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Benvenuti in queste pagine dedicate a scienza, storia ed arte. Amelia Carolina Sparavigna, Torino

Wednesday, August 1, 2018

Il Graneri a Palazzo Madama, Torino

GRANERI, Giovanni Michele, da il Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002) , di Cristina Giudice
http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-michele-graneri_(Dizionario-Biografico)/

"GRANERI, Giovanni Michele. - Questo pittore attivo in Piemonte alla metà del XVIII secolo è probabilmente identificabile con Giovanni Michele Graneri, figlio di Giovanni Maria "lavoratore di stoffe" e della torinese Clara Maria Andriola, nato a Torino il 28 sett. 1708 e battezzato nella chiesa dei Ss. Simone e Giuda il 30 settembre. Le fonti settecentesche lo dicono allievo di Pietro Domenico Olivero, il più importante e famoso pittore di scene di genere a Torino, ... Come Olivero anche il G. si inserisce nel filone della pittura dei bamboccianti che a Torino era stata conosciuta attraverso l'opera sia di Jan Miel a metà Seicento sia con i quadri di altri pittori fiamminghi presenti nelle collezioni sabaude.... Le prime opere datate e firmate del G. sono del 1738, quattro tele con tipiche scene di genere: una Rissa, un Ciarlatano con saltimbanchi, una Venditrice di cacio e un Venditore di salsicce e carni. I quadri, noti oggi solo attraverso fotografie in bianco e nero, appartennero alla galleria di Pietro Accorsi a Torino. Al 1740 risale il Mercato in piazza del Municipio, tela nota anche come La punizione delle venditrici di uova marce (Torino, Museo civico d'arte antica). È una descrizione accurata di un fatto di cronaca che testimonia in modo vivace e minuzioso la vita quotidiana a Torino a metà Settecento, con gendarmi armati, abiti ricchi o popolari, insegne, edifici, banchetti con frutta e verdura. Il pittore si preoccupa, infatti, di rendere la reale vivacità del fatto con colori accesi e particolari divertenti, senza indugiare troppo sulle fisionomie delle figure, che sono simili tra loro. A differenza di Olivero, il G. non vuole meditare sulle vicende umane che descrive, ma divertirsi e rendere con ironia la vita che gli scorre intorno, esasperandone a volte certi aspetti fino alla loro deformazione. Nel Cavadenti, firmato e datato 1743, il G. costruisce un teatrino in cui il protagonista, vestito di rosso, mostra trionfante il dente estratto, il paziente risponde al dolore alzando il braccio, mentre l'assistente del cavadenti guarda con ammirazione e curiosità attraverso la maschera che gli copre il viso. In primo piano, a destra e a sinistra, sono gruppi di figure, che si ritrovano in altri dipinti del G., quasi presenze fisse sulla scena, e sullo sfondo altre immagini di venditori sotto un portico; la firma del pittore è posta su un quadro appeso a una parete, che illustra un uomo che armeggia con ampolle e alambicchi. ..."

Molti quadri del Graneri si trovano a Palazzo Madama, Torino.









Bamboccianti in Piemonte, Collezione Mellarède de Bettonet

Bamboccianti in Piemonte. Nell'età di Vittorio Amedeo II (1666-1732).
 Dipinti dalla collezione Mellarède. Ediz. illustrata

Arabella Cifani,Franco Monetti
Editore: Fusta, Anno edizione: 2018
Pagine: 80 p., ill. , Rilegato
EAN: 9788885802131


Iugurazione del Teatro Regio di Torino, Pietro Domenico Olivero (1679–1755) - Turin, Palazzo Madama - Museo civico d'arte antica, oil on canvas


MELLARÈDE DE BETTONET, Pietro
di Andrea Merlotti - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)
http://www.treccani.it/enciclopedia/mellarede-de-bettonet-pietro_(Dizionario-Biografico)/

MELLARÈDE DE BETTONET, Pietro. – Nacque a Montmélian, in Savoia, nel 1659, da Jean e da Guillelmine Durat.

Il padre, appartenente a una famiglia della Linguadoca trasferitasi in Savoia nella seconda metà del Seicento, era notaio a Montmélian. Le notizie sulla giovinezza del M. sono rare, il loro reperimento risulta complicato dall’esistenza di un omonimo cugino. Per quasi un ventennio la carriera del M. si compì lungo i percorsi consueti della borghesia forense della Savoia. .... La svolta nella sua carriera avvenne con la nomina, il 22 maggio 1699, a intendente generale di Giustizia e Azienda della città e contado di Nizza. ... Nel Nizzardo il M. svolse un lavoro intenso, il cui frutto migliore fu rappresentato dai poderosi studi preparatori per la compilazione del catasto – una delle grandi riforme istituzionali avviate sotto il ducato e poi sotto il regno di Vittorio Amedeo II – e dalla stesura di alcune importanti opere storiche volte a consolidare il potere sabaudo sulla Contea. In effetti, il Nizzardo costituì una sorta di laboratorio per verificare i metodi da seguire per il catasto e per la perequazione tributaria del resto dello Stato.
Quando Vittorio Amedeo II nel 1703, durante la guerra di successione spagnola, abbandonò l’alleanza con i Borbone per passare al fronte imperiale, le truppe di Luigi XIV invasero Nizza e la Savoia. Il M. riuscì allora a mettersi in salvo a Torino. Pochi mesi dopo, in ottobre, il duca lo inviò presso la Dieta di Berna quale ministro plenipotenziario. E così Mallarède diventa diplomatico per i Savoia. Con una missione presso i Cantoni svizzeri inizia una vera e propria carriera diplomatica, nel corso della quale divenne il più saldo punto di riferimento nella complessa trama della politica estera di Vittorio Amedeo II. Il passo successivo di questa nuova carriera fu la nomina ad ambasciatore presso l’imperatore Giuseppe I, nel 1710.
La missione a Vienna prevedeva, tra l’altro, che egli gestisse i non facili rapporti con il principe Eugenio di Savoia e trattasse la spinosa questione dei feudi imperiali delle Langhe. 
Nel 1711 si recò a Berlino e a Francoforte, dove assistette alle cerimonie per l’incoronazione dell’imperatore Carlo VI. Alla conclusione della guerra di successione spagnola fu inviato ambasciatore a Londra e nominato plenipotenziario sabaudo al congresso di Utrecht (1712-13).
Le missioni diplomatiche servirono al M. per entrare in contatto con la cultura europea più avanzata. Durante il periodo trascorso a ­Utrecht il M. stabilì relazioni, fra gli altri, con diversi teologi protestanti e professori universitari che, rientrato a Torino, avrebbe fatto ufficialmente consultare a proposito della riforma dell’Università torinese, fortemente perseguita da Vittorio Amedeo II. Egli stesso, durante il soggiorno nei territori imperiali, aveva redatto e inviato a Torino una relazione sulle Università di Vienna e Colonia. A Londra le sue conoscenze giuridiche gli valsero la prestigiosa nomina a membro della Royal Society. 
Rientrato a Torino, il M. fu nominato ministro di Stato (titolo conferito per la prima volta nella storia sabauda a un togato) e primo presidente della Camera dei conti il 13 sett. 1713. Il 15 febbr. 1717, quando Vittorio Amedeo II rinnovò l’assetto delle segreterie di Stato, il M. fu nominato primo segreterio di Stato agli Affari interni; il re gli volle conferire anche il ruolo di notaio della Corona, che solitamente spettava al gran cancelliere. Lo stesso giorno della nomina del M., il re creò primo segretario di Stato per gli Affari esteri il marchese Ignazio Solaro del Borgo. Con il marchese del Borgo (restato in carica sino al 1732) il M. avrebbe retto le sorti della politica sabauda nell’ultima parte del regno di Vittorio Amedeo II, affermandosi come il principale artefice della sua politica di riforme amministrative ed economiche.
Il 28 sett. 1715 il M. entrò nelle file della nobiltà.
Nel 1715 il M. fu nominato promotore perpetuo dell’Accademia degli Incolti di Torino (*), la principale accademia della capitale. Durante gli anni torinesi mise insieme un’importante raccolta di opere di pittori bamboccianti, soprattutto fiamminghi attivi in Piemonte, e quadri di Pietro Domenico Olivero. La collezione, di grande valore sia artistico sia storico, è tuttora conservata al castello di Betton Bettonet. 
Il M. fu il più ascoltato e fidato consigliere del sovrano nelle principali fasi di riforma dello Stato durante i primi tre decenni del Settecento; ebbe parte attiva nella controversia giurisdizionalistica con Roma, nella riorganizzazione delle segreterie di Stato, nell’imponente lavoro di consolidamento delle Regie costituzioni del 1723 e del 1729, nella riforma dell’Università di Torino, nella prosecuzione della catastazione, destinata a impegnare fino alla crisi dell’antico regime la politica amministrativa dei Savoia. ...
Il M. morì a Torino il 19 marzo 1730 e fu sepolto nel santuario della Consolata.

(*) Delle società letterarie del Piemonte, Tommaso Vallauri, Favale, 1844.

Tuesday, July 31, 2018

Erasmo a Torino

Il 4 settembre 1506 Erasmo da Rotterdam si laureò in teologia all’Università di Torino, dove, nel cortile del Rettorato è stata posta la targa commemorativa. Del suo passato si conosce giusto il luogo di nascita, Rotterdam, e che divenuto orfano ancora in giovane età, e che visse miseramente per colpa delle balie che lo alleggerirono degli averi lasciategli dai genitori. Prima di laurearsi a Torino passò del tempo a Parigi per arricchirsi culturalmente. Successivamente, sempre in diverse parti dell’Europa, partecipò a numerose lezioni, tenute da diversi personaggi di spicco dell’epoca: Montaigne, Manunzio ed infine Moro. Dopo anni di lunghe battaglie che lo videro contrapposto alla Chiesa Cattolica, era il 1536 quando Erasmo morì a Basilea (*).




(*) da http://www.mole24.it/2014/09/04/erasmo-rotterdam-torino-per-laurearsi/

Erasmo e Cicerone

Ecco il link ad un articolo su Erasmo da Rotterdam. Da leggere!



L’assedio di Castel Sant’Angelo da parte di Carlo V (1527). Dentro il castello si era rifugiato Papa Clemente VII che si vede affacciato alla Loggia.

Pittori olandesi a Roma

Da http://caravaggio400.blogspot.com/2017/04/i-pittori-olandesi-roma-tra.html

"I pittori olandesi vennero a Roma nel XVI secolo per diverse ragioni; cercavano di perfezionare la loro formazione artistica studiando l'antichità classica e i maestri moderni quali Raffaello e Michelangelo. Dagli inizi del XVII secolo, continuarono a venire nella Città Eterna ma parecchi aspetti erano radicalmente cambiati. Prima di tutto, una minima parte rimase più a lungo del necessario per un semplice viaggio di studio - spesso si stabilivano per alcuni anni. Cominciarono anche a sviluppare uno stile pittorico che non aveva niente a che fare con l'antichità classica - sia optando per Caravaggio, o sviluppando le cosiddette Bambocciate o pittura di genere che furono molto richieste da committenti e acquirenti locali. Gli aspetti sociali  e di mercato rimasero furono all'origine di tale cambiamento."

Da Wikipedia
"The Bamboccianti were genre painters active in Rome from about 1625 until the end of the seventeenth century. Most were Dutch and Flemish artists who brought existing traditions of depicting peasant subjects from sixteenth-century Netherlandish art with them to Italy, and generally created small cabinet paintings or etchings of the everyday life of the lower classes in Rome and its countryside. Typical subjects include food and beverage sellers, farmers and milkmaids at work, soldiers at rest and play, and beggars, or, as Salvator Rosa lamented in the mid-seventeenth century, "rogues, cheats, pickpockets, bands of drunks and gluttons, scabby tobacconists, barbers, and other 'sordid' subjects." Despite their lowly subject matter, the works found appreciation among elite collectors and fetched high prices."



Landscape with Morra Players) attributed to Jan Both

Editti di Milano e Tessalonica e conseguenze per i non cristiani

Cerchiamo, ogni tanto, di leggere la storia come la vedono i non cristiani. Pensate di essere stato all'epoca un pagano,  e di non aver mai fatto del male in vita vostra. Ecco cosa vi succedeva.

L'Editto di Milano, noto anche come come editto di Costantino, è l'accordo sottoscritto nel Febbraio 313 dai due Augusti dell'impero romano, Costantino per l'Occidente e Licinio per l'Oriente, in vista di una politica religiosa comune alle due parti dell'impero. La diarchia Costantino-Licinio durò per undici anni. I due imperatori governarono in pratica in due regni separati. La pace interna cessò nel 323. Nel 324 Costantino sconfisse Licinio in una serie di battaglie, costringendolo a cedergli la sua parte dell'impero.
Le conseguenze dell'editto di Costantino per la vita religiosa nell'impero romano sono tali da farne una data fondamentale nella storia dell'Occidente. A mio avviso, a sancire l'inizio della fine del mondo antico.
Secondo l'interpretazione tradizionale, Costantino e Licinio firmarono a Milano, capitale della parte occidentale dell'impero, un editto per concedere a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di onorare le proprie divinità. Costantino emise poi nuovi editti in favore dei cristiani. 
I principali provvedimenti religiosi emessi dall'imperatore furono i seguenti.
Nel 321 stabilì che la domenica dovesse essere riconosciuta anche dallo Stato come giorno festivo (dies Solis) - Nel 324 proibì magie e alcuni riti della religione tradizionale (la divinazione privata, fatta nelle case), chiuse i templi e vietò che nei giochi circensi si sacrificassero i condannati a morte. - Nel 325 convoca e presiede il Concilio di Nicea, primo concilio ecumenico. - Nel 326 emanò una legge che proibiva l'adulterio e vietava di portare a casa le concubine, inoltre stabilì che gli ebrei non potessero più convertire gli schiavi né praticare su di loro la circoncisione.

L'editto di Tessalonica, conosciuto anche come Cunctos populos, venne emesso il 27 febbraio 380 dagli imperatori Graziano, Teodosio I e Valentiniano II (quest'ultimo all'epoca aveva solo nove anni).
Il decreto dichiara il cristianesimo secondo i canoni del credo niceno la religione ufficiale dell'impero, proibisce in primo luogo l'arianesimo e secondariamente anche i culti pagani. Per combattere l'eresia si esige da tutti i cristiani la confessione di fede conforme alle deliberazioni del concilio di Nicea. Il testo venne preparato dalla cancelleria di Teodosio I e successivamente venne incluso nel Codice teodosiano da Teodosio II. La nuova legge riconobbe alle due sedi episcopali di Roma e Alessandria d'Egitto il primato in materia di teologia.

"Vogliamo [noi imperatori] che tutti i popoli che ci degniamo di tenere sotto il nostro dominio seguano la religione che san Pietro apostolo ha insegnato ai Romani, oggi professata dal Pontefice Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, uomo di santità apostolica; cioè che, conformemente all'insegnamento apostolico e alla dottrina evangelica, si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno considerati stolti eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa. Costoro saranno condannati anzitutto dal castigo divino, poi dalla nostra autorità, che ci viene dal Giudice Celeste." Dato in Tessalonica nel giorno terzo dalle Calende di Marzo.
L'editto, pur proclamando il Cristianesimo religione di Stato dell'impero romano, non stabiliva alcuna direttiva specifica a proposito. Bisognerà attendere i cosiddetti decreti teodosiani, promulgati dallo stesso Teodosio I, che tra il 391-392 normarono l'attuazione pratica dell'editto di Tessalonica.
Con i decreti Teodosiani, nel 391-392 vennero inasprite le proibizioni verso i culti pagani e i loro aderenti, dando il via a una vera e propria persecuzione del Paganesimo. Furono distrutti molti templi e vennero avallati atti di violenza contro il paganesimo: uno dei più noti fu la distruzione, nel 392 circa, del Serapeum di Alessandria, ad opera del vescovo di Alessandria Teofilo che, alla guida di un esercito di monaci, provocò l'uccisione di numerosi pagani che erano intenti alle loro funzioni sacre. Inoltre L'arcivescovo Giovanni Crisostomo organizzò una spedizione di asceti fanatici ad Antiochia per demolire i templi e far uccidere i fedeli, mentre il vescovo Porfirio di Gaza fece radere al suolo il famoso tempio di Marnas.
Nel 416 un editto dell'imperatore romano d'Oriente Teodosio II stabilì che soltanto i cristiani potevano svolgere la funzione di giudice, rivestire cariche pubbliche ed arruolarsi nell'esercito. Tutti i giudici, impiegati pubblici e ufficiali dell'esercito non cristiani avrebbero dovuto dimettersi. Nel 423 Teodosio II dichiarò che tutte le religioni pagane non erano altro che "culto del demonio" ed ordinò, per tutti coloro che persistevano a praticarle, punizioni quali il carcere e la tortura.
Successivamente, l'imperatore Valentiniano III emanò (17 luglio 445) un editto che contribuì in maniera determinante all'affermazione dell'autorità e del primato della sede vescovile di Roma in Occidente. Questo editto, che non era valido nella parte orientale dell'Impero, riconosceva pienamente il primato giurisdizionale del papato.
In molti casi, la politica degli imperatori successivi si basò sul presupposto che l'unità dell'impero richiedesse anche un'unità religiosa. Così Giustiniano impose pesanti restrizioni a tutte le religioni non cristiane. Nel 527 tutti gli eretici e i pagani persero le cariche statali, i titoli onorifici, l'abilitazione all'insegnamento e gli stipendi pubblici. Nel 529 fu imposta di fatto la chiusura della scuola filosofica di Atene, ultimo centro di eccellenza ancora attivo della cultura pagana. Il mondo classico era definitivamente scomparso dalla faccia della terra.
Per vedere cosa accadde agli Ebrei in particolare, invito il lettore al seguente  sito.


Editto di Caracalla

Constitutio Antoniniana, ovvero l'Editto di Caracalla, è l'editto con cui, nell’anno 212 d.C., l’imperatore Antonino Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutti, o quasi, gli abitanti dell’Impero. Tra i pochi esclusi vi erano i cosiddetti dediticii, ossia i non Romani formalmente privi di ogni altra appartenenza cittadina. ... La costituzione di Caracalla riveste grande importanza anche per la storia del diritto romano, giacché questo venne reso teoricamente applicabile in ogni propaggine dell’Impero, sebbene i provinciali continuassero non di rado a regolare i loro rapporti in base al diritto locale preesistente, oppure mediante una forma di diritto misto, frutto di una commistione fra diritto locale e diritto civile romano.

Da TRECCANI, http://www.treccani.it/enciclopedia/constitutio-antoniniana/


Caesar and the Jews

From the article "Julius Caesar and the Jews"
https://www.jewishhistory.org/julius-caesar-and-the-jews/
"
In 49 BCE, Julius Caesar was pursuing Pompey all the way to Egypt.
"Once there, he committed a rare tactical blunder and found himself besieged in Alexandria by Pompey’s army and its allies. Sorely in need of friends, he looked for any help that would extricate him from his dangerous situation. 
Until that time, Hyrcanus had been an official ally of Pompey. However, he shrewdly switched sides and declared his allegiance to Caesar. He then committed over 3,000 Jewish soldiers to an expeditionary force that invaded Egypt and helped raise the siege of Alexandria.
Thus, when the Roman civil war ended in Julius Caesar’s complete victory Hyrcanus was in a fortuitous position. Indeed, Caesar showed the Jews his gratitude for their help. He revoked the harsh decrees and burdensome taxation imposed by Pompey. He also allowed the walls and fortifications of Jerusalem to be rebuilt and restored Jaffa as well as a number of other coastal cities to Jewish rule." 
The assassination of Caesar in 44 BCE worried the Jews: "Would his successor be as positively disposed toward them? Tragically, that eventual successor, Marc Antony, gave power to a man whose rule was as antithetical to Jewish principles and ideals as imaginable."
The man was Herod, the murder of his sons.

Monday, July 30, 2018

Ordine di grandezza

L'ordine di grandezza di un numero è la potenza del 10 più vicina al numero considerato.
Esistono vari modi per determinare l'ordine di grandezza di un numero. Uno di essi è il seguente: innanzitutto scriviamo il numero in notazione scientifica: a = k x 10n con k  maggiore o uguale a 1 e minore di 10.  L'esponente n  è intero.
L'ordine di grandezza di a è 10n se il valor assoluto di k è MINORE di 5, invece è 10n+1 se il valor assoluto del numero k è MAGGIORE o UGUALE a 5.

Sunday, July 29, 2018

Varo, ridammi le mie legioni!

Dal sito
http://win.storiain.net/arret/num162/artic4.asp

"Ma i successi delle armi romane sono di breve durata. Nel corso dello stesso anno avviene un disastro senza precedenti in Germania. La provincia è agli ordini del governatore Publius Quintilius Varus, un parente acquisito di Menenio Agrippa, genero e uomo di fiducia di Augusto (morto 20 anni prima). Varo, che non possiede una grande statura di comandante militare, si trova in guarnigione ad Aliso, con la XVII, XVIII e XIX Legione, e si lascia imbrogliare all'annuncio di un inizio di rivolta nella regione. Non capisce che l'istigatore non è altro che Arminio, un cerusco alla guida delle truppe ausiliarie del suo stesso esercito. Ordina quindi di marciare, in pieno autunno, verso est con le tre legioni (circa 15.000 uomini) con il rinforzo di tre ali di cavalleria (circa 800 uomini). Arminio ne approfitta per disertare e preparare una vasta imboscata, con l'aiuto di Ceruschi, Cauchi e Marsi, nella foresta di Teutoburgo, fra l'Ems e la Weser. Il terreno scelto dai Germani per l'attacco (foresta fitta e paludi) impedirà ai Romani di far valere le loro qualità manovriere. La sorpresa è totale. I legionari, appesantiti dai loro bagagli (nella colonna ci sono civili, donne, bambini o schiavi) e vittime dell'apatia di Varo, vengono rapidamente accerchiati. I Romani resistono, grazie alla loro disciplina e alle loro qualità di combattenti, ma non possono sfuggire alla rete nella quale sono stati intrappolati. Gli ausiliari germani disertano e si schierano dalla parte di Arminio. Il giorno dopo, la cavalleria romana tenta di aprirsi un varco verso Aliso, ma non vi riesce. Il terzo giorno, col morale ormai a terra, i Romani soccombono alla superiorità numerica dei Germani. Verranno praticamente tutti massacrati, tranne una decina di uomini che riescono a fuggire. Varo si suicida prima di essere catturato. Il disastro è totale. Si tratta della più pesante sconfitta romana dopo quella di Crasso contro i Parti nel 53 a.C.
Arminio si afferma come una figura quasi mitica, alla quale i Germani faranno riferimento nella loro lotta contro Roma. Il capo cerusco porta con sé - umiliazione suprema per i Romani - le tre aquile delle legioni di Varo. L'imperatore Augusto viene costretto a riportare la frontiera sul Reno. Secondo Svetonio, Augusto non si rimetterà più da questa sconfitta, ripetendo senza sosta nel corso degli ultimi anni di vita: «Varo, Varo ridammi le mie legioni !». Augusto muore nel 14, senza avere occasione di una rivincita completa su Arminio, che Tiberio, suo successore, affiderà ben presto a Germanicus."