Cesare, i Batavi, al pari dei Mattiaci (sul Reno di fronte a Magonza) ritenuti tribù dei potenti Chatti. Questi, ignoti ancora a Cesare, dall'Assia si estesero sino al Reno nel paese sgombrato dagli Ubî; essi non sono più ricordati dopo il 200 d. C. e al loro posto compaiono nel sec. VI gli Hassii. Un ramo dei Chatti erano i Chattuarii, posti prima fra i Cherusci e i Bructeri, e passati poi, sembra, sul Reno inferiore. Ad oriente dei Chatti, gli Hermunduri occupavano nel sec. I d. C. la Turingia stendendosi fino all'Elba e a sud fino al Danubio; essi furono sempre in buoni rapporti coi Romani.
.... Già al tempo di Cesare commercianti Romani si recavano presso gli Ubî e gli Svevi. Ma i Germani commerciavano da tempi remoti l'ambra del Baltico ed elementi antichissimi delle civiltà orientali e mediterranee entrarono in Germania seguendo le piste di questo commercio. La navigazione sui fiumi e lungo le coste del Mare del Nord era attiva. I Romani importavano in Germania specialmente prodotti industriali, metalli, droghe, vino, e ne esportavano ambra, pellicce, prodotti agricoli, bestiame e schiavi [ossia questi popoli fornivano ai Romani degli schiavi]. Gli scambi avvenivano più anticamente nella forma del baratto; poi i Germani accettavano anelli di metalli pregiati e infine dalle frontiere cominciarono a diffondersi le monete, prima le celtiche, poi le romane.
Il più antico diritto germanico era basato sulle consuetudini e non abbiamo testi giuridici anteriori al sec. V. I Germani vivevano in famiglie patriarcali, ma nei loro istituti non mancano tracce di un più antico ordinamento matriarcale (p. es. l'avunculato). La famiglia si allarga nella Sippe, la quale è anche, anticamente, gruppo politico e militare, che viene indebolendosi con l'affermarsi dell'organizzazione statale della tribù. Presso i Germani vigeva in genere la monogamia, e solo i personaggi più potenti tenevano parecchie mogli, e di solito per ragioni politiche. Molto più frequente era l'uso di concubine. Il matrimonio avveniva per contratto d'acquisto della moglie, ma rimanevano tracce della più antica forma di matrimonio per ratto. L'adulterio della donna era severamente punito e le vedove, in genere, non si rimaritavano. La donna era tenuta però in alta considerazione, anche per le virtù profetiche che le si attribuivano, e partecipava in pace e in guerra alle sorti del marito. Questi aveva nella casa una posizione sovrana: il riconoscimento dei figli era in suo arbitrio e tutti i beni che comunque pervenivano nella casa erano suoi. L'adozione era praticata. Portavano i Germani nomi individuali significativi, composti di solito di due elementi, uno dei quali spesso si ripete nei nomi d'una stessa famiglia. Prevalgono i nomi ispirati alla guerra, e ricorrono anche nomi semplici, ipocoristici e soprannomi.
La vendetta del sangue era obbligo degli agnati dell'ucciso, ma già al tempo di Tacito essa veniva sostituita dal risarcimento in bestiame pagato ai parenti. I giudizî, che si svolgevano attraverso forme procedurali tradizionali rigidamente osservate, erano regolati dai sacerdoti e dai magistrati. La pena di morte, consisteva nell'impiccagione o nell'annegamento; ma fu sempre più largamente sostituita dalla multa in bestiame.
La società germanica era composta di liberi e di semiliberi e liberti, questi legati in varie forme ed ereditariamente ai loro patroni. V'erano poi schiavi. Le fonti della schiavitù erano varie (guerra, obbligazione, ecc.), e le condizioni dello schiavo, che già ai suoi tempi Tacito trovava sopportabili, andarono migliorando dalla fine delle migrazioni. Dai liberi emergeva la nobiltà, ereditaria, costituita da famiglie famose e ritenute di origine divina. Essa stava spegnendosi al tempo delle migrazioni e venne sostituita dalla nobiltà degli uffici. Gli stranieri stavano sotto la protezione dei loro ospiti, che ne assumevano la tutela giuridica; e l'ospitalità era rigorosamente osservata. Accanto ai legami di parentela, altri, ed efficacissimi, se ne potevano costituire con il patto di fratellanza e poi con l'entrata nel seguito di un capo (Gefolgschaft).
I Germani non raggiunsero mai l'unità politica nazionale. I varî popoli stavano a sé, formando stati di solito piccoli; solo col tempo si costituirono stati più vasti a struttura confederativa più o meno salda e tenuti assieme dall'egemonia di una tribù più potente o dalla signoria personale di un conquistatore. Il territorio dello stato è detto Land, e se lo stato è retto da un re, Riki (Reich), determinato poi dal nome del popolo. Le tribù sono divise in genti e centenae (Hundertschaften), gruppi di famiglie, che hanno il loro territorio (Gau), il loro villaggio (Dorf) e i loro magistrati (thungini) e formano le unità dell'esercito. Il potere sovrano risiede nelle assemblee armate (thing) dei liberi, che eleggevano i magistrati; nell'assemblea venivano solennemente consegnate ai giovani per la prima volta le armi. C'erano poi anche assemblee di anziani. I capi dei popoli, scelti fra la nobiltà, vennero poi assumendo potere e attributi di re; ma al loro apparire nella storia non tutti i Germani erano retti da re. La monarchia era più forte presso i Germani orientali, ma i re avevano funzioni prevalentemente militari e non legislative. L'epoca delle migrazioni, che richiedevano unità e saldezza di comando, rinvigorì la monarchia, e sul suolo romano, a contatto dello stato dispotico, essa divenne infine assoluta ed ereditaria. Accanto ai re le assemblee potevano eleggere anche dei valorosi a duci per la guerra.
All'alba della loro storia, i Germani sono da tempo sedentari e abitano territori definiti, spesso separati da zone neutrali disabitate. Erano però facili a migrare, spinti dal desiderio d'avventure e specialmente dal fatto che la popolazione diveniva presto sovrabbondante.
Abitavano in villaggi di case disposte irregolarmente e isolate nel mezzo dell'orto ricinto, costruite in legname, graticci e creta, con caratteristica cantina sotterranea coperta di fimo contro il freddo, nella quale riponevano anche le vettovaglie. Dai Romani appresero poi l'uso delle pietre e dei mattoni. Essi praticavano largamente l'allevamento di pecore, capre, porci, cavalli, volatili domestici e specialmente dei bovini, che davano a loro gli elementi principali della nutrizione, carne, latte e burro. Amavano la caccia e la pesca. Esercitavano l'agricoltura, che nei tempi più antichi era in buona parte affidata alle donne; usavano un buon tipo di aratro e coltivavano abbastanza bene parecchi cereali. Conoscevano varie specie di ortaggi, ma ebbero dai Romani gli alberi fruttiferi pregiati.
Fino al sec. I d. C. presso la maggior parte dei Germani, a eccezione cioè delle tribù che avevano subito fortemente l'influenza dei Celti e dei Romani, la proprietà del suolo spettava alla comunità, che assegnava la terra arativa in parcelle per uno o più anni alle singole famiglie. Non è possibile attribuire, come alcuni fanno, a tribù in guerra o in migrazione questo sistema esplicitamente attestato da Cesare (Bell. gall., VI, 22) e da Tacito (Germania, 26). La cosa era resa più agevole dal fatto, ben avvertito da Tacito, che alla terra si chiedeva solo il prodotto annuale dei cereali e che era ignota la coltura a giardino legata alla terra. Sotto l'influenza di molti fattori, il ritmo della periodica riassegnazione dei campi venne rallentando e poi cessò ovunque; mentre contemporaneamente la privata proprietà si stabiliva anche sulla terra incolta sottoposta dai singoli all'aratro e si formava dai doni di terre fatti dai re ai singoli, e collettiva rimase solo la proprietà della terra non sottoposta a coltura, riservata all'uso in comune.
Stirpe guerriera, i Germani avevano in grande onore le armi. L'arma nazionale era l'asta da urto (framea) di varia lunghezza; l'uso della spada era invece meno diffuso presso alcune tribù. Ma si adoperavano anche giavellotti da lancio, come l'ango dei Franchi, simile al pilum: l'arco rimase sempre invece un'arma secondaria. Altre armi usate erano la mazza e l'ascia; questa era anzi arma nazionale dei Franchi. L'armamento difensivo era ignoto un tempo ai Germani, che usavano denudarsi per combattere; poi fu adottato generalmente lo scudo, di legno o di vimini, dipinto con varî colori. Alcune tribù erano famose per la loro cavalleria, con la quale combattevano frammischiati fanti leggieri; e i cavalli germanici erano abituati a manovre speciali, e ad attendere abbandonati a sé i loro cavalieri che combattevano a piedi. Ma il nucleo degli eserciti germanici fu sempre costituito dalla fanteria, con la sua ordinanza a cuneo, e formata da gruppi di vicini e di consanguinei. Squilli di corno, canti guerrieri e il famoso barditus o barritus, grido di guerra, stimolavano l'ardore dei combattenti. Il campo veniva protetto con i carri; in seguito i G. appresero anche a costruire valli difensivi. Ma per lungo tempo i Germani non ebbero il concetto del comando della battaglia; i capi davano l'esempio più che dirigere.

Queste sono alcune cose che ci dice l'enciclopedia Treccani.

Ci sono alcune cose che si possono osservare.
Per prima cosa, l'esercito era costituito da soli uomini liberi? Io penso che sia così, esattamente come era nel mondo romano.
Il matrimonio per ratto, mi ricorda il Ratto delle Sabine dei romani.
Presso i Germani, mi sembra che gli schiavi fossero ambite prede di guerra per essere usati nei baratti coi romani. Di cosa si occupavano questi schiavi? allevamento e cura del bestiame e agricoltura, suppongo.
Morale, la società era molto più complessa di quanto ci si potrebbe aspettare. E non era come io mi immaginavo, ingenuamente, ossia fatta di tutti uomini liberi. Gli uomini liberi erano relativamente pochi. Al loro seguito c'era una massa di semiliberi e schiavi. E gli schiavi erano bottino di guerra. Esattamente come tra i popoli più evoluti.