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Benvenuti in queste pagine dedicate a scienza, storia ed arte. Amelia Carolina Sparavigna, Torino

Sunday, October 28, 2018

Giona ingoiato e rigurgitato dalla Balena sotto l'albero di zucche



Image adapted from a courtesy picture by Mongolo1984, for Wikipedia.

Santa Maria in Valle Porclaneta, in Abruzzo, è una chiesetta situata nei dintorni di Rosciolo dei Marsi, alle falde del massiccio del Velino. Il pulpito fu realizzato nel 1150 da Roberto di Ruggero e Nicodemo da Guardiagrele [vedi nota a piè post]. La scala è decorata da pannelli scolpiti con scene dalla Vita di Giona. Eccolo quando viene ingoiato dalla balena. 

Il Signore comanda a Giona di andare a predicare a Ninive. Giona invece fugge a Tarsis su una nave che è investita da un temporale e rischia di colare a picco dalla violenza delle onde. Giona, ritrovato il coraggio, svela ai compagni di viaggio che la colpa dell'ira divina è sua, poiché ha rifiutato di obbedire al Signore. E così Giona è gettato in mare, ma un grande pesce lo inghiotte. Dal ventre del pesce, dove rimane tre giorni e tre notti, Giona rivolge a Dio la sua preghiera. Dietro comando divino, il pesce vomita Giona sulla spiaggia. Giona così può svolgere la sua missione e va a predicare ai niniviti. Questi, contro ogni aspettativa, gli credono, proclamano un digiuno, si vestono di sacco e Dio decide di risparmiare la città. Ma qui riemerge l'istinto ribelle di Giona: lui non è contento del perdono divino, voleva la punizione della città di Ninive. Deluso chiede a Dio di farlo morire. Così Giona si siede davanti alla città e attende gli eventi. Il Signore fa spuntare un ricino sopra la sua testa per apportargli ombra ed egli se ne rallegra moltissimo. Ma all'alba del giorno dopo un verme rode il ricino che muore, il sole e il vento caldo flagellano nuovamente Giona, che invoca di nuovo la morte. Iddio allora gli spiega: se tu ti rattristi a morte per una pianta di ricino, a maggior ragione mi ero rattristato io per la possibile morte di innocenti fra cui centoventimila persone e tanti animali.




Giona rigurgitato dalla Balena sulla spiaggia, siede sotto un'albero da cui pendono delle zucche.
Image adapted from a courtesy picture by Mongolo1984, for Wikipedia.


E' molto interessante che in Santa Maria in Valle Porclaneta Giona venga ritratto, risputato dalla Balena, e poi seduto sotto un albero da cui pendono le zucche. Ricordiamo che la cucurbitacea è pianta rampicante e quindi dobbiamo vederla avvolta all'albero da cui poi sembrano pendere i frutti.
Il testo CEI della Bibbia dice che "E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull'asciutto. Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore:  «Alzati, va' a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò»." E non parla quindi di zucche.
Come ci spiega Edouard Urech nel suo Dizionario dei simboli cristiani, Edizioni Arkeios, 1995, la prima scena di Giona, solitamente rappresentata nell'arte Cristiana, è quella che mostra Giona gettato in mare ed ingoiato dal pesce. La scena diventa simbolo di morte e resurrezione (non a caso Giona resta tre giorni e tre notti nella Balena). La seconda scena della storia di Giona, dopo quella del pesce che lo ingoia, lo vede rappresentato sotto un albero ricco di fronde o completamente secco. E' allusione alla parabola che chiude il libro (Gio. 4, 5-11), la parabola che fa comprendere che se Giona ha pietà di un albero, anche Dio ha il diritto di aver pietà di coloro che si pentono.
Ma di che albero si tratta?

Dal Dizionario dei simboli cristiani. "La parola ebraica kikajon indica il ricino, ma i LXX (traduzione greca dell'Antico Testamento del III secolo a.C.) rendono questa parola con kolokunté (zucca), versione accettata per parecchi secoli. Nella sua famosa traduzione latina della Bibbia, Gerolamo traduce questa parola con hedera (edera). Il suo amico Ruffino di Aquileia si strappava i capelli, dicendo: una simile correzione presuppone che i LXX hanno sbagliato, e ciò lascia intendere che tale traduzione sarebbe stata privata (su questo punto) dell'azione dello Spirito Santo; giungeva fino a chiedersi che cosa sarebbero divenuti gli affreschi che rappresentavano Giona sotto una pianta di  zucca, se si dovesse correggerli sostituendo la cucurbitacea con l'edera ... in attesa che quest'ultima venisse sostituita, a sua volta, da un'altro arbusto. Questa fu l'origine di una strana disputa fra questi due Padri della Chiesa, che né l'uno né l'altro riuscì a placare. Molti artisti avevano rappresentato Giona sotto un pergolato che sorreggeva un fusto sarmentoso guarnito di foglie e fiori di zucca, più o meno allungati come zucchine.
La discussione passò dai teologi ai fedeli e non fu meno penosa. Quando un vescovo osò leggere il racconto biblico nella nuova versione di Gerolamo e parlò di edera, ci fu un notevole tumulto e si gridò al sacrilegio; ne seguì una sommossa. Sant'Agostino trattò in guanti bianchi Gerolamo, scrivendogli una lunga epistola, alla quale egli rispose aspramente, ma riconobbe, dopo dei brutti giochi di parole sul suo contraddittore, che non esistevano in latino parole corrispondenti alla pianta in questione, perché essa era sconosciuta nel mondo occidentale.
Tutto ciò non spiega il fatto che la zucca, o la zucchina, siano divenute gli attributi costanti di Giona."

Potrebbe essere che la zucca, almeno quella conosciuta in Europa in antichità, non è pianta perenne ma annuale e che quindi nasce e secca, come l'albero di Giona, a simboleggiare morte e rinascita. Forse è anche simbolo dell'animo del profeta, così altalenante nei suoi propositi. Ma forse una spiegazione è che il racconto di Giona era un antichissimo racconto di tradizione popolare che aveva la zucca come protagonista in quanto cibo molto comune.

Wikipedia ci dice che le zucche sono riportate anche nel Corano. "Se non fosse stato uno di quelli che glorificano Dio, sarebbe rimasto nel ventre (della balena, cfr) fino al Giorno della Resurrezione"  (Corano, sūra 37, Āyāt 143-144). Non appena Giona fu arrivato sulla riva del mare, Dio gli fece crescere una pianta di zucche. La sura 37 afferma che Giona riuscì a convertire gli abitanti di Ninive.

Per inciso, è curioso che in genere si parli delle zucche come originarie dell'America. Da Wikipedia: "La zucca è stata importata in Europa dai coloni spagnoli dall'America". Ma, come dice bene l'Istituto Superiore Zanelli, "A Roma dal I° secolo a.C. al III° d.C. [la zucca] figura nelle mense semplici allo stesso prezzo del cocomero e la sua comparsa nei pranzi citati da Marziale a Plinio ne preannuncia la fortuna in età moderna, mentre è presente nei manuali di orticoltura e in tutti i ricettari, dall'anonimo toscano della fine del '300 sino all'Artusi." Insomma, c'è zucca e zucca, e quella di Halloween, che oggi è l'archetipo di zucca, è arrivata in Europa dall'America.
Volete anche una ricetta? Ecco il link . Sempre in questo link, Elena Grasso scrive: "Lo studio dei testi antichi dimostra come la zucca era conosciuta nel bacino del mediterraneo già ai tempi dei greci e dei romani. Nella satira di Seneca intitolata Apolokyntosis, cioè la deificazione di una zucca (dal greco Ἀποκολοκύντωσις con chiaro riferimento ad κολόκυνθα cioè zucca, ancor oggi, in greco zucca si dice κολoκΰθi), l’imperatore Claudio era definito appunto “zuccone”. Inoltre, Marziale (libro XI, 31) scrisse di un pranzo a base di zucche, dall’antipasto al dessert, noioso come non mai ma molto economico per l’anfitrione Cecilio. Le zucche sono citate anche da Dioscoride e Plinio il vecchio (il primo ad utilizzare il nome di cucurbita), e l’uso di alcune specie di Lagenaria (dal greco làgenos, fiasco, forse da lagon, spazio vuoto) ci è stato tramandato in molte raffigurazioni alto-medievali ben precedenti i viaggi di Colombo." Ed in effetti, nell'illustrazione della scena di Giona che vediamo nella seconda immagine c'è la zucca a fiaschetta.

Concludiamo ricordando che nel Martirologio Romano, alla data del 21 settembre, si legge "Commemorazione di san Giona, profeta, figlio di Amittai, sotto il cui nome è intitolato un libro dell'Antico Testamento; la sua celebre uscita dal ventre di un grosso pesce è interpretata nel Vangelo come prefigurazione della Risurrezione del Signore". Secondo un'antica tradizione le spoglie di Giona si troverebbero nella cattedrale di Nocera Inferiore. Il vescovo Simone Lunadoro descrive come avvenne il ritrovamento del corpo del profeta.

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Una piccola nota sulla bottega di artigiani ed artisti che ha creato il pulpito di Santa Maria in Valle Porclaneta

Ruggero, Roberto e Nicodemo, da Treccani

Erano scultori appartenenti a una bottega operante in varie località dell'Abruzzo intorno alla metà del sec. 12°. La prima testimonianza della loro attività è costituita dal ciborio della chiesa abbaziale di San Clemente al Vomano (prov. Teramo). Tal ciborio può essere assegnato a Roberto e a suo padre Ruggero. Nell'abbazia di San Clemente a Casauria (prov. Pescara) la medesima bottega dovette realizzare un ciborio, oggi perduto, forse commissionato, insieme a quello esistente a San Clemente al Vomano, dall'abate Oldrio negli anni 1136-1147.
Nel 1150 Roberto, questa volta non più associato al padre ma a Nicodemo, firmò il pulpito nella chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta presso Rosciolo (prov. L'Aquila) nella Marsica, secondo quanto si legge nell'iscrizione lungo il parapetto della scala. Il pulpito, frammentario, è addossato al secondo pilastro della navata centrale. Il programma iconografico si può parzialmente ricostruire grazie al confronto con i pulpiti di Santa Maria del Lago a Moscufo e di S. Stefano a Cugnoli (prov. Pescara): dei quattro simboli degli evangelisti resta solo il corpo acefalo del leone sulla parte bassa del lato anteriore; su questo stesso lato, entro riquadri, sono raffigurati due diaconi con il turibolo e con il libro - probabilmente i ss. Stefano e Lorenzo -, la Lotta di Davide con l'orso e la Danza di Salomè. Lungo il parapetto della scala si svolgono le Storie di Giona. Contestualmente i due scultori eseguirono nella stessa chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta anche il ciborio che, assai simile nella struttura a quello di San Clemente al Vomano, se ne differenzia per alcuni elementi. Le colonne impiegate non sono di spoglio e il corpo del baldacchino su tutti e quattro i lati presenta archi trilobi e non un doppio arco a ferro di cavallo. Secondo una lapide un tempo murata a sinistra dell'altare, nel 1151 Nicodemo avrebbe costruito un ciborio nella chiesa parrocchiale di S. Cristinziano a San Martino sulla Marrucina presso Guardiagrele (prov. Chieti), di cui restavano quattro colonnette ottagonali sormontate da capitelli prima che l'edificio fosse distrutto da una tromba d'aria nel 1919.
Nel 1159 Nicodemo da solo firmò ed eseguì il pulpito di Santa Maria del Lago a Moscufo, come indicano le iscrizioni. L'ultima opera documentata è il frammentario pulpito della chiesa di S. Stefano a Cugnoli, proveniente dalla chiesa di S. Pietro, eseguito nel 1166 da Nicodemo, che replicò il tipo precedente con pochissime varianti. Un'iscrizione ne attesta la committenza di Rainaldo di Collemezzo, abate di Montecassino dal 1137 al 1166.
Per quanto riguarda l'origine della bottega e lo stile delle opere, gli studiosi ne hanno variamente evidenziato gli influssi arabeggianti nelle fittissime decorazioni, negli ornati che simulano caratteri cufici e nell'impiego dell'arco a ferro di cavallo o trilobo. Recentemente l'influenza islamica è stata riconosciuta mediata attraverso la Puglia, la Sicilia, la Spagna (Córdova, Toledo) e l'Africa settentrionale (Tunisia). Inoltre, i componenti della bottega, non abruzzese, sono stati ritenuti di origine normanna. Accertati gli indubbi caratteri islamizzanti che segnano le opere della bottega di Ruggero, Roberto e Nicodemo, sono stati individuati il loro antecedente in un gruppo di sculture che, sebbene non possano ritenersi prodotte da uno stesso atelier, ne manifestano però un indirizzo stilistico unitario.