Dall'articolo
Amedeo Avogadro Come Ritratto Da Eligio Perucca in Un Articolo Del 1957
Con l’arrivo alla cattedra di fisica dell’Università, sembra che Amedeo Avogadro abbia finalmente raggiunto uno status che gli permette di continuare tranquillamente i suoi studi scientifici. Ma non è così. Siamo infatti nel periodo dei moti del 1820-21, rivoluzioni organizzate da società segrete, come la Carboneria, che hanno finalità costituzionali, liberali e, in Italia, anche talora indipendentistiche e unitarie [45]. In Piemonte, si cercò addirittura di coinvolgere la dinastia sabauda nella rivoluzione.
Si voleva forzare il re Vittorio Emanuele I (1759-1824) ad accordare la Costituzione, e liberare Milano dagli austriaci, al grido di Vittorio Emanuele Re dell’Italia del Nord. Erano della congiura il Conte Santorre di Santarosa (1783-1825), Carlo Asinari di San Marzano e Giacinto Provana di Collegno. Il Santarosa doveva persuadere il giovane Carlo Alberto di Savoia Carignano ad aderire al piano, ma Carlo Alberto era titubante. I rivoluzionari allora ruppero gli indugi: il 10 marzo 1821 alcuni ufficiali della guarnigione di Alessandria si ammutinarono, imitati da alcuni reparti in Torino.
Il re rimase fermo nel suo rifiuto di concedere la costituzione ed abdicò in favore del fratello Carlo Felice (1765-1831), Dato che il nuovo re era a Modena, lasciò a Torino Carlo Alberto come reggente. Carlo Alberto concesse la costituzione, mentre Santarosa lo scongiurava di marciare su Milano.
Intanto Torino era rimasta indifferente a questa rivoluzione, come anche le provincie. E solo una piccola parte dell’esercito aveva aderito alla sollevazione. Il nuovo re arrivò a Torino il 16 marzo del 1821. Con un proclama, Carlo Felice dichiarava ribelli gli aderenti alla rivoluzione e sconfessava l’operato di Carlo Alberto, che doveva subito presentarsi a Novara, presso le truppe fedeli al monarca, altrimenti sarebbe stato diseredato. Il reggente obbedì e raggiunse Novara. Il piccolo esercito messo insieme dal Santarosa cercò di raggiungere il milanese, ma nei pressi di Vercelli, l’8 aprile 1821, l’armata imperiale li disperse con facilità. Finiva così la rivoluzione piemontese, ma non finivano le battaglie di Santarosa, che morì nel 1825 combattendo per l’indipendenza della Grecia [46].
Torniamo ai provvedimenti repressivi di Carlo Felice. Con decreto del 24 Luglio 1822, sopprime alcune cattedre universitarie tra le quali è quella di “fisica sublime”, cioè la cattedra di Fisica all’Università. “Il Sig. Cav. Avogadro avrà a godere dell'annuo trattenimento di L. 600 sulla Cassa dell'Università, sino a che sia destinato ad altro impiego.” Due anni dopo, nel 1824, gli è confermato l'annuo trattenimento di L. 300, come pensione per l'insegnamento di Vercelli. Totale, L. 900 annue. Ma di lì a qualche mese Avogadro è nominato “Mastro-Uditore sedente in Magistrato nella Reale Camera dei Conti,” una carica di cui nello stesso 1824 divenne titolare e che conservò per tutta la vita [3]. Nelle Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino del 1829, leggiamo infatti che Avogadro era il “Cavaliere Amedeo Avogadro di Quaregna, Professore Emerito di Fisica sublime nella Regia Università, Mastro Uditore nella Regia Camera de’ Conti”. Era professore emerito, perché la cattedra era stata soppressa. “È noto quali colpe macchiassero l'Alma Mater di Torino: nei suoi giovani fu il fermento delle “prime splüe”, le prime scintille ancor solo vagamente consapevoli del risorgimento.” [3] Non è noto quali colpe gravassero sul professore di fisica, “che [se] ci è facile immaginar col cervello pieno di molecole integranti, ci è difficile immaginar nelle vesti del cospiratore.” [3] Ispezioni fatte per l'occasione lo trovarono esente da connivenze. Era finito in una rappresaglia dovuta al clima dell’epoca. Come dice Wikipedia, per un sospetto entusiasmo per questi movimenti, l'università era stata “lieta di permettere a questo interessante scienziato, di prendere una pausa di riposo dai pesanti doveri dell'insegnamento, in modo da essere in grado di dare una migliore attenzione alle sue ricerche.” [47] A proposito di quanto gli era accaduto, Perucca ci dice che Avogadro non ne parla.
Nell’immensa mole di pagine vergate di suo pugno, raccolte nella Biblioteca Civica, non si trova “un cenno che amarezza, scoraggiamento, irritazione, ribellione lo invadano, o almeno alberghino in lui. Se scritti privati, se un epistolario di Amedeo Avogadro [dice Perucca] esistono, essi sono tuttora ben ignorati; d'altronde troppo raccolta fu la sua vita, troppo tacita la sua morte, troppo tardo il suo riconoscimento, perché io osi sperare ancor fruttuosa la ricerca dello storico, e mutevole il ritratto di Avogadro.” [3]
Avogadro comunque continua le sue ricerche di fisica e chimica. La cattedra gli viene restituita con nomina del 28 Novembre 1834 di re Carlo Alberto, per “l'insegnamento provvisionale”, finché altrimenti disposto. In verità gli viene data dopo che l’aveva lasciata Cauchy, che l’aveva tenuta per un anno [47]. Il 10 Dicembre 1848, il Consiglio universitario chiede al Magistrato della Riforma che Avogadro sia nominato Professore effettivo. Secondo Perucca, “non risulta che la proposta abbia avuto seguito.”