Welcome!

Benvenuti in queste pagine dedicate a scienza, storia ed arte. Amelia Carolina Sparavigna, Torino

Wednesday, September 19, 2018

Dal saggio «Caesar als Historiker» di M. Gelzer

A proposito di Giulio Cesare come storico, mi è stato segnalato da Francesco Carotta questo passo dal saggio "Caesar als Historiker" di Gelzer. Carotta,  gentilmente, mi ha anche fornito una traduzione dall'originale in tedesco. Prima della lettura, desidero ricordare che Cesare scriveva per i romani che potevano leggerlo, che erano molto pochi, e che per la stesura del De Bello Gallico ha usato i suoi rapporti di guerra, e quelli dei suoi generali che doveva inviare al Senato di Roma. Nel libro si trovano quindi fatti ben noti al Senato di Roma, nonché ai suoi generale.  Se Cesare avesse inventato, ai suoi nemici in Roma, la cosa non sarebbe passata inosservata e sarebbe stata denucniata. 
Lasciatemi anticipare le parole di Gelzer che troverete nel testo, che ci ricordano che la STORIA è essa pure materia scientifica: "Di fronte a ciò, allo storico di formazione scientifica è lecito  ricordare che una critica appropriata deve partire innanzitutto dalle condizioni politiche e sociali e dai concetti dell’epoca." "Demgegenüber darf der wissenschaftlich geschulte Historiker daran erinnern, daß sachgemäße Kritik zunächst von den politischen und sozialen Verhältnissen und Vorstellungen des Zeitalters auszugehen hat."
Aggiungo una osservazione ed una nota.
Osservazione: il "darf" di Gelzer  rende bene l'idea che, nonostante la pregressa letteratura su Cesare prodotta da  Rambaud e, nel suo solco, da Carcopino e Canfora,  mi è lecito discutere la storia senza mettermi gli "occhiali" moderni. Ed è  mia opinione che, con "occhiali" moderni, non si faccia scienza ma politica. Dal mio punto di vista avrei messo addirittura un "deve".
Ed ecco la nota:  un passo da "Analysen zu Suetons Divus Julius und der Parallelüberlieferung", di Cordula Brutscher, pubblicato in Noctes Romanae Bd.8, 1958, p. 68:
"Dem Erforschen der historischen Wahrheit sind selbstverständliche Grenzen gesetzt : nie wird man ein Ereignis bis in das letzte psychologische Detail reproduzieren können, auch wenn es noch so reich dokumentiert ist, weil die Kategorien des Denkens einer Epoche von keiner anderen ganz verstanden werden können." "Alla ricerca della verità storica sono posti dei limiti ovvii: non si potrà mai riprodurre un avvenimento fin nell’ultimo dettaglio psicologico, per quanto riccamente documentato possa essere, perché le categorie del pensare di un’epoca non possono essere capite completamente da nessun’altra." [Traduzione di Francesco Carotta].


M. Gelzer, «Caesar als Historiker», in: Kleine Schriften Bd. 2, Wiesbaden 1963, S. 312–314:
[…] Prendiamo dapprima in considerazione il de bello Gallico. Quest’opera serve da secoli da libro scolastico, essendo dunque uno dei libri antichi più letti. Gli insegnanti di latino di quando andavo a scuola sapevano i 7 libri a memoria; grazie a questo intensivo occuparsene vennero esaminati così attentamente, come il loro autore non avrebbe mai potuto prevedere, scrivendo egli in fretta e figurandosi come lettori innanzitutto i senatori dell’anno 51. Detto per inciso, la formula spesso ripetuta di Mommsen (26), che essi siano 'il rapporto militare del generale democratico al popolo dal quale aveva ricevuto l’incarico' trae sfortunatamente in inganno, perché né Cesare era un 'democratico', né il 'popolo romano' leggeva. Ovviamente vennero letti anche da uomini colti dell’ordine equestre come Attico e soprattutto da quelli che erano al servizio di Cesare, come Cornelio Balbo. Ma l’ordine equestre nel suo insieme non era un fattore politico determinante, orientandosi a seconda dei rapporti di forza.
L’intenso studio moderno di Cesare ha condotto, soprattutto nel de bello Gallico, ad un eccesso di critica, iniziata già nel secolo scorso, ed in tempi più recenti degenerata fino alla mania, nell’intento di smascherare Cesare come uno dei peggiori falsificatori della storia. Di ciò in Germania è sintomatico uno scritto di Peter Huber "Die Glaubwürdigkeit Caesars in seinem Bericht über den Gallischen Krieg" (La credibilità di Cesare nel suo commentario sulla guerra Gallica), pubblicato per la prima volta nel 1912, e nel 1931 in seconda edizione (27). Nella conclusione (p. 110) riassume: "Si andrebbe di molto errati se si volesse addebitare a Cesare principalmente soltanto di tacere od abbellire fatti spiacevoli. Molto peggio è che si possano dimostrare nel suo rapporto non poche affermazioni altamente dubbie quanto alla motivazione delle sue imprese, come pure travisamenti intenzionali e grossolane deformazioni nella narrazione del loro svolgersi." Tale critica fu spinta al colmo da Michel Rambaud nel libro "L’art de la déformation historique dans les Commentaires de Cesar" (1953). Otto Seel ha di recente giustamente messo in luce la fatalità inerente a questo tipo di critica, dovendo essa evincere i suoi argomenti da Cesare stesso, poiché per la guerra Gallica mancano quasi completamente ulteriori fonti da lui indipendenti (28).
Invece nessuno vorrà sottovalutare i meriti dell’acribia filologica quando segnala contraddizioni nell’opera di Cesare. Ciò vale per esempio per le cifre date sulle perdite dei Nervii nella battaglia del fiume Sabis nell’anno 57, …
[...]
Però l’acribia filologica è spesso unita a moventi di natura emozionale. Vi entra in gioco il nazionalismo. Cesare è infatti una fonte importante per la protostoria celtica e germanica, e si tenta di considerare i suoi rapporti dal punto di vista degli antenati. Oppure coloro che studiano la storia del proprio paese o delle tecniche militari cercano solerti i riscontri sul terreno delle indicazioni topografiche scritte per senatori che non disponevano di carte geografiche, e di ricostruire le operazioni belliche in tutti i dettagli. Ultimamente vi si aggiungono passioni pacifiste e socialiste, con rigetto delle guerre di conquista e dell’imperialismo, eppoi risentimenti contro  comandanti nati, che non provengono dagli strati sociali più bassi degli operai e dei contadini. Con grande ingenuità viene presupposta già nell’antichità l’esistenza di una propaganda mendace, quale fu resa possibile solo dalla tecnica moderna, un errore che sta alla base dello zelante libro di Rambaud. Bertolt Brecht lasciò un frammento di romanzo, "Gli affari del signor Giulio Cesare“ (Berlino 1957), dal quale mi sono notato la seguente frase (p. 8): "Aveva persino scritto lui stesso dei libri, per ingannarci. Ed aveva pure speso soldi, e non pochi! Per prevenire il riconoscimento dei veri motivi dei loro atti, i grandi uomini ci hanno messo il sudore."
Di fronte a ciò, allo storico di formazione scientifica è lecito ricordare che una critica appropriata deve partire innanzitutto dalle condizioni politiche e sociali e dai concetti dell’epoca. Si deve sapere prima di tutto che la politica romana veniva allora fatta nel Senato. C’erano altresì assemblee popolari che eleggevano annualmente i magistrati e votavano i progetti di legge. Tuttavia esse si riunivano soltanto a Roma, e del milione di cittadini aventi diritto al voto in Italia vi partecipavano al massimo alcune migliaia. Privatamente i senatori parlavano [con disprezzo] della imperita multitudo, facilmente manovrabile con mezzi demagogici. Proprio per questo i Commentarii [di Cesare] si rivolgevano in primo luogo ai senatori.
[…]

(26) p. e. Ed. Norden, Die antike Kunstprosa (1898), 210. Fr. Bömer Hermes 81, 249.
(27) Bamberg, Buchner Verlag.
(28) Ambiorix, Beobachtungen zu Text und Stil in Caesars B. G. Jahrbuch für fränkische Landesforschung 20 (1960), 55. Inoltre nella prefazione dell’edizione, p. 78. Esemplare per la sua prudenza ed avvedutezza di giudizio Fr. Adcock, Caesar as Man of Letters.

II.
Wir fassen zunächst das bellum Gallicum ins Auge. Dieses Werk dient seit Jahrhunderten als Schulbuch, ist also eines der am meisten gelesenen antiken Bücher. Die Lateinlehrer meiner Schulzeit kannten die 7 Bücher auswendig, und dank dieser intensiven Beschäftigung wurden sie in einer Weise unter die Lupe genommen, wie es ihr schnell schreibender Verfasser, der sich als Leser zunächst die Senatoren des Jahrs 51 vorstellte, nicht ahnen konnte. Beiläufig sei bemerkt, daß Mommsens oft nachgesprochene Formulierung(26), sie seien "der militärische Rapport des demokratischen Generals an das Volk, von dem er seinen Auftrag erhalten hatte", bedauerlich irreführt, weil weder Caesar ein 'Demokrat' war noch das 'römische Volk' Bücher las. Selbstverständlich wurden sie auch von gebildeten Männern des römischen Ritterstands wie Atticus gelesen und vorab von denen in Caesars Dienst, wie Cornelius Balbus. Aber der Ritterstand im ganzen war kein selbständiger politischer Machtfaktor, sondern richtete sich nach den Machtverhältnissen.
Das moderne intensive Caesarstudium hat insonderheit beim bellum Gallicum zu einer Überfülle von Kritik geführt, die schon im vorigen Jahrhundert begann und in neuerer Zeit bis zur Manie ausartete, Caesar als einen der schlimmsten Geschichtsfälscher zu entlarven. In Deutschland ist dafür symptomatisch eine Schrift von Peter Huber "Die Glaubwürdigkeit Caesars in seinem Bericht über den Gallischen Krieg", die zuerst 1912 und 1931 in 2. Auflage erschien(27). Im Schlußwort (110) faßt er zusammen: „Man würde aber weit fehlgehen, wollte man Caesar in der Hauptsache bloß Verschweigen und Beschönigen unliebsamer Tatsachen zur Last legen. Viel schlimmer ist, daß sich in seinem Bericht nicht wenige höchst fragwürdige positive Angaben in der Begründung seiner Unternehmungen ebenso wie in der Schilderung ihres Verlaufs, bewußte Verdrehungen und grobe Entstellungen der Wahrheit nachweisen lassen." Auf den Gipfel wurde diese Kritik getrieben von Michel Rambaud in dem Buch "L’art de la déformation historique dans les Commentaires de Cesar" (1953). Otto Seel hat kürzlich zutreffend auf das Fatale dieser Art von Kritik hingewiesen, sofern sie nämlich ihre Argumente aus Caesar selbst gewinnen muß, da für den Gallischen Krieg sonstige unabhängige Überlieferung beinahe ganz fehlt (28).
Dagegen wird niemand die Verdienste philologischer Akribie, die auf Widersprüche im Werk Caesars hinweist, verkennen. Das gilt beispielsweise für die Angabe über die Verluste der Nervier in der Schlacht am Sabis im Jahr 57, …
[...]
Jedoch die philologische Akribie ist vielfach verquickt mit Antrieben emotionaler Natur. Da spielt Nationalismus hinein. Caesar ist ja eine wichtige Quelle für die keltische und germanische Frühgeschichte, und man sucht seine Berichte vom Standpunkt der Vorfahren aus zu betrachten. Oder Heimatforscher und Militärschriftsteller suchen emsig die topographischen Angaben, die für Senatoren geschrieben sind, denen keine Landkarten zur Verfügung standen, im Gelände nachzuweisen und die kriegerischen Operationen in allen Einzelheiten zu rekonstruieren. Neuerdings kommen pazifistische und sozialistische Affekte hinzu mit Ablehnung von Eroberungskriegen und Imperialismus und Ressentiment gegen Herrschernaturen, die nicht der niedrigsten Schicht des Arbeiter- und Bauernstandes entstammen. Mit großer Naivität wird schon im Altertum das Vorhandensein einer Lügenpropaganda vorausgesetzt, wie sie erst die moderne Technik ermöglichte, ein Irrtum, der dem fleißigen Buch von Rambaud zu Grunde liegt. Bertolt Brecht hinterließ ein Romanfragment "Die Geschäfte des Herrn Julius Caesar" (Berlin 19 57), aus dem ich mir folgenden Satz notierte (S. 8): "Er hatte sogar selber Bücher geschrieben, um uns zu täuschen. Und er hatte ebenfalls Geld ausgegeben und nicht wenig! Vor die Erkenntnisse der wahren Beweggründe ihrer Taten haben die großen Männer den Schweiß gesetzt".
Demgegenüber darf der wissenschaftlich geschulte Historiker daran erinnern, daß sachgemäße Kritik zunächst von den politischen und sozialen Verhältnissen und Vorstellungen des Zeitalters auszugehen hat. Da muß man vor allem wissen, daß die römische Politik damals im Senat gemacht wurde. Daneben gab es Volksversammlungen, die jährlich die Magistrate wählten und über Gesetzesvorlagen abstimmten. Doch traten sie nur in Rom zusammen, und von der Million stimmberechtigter Bürger in Italien nahmen bestenfalls einige tausend daran teil. Wenn die Senatoren unter sich waren, sprachen sie von der imperita multitudo, die mit demagogischen Mitteln leicht zu lenken war. Eben darum richteten sich die Commentarien vorab an die Senatoren.
[…]

(26) z. B. Ed. Norden, Die antike Kunstprosa (1898), 210. Fr. Bömer Hermes 81, 249.
(27) Bamberg, Buchner Verlag.
(28) Ambiorix, Beobachtungen zu Text und Stil in Caesars B. G. Jahrbuch für fränkische Landesforschung 20 (1960), 55. Ferner in der Praefatio zur Ausgabe S. 78. Vorbildlich mit seiner Vorsicht und Umsicht des Urteils Fr. Adcock, Caesar als Schriftsteller.

Post archiviato
http://archive.is/oDg0w

YESSA! Lavazza, Maurizio Crozza e i cherubini.

Tuesday, September 18, 2018

Thebes of the seven gates

"Who built the seven gates of Thebes?
The books are filled with names of kings.
Did the kings haul up the lumps of rock ? "

così comincia una poesia di Bertolt Brecht del 1935, dal titolo "Questions From a Worker Who Reads". La trovate al link https://www.marxists.org/subject/art/literature/brecht/

Il riferimento alle sette porte di Tebe, è un riferimento molto raffinato, come tutto il resto della poesia. Ma questo è particolarmente ricercato. Brecht pensa a "I sette contro Tebe" (in greco antico: Ἑπτὰ ἐπὶ Θήβας),  tragedia di Eschilo, rappresentata per la prima volta nel 467 a.C. Ecco l'antefatto. Eteocle e Polinice, figli di Edipo, avevano deciso di regnare un anno a testa.  Eteocle però, allo scadere del proprio anno, non aveva voluto lasciare il trono. Polinice aveva così dichiarato guerra al proprio fratello e alla propria patria. All'inizio della tragedia, Eteocle rincuora la popolazione preoccupata. A Tebe giunge un messaggero, che informa che gli uomini di Polinice sono nei pressi della città, ed hanno deciso di presidiare le sette porte della città di Tebe con sette dei loro più forti guerrieri. 

La poesia di Brecht è molto evocativa. Quello che finisce col passare un po' inosservato è il titolo.
Il tedesco è "Fragen eines lesenden Arbeiters".

Who Built the Seven Gates of Thebes?: A Call to Personalize Social Studies: The Social Studies: Vol 81, No 3

Who Built the Seven Gates of Thebes?: A Call to Personalize Social Studies: The Social Studies: Vol 81, No 3: (1990). Who Built the Seven Gates of Thebes? The Social Studies: Vol. 81, No. 3, pp. 139-140.

Monday, September 17, 2018

Leiden bust of Caesar (Rijksmuseum van Oudheden) Morphing with Tusculum bust.



This is a morphing of the Leiden bust of Julius Caesar. From the left: Leiden bust, 2/3 Leiden and 1/3 Tusculum bust, 1/3 Leiden and 2/3 Tusculum, the face of Tusculum on the Leiden head.


Lifelike rendering of the morphing

Thursday, September 13, 2018

Gaio Giulio Civile

Avete letto bene "Gaio Giulio Civile" e non "Gaio Giulio Cesare"!

I Batavi: un popolo di superman al servizio dell'Imperatore [ di Carlo Ciullini ]

http://www.tuttostoria.net/storia-antica.aspx?code=1055

Tosti questi Batavi!

Tuesday, September 11, 2018

Kalendarium

Kalendarium: Il Calendario Giuliano (Kalendarium), dal nome del suo codificatore Caio Giulio Cesare che nell’anno 46 a.e.v. lo fissò in 365 giorni, con impostazione solare, inizio il 1° gennaio e introduzione dei bisestili, è il calendario attualmente in uso in tutto il mondo. Cesare lo elaborò risettando il precedente calendario numano soli-lunare di 12 mesi, discendente a …

Chi è sepolto in S. Marco a Venezia? E’ ora di analizzare quei resti

Chi è sepolto in S. Marco a Venezia? E’ ora di analizzare quei resti: Da anni giace inascoltata la richiesta di far luce sul mistero: Alessandro Magno o l’Evangelista? Tra le tante “scoperte” storiche che vengono starnazzate sul web da siti di archeo-misteri ce n’è una che non va catalogata come bufala, ma va approfondita. Ci riferiamo alla presunta esistenza dei resti di Alessandro Magno a Venezia. Come noto, la …

Il serpente di Gaffurio e la forma mentis della gente italica

Il serpente di Gaffurio e la forma mentis della gente italica: L’esposizione che segue non pretende di essere un commento alla nota opera del compositore, teorico musicale, sacerdote e cantore Franchino Gaffurio (Practica musice, Firenze 1496), ma soltanto all’immagine che compare nel suo celebre trattato. Questa figura riveste per noi un particolare significato in quanto rappresenta una preziosa sintesi del pensiero neoplatonico, direttamente derivato dagli antichi …