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Benvenuti in queste pagine dedicate a scienza, storia ed arte. Amelia Carolina Sparavigna, Torino

Friday, November 23, 2018

Il report di Giulio Cesare sulla guerra contro Usipeti e Tencteri

Nel post Caesar's Propaganda? XenophonTheAthenian's answer ed in altri post si è evidenziato come il testo del De Bello Gallico fosse basato su report fatti da Cesare, e altri suoi generali, al Senato di Roma. Il De Bello Gallico vediamolo quindi come un insieme di tali report, adeguati da Cesare alla forma di un libro. Questo spiega anche l'uso della terza persona ed una certa non uniformità stilistica. Per mostrare come sono alcuni di questi report, prendiamo quello relativo alla guerra contro i Germani (Usipeti e Tencteri, nel Libro IV). Il quarto libro ci appare su alcuni punti  non preciso. Questa apparenza deriva dal seguente fatto: i Senatori di Roma erano ovviamente già a conoscenza di tattiche e strategie dell'esercito Romano, come ad esempio quante e quali legioni avesse Cesare in Gallia e quindi non necessitavano di spiegazioni dettagliate.

Liber IV E' il libro del De Bello Gallico che comincia con quanto accadde nel 55 AC. Usipeti e Tencteri passano il Reno ed arrivano in Gallia, uccidono e scacciano i Menapii dalle loro terre, e si aggirano tra le tribù locali. Cesare dice che gli Usipeti e i Tencteri, tormentati da un'altra popolazione germanica, quella degli Suebi, molto più numerosi e pericolosi, avevano dovuto abbandonare le loro terre e dopo aver vagato per tre anni erano arrivati alle terre dei Menapii, che si estendevano sia da una parte che dall'altra del Reno. Avevano eliminato i Menapii ingannandoli; avevano finto di ritirarsi e poi erano tornati ad attaccarli a sorpresa facendone strage. Si erano così potuti  impossessare delle loro imbarcazioni, necessarie per attraversare in massa il Reno, e di riserve alimentari e casolari per superare l'inverno. In effetti, anche se non detto da Cesare, essi avevano sostituito i Menapii nel controllare il passaggio sul Reno tra i territori dei Galli e quelli dei Germani.
A questo antefatto, nel quarto libro del De Bello Gallico, segue una ampia descrizione degli Suebi. C'è anche una descrizione di come combatte la cavalleria germanica. I cavalieri hanno cavalli più piccoli di quelli dei Romani o dei Galli, ma che sono stati addestrati a restar fermi sul posto quando il cavaliere smonta, e ad aspettarlo immobili anche nel clamore della battaglia. La cavalleria dei Germani è formidabile, come anche la prestanza fisica della popolazione.
Cesare, informato di quanto accaduto ai Menapii, lascia l'Italia in anticipo e torna in Gallia e raggiunge l'esercito ai suoi alloggiamenti invernali, temendo una rivolta dei Galli. "Appena giunto, apprese che i suoi sospetti si erano avverati: parecchi popoli avevano inviato ambascerie ai Germani, chiedendo che varcassero il Reno e promettendo di esaudire ogni loro richiesta. I Germani, attratti da tali speranze, già si stavano spingendo più lontano ed erano pervenuti nelle terre degli Eburoni e dei Condrusi, clienti dei Treviri." (dal De Bello Gallico, tradotto dal Progetto Ovidio, LIBRO IV)
In questo modo Cesare ha chiarito (al Senato di Roma) la necessità delle azioni seguenti.

Le trattative  Preparate le scorte di grano e arruolati i cavalieri tra i Galli, Cesare marciò col suo esercito verso i territori in cui era segnalata la presenza dei Germani. Era a pochi giorni di distanza - dall'accampamento dei Germani -, "quando gli si presentarono emissari dei Germani che parlarono nei termini seguenti: non erano i Germani a muovere per primi guerra al popolo romano, ma non avrebbero rinunciato allo scontro, se provocati, perché avevano la consuetudine, tramandata dai padri, di difendersi e di non implorare gli aggressori, chiunque essi fossero. Tuttavia precisavano di esser giunti contro il loro volere, scacciati dalla patria; se i Romani volevano il loro sostegno, i Germani avrebbero potuto diventare utili alleati; chiedevano l'assegnazione di nuovi territori oppure il permesso di mantenere le regioni occupate con le armi. Erano inferiori solo agli Suebi, che neppure gli dei immortali potevano uguagliare; ma di tutti gli altri popoli sulla terra non ce n'era uno che i Germani non potessero superare." [traduzione, progetto Ovidio].
Sapendo di aver scacciato un popolo dalla sua terra e di star devastando le terre di altre tribù, i Germani argomentano, durante le trattative, che stavano facendo perché scacciati a loro volta dagli Suebi. Fanno però una precisazione. Loro non hanno problemi con Roma, intendendo che ci si può mettere d'accordo. Che Roma lasci a loro le terre che hanno occupato con la forza. Aggiungono che se provocati, reagiranno.
Cesare rispose che "non poteva stringere con loro alcuna alleanza, se rimanevano in Gallia; e non era giusto che occupasse le terre altrui chi non era riuscito a difendere le proprie; in Gallia non c'erano regioni libere da poter assegnare - tanto meno a un gruppo così numeroso - senza danneggiare nessuno, ma concedeva loro, se lo volevano, di stabilirsi nei territori degli Ubii, che gli avevano inviato emissari per lamentarsi dei soprusi degli Suebi e per chiedergli aiuto: ne avrebbe dato ordine agli Ubii." Quindi, ad una possibile domanda dei Senatori (ricordiamo appunto che questo era un report al Senato di Roma): Cesare ha fatto di tutto per allontanarli dalla Gallia, senza ricorrere alla forza? Anzi, di sistemarli presso un popolo amico? La risposta è positiva. Cesare ha infatti proposto, dopo la loro richiesta di stabilirsi in Gallia, un loro stanziamento tra gli Ubii. Dato che anche gli Ubii erano tormentati dagli Suebi, l'unione dei popoli sarebbe stata di sicuro fruttuosa per entrambi.
"I membri dell'ambasceria dissero che avrebbero riferito e che si sarebbero ripresentati dopo tre giorni con la risposta. Chiesero a Cesare, però, di non avanzare ulteriormente nel frattempo. Cesare dichiarò di non poter concedere neppure questo. Era venuto a conoscenza, infatti, che i Germani, alcuni giorni prima, avevano inviato gran parte della cavalleria al di là della Mosa, nella regione degli Ambivariti, a scopo di razzia e in cerca di grano. Riteneva, dunque, che stessero aspettando i loro cavalieri e che, a tal fine, cercassero di prendere tempo."
Questo è un passo molto interessante, perché Cesare dice che la cavalleria dei Germani era "ad Ambivaritos trans Mosam missam", per fare razzia, oltre che per raccogliere provvista di grano. Non si sa bene però dove siano stati gli Ambivariti, ma Cesare dice che erano oltre la Mosa. Il testo continua con la descrizione geografica seguente: "Mosa nasce dai monti Vosgi, nella regione dei Lingoni; a non più di ottanta miglia di distanza dall'Oceano, si getta nel Reno." Abbiamo quindi anche una certa indicazione geografica del posto dove si trovavano Cesare e i Germani. Si deve però notare che alcuni ritengano questa digressione geografica come spuria, ovvia un passaggio aggiunto in seguito.
"Cesare non distava più di dodici miglia (18 km circa) dal nemico, quando i membri dell'ambasceria ritornarono, secondo gli accordi. Gli si presentarono che era in marcia e lo pregavano, invano, di non avanzare ulteriormente. Gli chiedevano, allora, di dar ordine alla cavalleria, posta all'avanguardia, di non aprire le ostilità e gli domandavano il permesso di inviare un'ambasceria agli Ubii: se i capi e il senato degli Ubii avessero fornito garanzie mediante un giuramento solenne, si dichiaravano pronti ad accettare le condizioni proposte da Cesare. Ma, per condurre a termine le operazioni necessarie, chiedevano tre giorni di tempo. Cesare riteneva che la richiesta mirasse sempre a consentire, nei tre giorni di tregua, il rientro dei cavalieri che si erano allontanati; tuttavia, disse che per quel giorno si sarebbe spinto in avanti non oltre le quattro miglia, al solo scopo di rifornirsi d'acqua, ma comandò che l'indomani si presentassero lì nel maggior numero possibile per conoscere la sua risposta. Al tempo stesso, ai prefetti della cavalleria, che precedeva l'esercito, manda dei messi con l'ordine di non provocare a battaglia i nemici e di difendersi, in caso di attacco, fino al suo arrivo con le legioni."
I Germani chiedono quindi a Cesare di non aprire le ostilità e la cosa è accettata. Infatti Cesare ordina ai suoi di non provocare battaglia, ma solo di difendersi. Notate anche che dichiara di avere detto, in modo inequivocabile, ai Germani che non si sarebbe fermato. Interessante è anche ciò che dice sul rifornimento d'acqua, segno che i Romani si stavano avvicinando alla Mosa, probabilmente.
Leggendo quanto dice Cesare, mi sembra che tra Romani e Germani ci fosse una situazione simile ad una tregua, dove Cesare rinunciava ad attaccare, pur continuando ad avanzare.

L'attacco dei Germani
"Ma i nemici, non appena videro la nostra cavalleria - benché contasse circa cinquemila unità, mentre essi non erano più di ottocento, non essendo ancora rientrati i cavalieri che avevano varcato la Mosa in cerca di grano - si lanciarono all'attacco e scompaginarono in breve tempo i nostri, che non nutrivano alcun timore, in quanto l'ambasceria dei Germani aveva appena lasciato Cesare chiedendo, per quel giorno, tregua. Quando i nostri riuscirono a opporre resistenza, gli avversari, secondo la loro tecnica abituale, balzarono a terra e, ferendo al ventre i cavalli, disarcionarono molti dei nostri e costrinsero alla fuga i superstiti, premendoli e terrorizzandoli al punto che non cessarono la ritirata se non quando furono in vista del nostro esercito in marcia. Nello scontro perdono la vita settantaquattro nostri cavalieri, ..."
Quindi, durante le trattative per un accordo, con in atto una specie di tregua (Cesare aveva detto che non si sarebbe fermato, ma che non avrebbe attaccato se incontrava nemici), 800 cavalieri germani assalgono la cavalleria dell'esercito dei romani, che era composta da cavalieri della Gallia uccidendone molti. La palese conseguenza è che non ci si può fidare di loro, e che quindi è uopo agire nel modo migliore, ossia trovare come respingerli oltre il Reno senza perdite rilevanti. Lo scontro coi Germani ha infatti mostrato a Cesare che non ha una cavalleria adatta a reggere l'urto dei cavalieri germani. Senza la cavalleria adatta, le sue legioni sarebbero state in gran pericolo se attaccate da questi cavalieri germani. La stessa informazione, ovviamente, l'avevano anche i Germani che potevano pensare di aver facile vittoria, se i Romani si fossero dovuti scontrare con tutta la loro cavalleria.

Mi pare doverosa un'osservazione. Si potrebbe dire che Cesare, rifiutando di fermarsi e continuando ad avanzare col suo esercito, abbia volutamente provocato l'attacco da parte di ottocento cavalieri germani, così da aver la scusa di attaccare il campo. Questo però non può essere plausibile. Cesare, con tutto l'esercito, si stava muovendo verso i Germani da giorni e giorni, e quindi era palese che i Romani erano decisi ad attaccare. I Germani lo sapevano: erano ben consci che Cesare non si sarebbe fermato. Hanno tentato di prender tempo, aspettando l'arrivo del grosso della loro cavalleria. Del resto, proprio a seguito dell'attacco dei cavalieri germani, Cesare sa che non ha altro modo di procedere, se non di attaccare al più presto.

"Dopo tale scontro, Cesare ormai non stimava giusto ascoltare gli ambasciatori o accogliere le proposte di un popolo che, dopo aver chiesto pace, aveva deliberatamente aperto le ostilità con agguati e imboscate; d'altro canto, considerava pura follia aspettare che il numero dei nemici aumentasse con il rientro della cavalleria e, ben conoscendo la volubilità dei Galli, intuiva quanto prestigio i Germani avessero già acquisito con una sola battaglia; perciò, riteneva di non dover assolutamente concedere loro il tempo di prendere decisioni."

Accade però un fatto inaspettato, come Cesare stesso dice. "Aveva già assunto tali risoluzioni e informato i legati e il questore che non intendeva differire l'attacco neppure di un giorno, quando si presentò un'occasione veramente favorevole: proprio la mattina seguente i Germani, sempre con la stessa perfida ipocrisia, si presentarono al campo di Cesare, in gran numero, con tutti i principi e i più anziani. Volevano, a detta loro, sia chiedere perdono per l'attacco sferrato il giorno precedente contro gli accordi e le loro stesse richieste, sia ottenere, se possibile, una dilazione: ma il solo scopo era di tendere una trappola. Cesare, lieto che gli si fossero offerti, ordinò di trattenerli, portò fuori dall'accampamento tutte le sue truppe e ordinò alla cavalleria di chiudere lo schieramento, ritenendola ancora scossa per la recente sconfitta.
Cesare ha ricevuto nel suo campo molte persone, anziani e notabili, che, come dice lui stesso, si vengono ad offrire quasi in pegno per ottenere una dilazione. Non li definisce più ambasciatori;  dopo l'attacco a tradimento da parte dei cavalieri germani, tutto ciò che era stato concordato in precedenza era decaduto. Si erano quindi presentati nell'accampamento romano senza alcuna forma di tutela garantita,ì dagli accordi pregressi, automaticamente decaduti dall'attacco dei Germani.

L'attacco al campo "Disposto l'esercito su tre file, percorse rapidamente otto miglia [12 km] e piombò sul campo nemico prima che i Germani potessero rendersi conto di cosa stava accadendo. I nemici, atterriti per più di una ragione, dall'arrivo improvviso dei nostri, dall'assenza dei loro, dal non avere il tempo di prendere alcuna decisione, né di correre alle armi, erano incerti se conveniva affrontare i Romani, difendere l'accampamento o darsi alla fuga. I rumori e la confusione davano il segno del timore che regnava tra i nemici; i nostri, irritati dal proditorio attacco del giorno precedente, fecero irruzione nel campo avversario. Qui, chi riuscì ad armarsi in fretta, per un po' oppose resistenza, combattendo tra i carri e le salmerie; gli altri, invece, ossia le donne e i bambini (infatti, avevano abbandonato le loro terre e attraversato il Reno con le famiglie) si diedero a una fuga disordinata. Al loro inseguimento Cesare inviò la cavalleria."
Avvicinandosi all'accampamento dei Germani, Cesare dispone l'esercito "acie triplici instituta", ossia nella tipica formazione di battaglia, ed invece di porre la cavalleria ai lati delle legioni come era d'uso, la tiene dietro di esse. La cavalleria dei Galli, ci dice Cesare, si era infatti impaurita per l'attacco proditorio durante la tregua. Su di essa Cesare non può fare sicuro affidamento. Il ruolo di questa cavalleria sarà quello di inseguire e radunare quei Germani (donne e bambini) che, quando i romani irrompono nel campo si danno a fuga disordinata.  Nello specifico, cosa ha fatto la cavalleria dei Galli ai fuggiaschi, e che fine hanno fatto donne e bambini, Cesare non dice.

SUOS  I Germani sono disorientati, poiché mancavano i capi, ed anche il grosso della cavalleria, con cui erano abituati a combattere (lo si vede dal rumore e dall'agitazione del campo). Sono anche rimasti sorpresi dalla velocità con cui sono arrivati i Romani in formazione da battaglia. I soldati romani fanno irruzione nel campo (milites nostri pristini diei perfidia incitati in castra inruperunt). Deve essere chiaro quindi che i romani hanno superato le prime difese dei germani.
"I Germani, udendo gran clamore alle loro spalle e vedendo che i loro venivano colpiti, gettarono le armi, abbandonarono le insegne e fuggirono dall'accampamento. Giunti alla confluenza della Mosa con il Reno, dove non avevano più speranze di fuga, molti vennero uccisi, gli altri si gettarono nel fiume e qui, vinti dalla paura, dalla stanchezza, dalla forte corrente, morirono. I nostri, tutti salvi dal primo all'ultimo, con pochissimi feriti, rientrarono al campo dopo le apprensioni nutrite per uno scontro così rischioso, considerando che il nemico contava quattrocentotrentamila persone."
Cesare dice che, sentendo gran clamore alle loro spalle e vedendo i loro (in Latino, suos) cadere, i Germani si diedero alla fuga. Cosa sono i clamori che sentono i Germani? Quelli della battaglia. Alle loro spalle? Una spiegazione ragionevole è che, dato che il campo doveva avere dimensioni ragguardevoli, come discutiamo più avanti, i Romani, siano penetrati nel'accampamento, sfondando le sue difese nei punti in cui erano più deboli e che una volta penetrati nell'accampamento, abbiano attaccato i Germani, quelli che stavano fronteggiando l'esercito romano, alle spalle. Chi sono quindi quelli che i Germani vedono cadere? I loro commilitoni. Non potevano vedere che cosa succedeva a donne e bambini, che erano fuggiti dal campo in tutte le direzione all'irruzione dei romani, tanto che Cesare manda la cavalleria a cercarli.
Vi mostro come Andrea Palladio aveva immaginato lo scontro tra romani e germani in una edizione del De bello Gallico del 1575. Palladio mostra il campo circondato da carri e salmerie, dove, come dice Cesare, i romani combattono coi germani. Mostra i punti deboli della difesa e l'esercito romano schierato con la cavalleria alle spalle. Nella stessa immagine, mostra anche quello che succede in un secondo tempo, ossia i guerrieri che fuggono verso il fiume coi romani che li inseguono.


 Ecco come Andrea Palladio vede la battaglia.

Alcune traduzioni rendono il testo dicendo che i Germani, uditi i clamori, avevano visto i loro parenti (donne e bambini) uccisi dalla cavalleria. Aggiungono che i guerrieri si erano dovuti girare per guardare, una cosa che nel testo Latino non c'è. In effetti, i Germani hanno sentito clamore allo loro spalle, ma perché i legionari erano entrati nel campo e li stavano accerchiando e chiudendo tra più  fronti, attaccandoli alle spalle. Ricordate che la cavalleria era dietro le legioni, e la cavalleria non aveva ragione di penetrare nel campo, dove non poteva muoversi in squadra ed un singolo poteva diventare facile preda dei germani. Gli unici romani, quindi, che i germani potevano vedere alle loro spalle erano i legionari.
Cesare comanda la cavalleria alla ricerca di donne e bambini, che son fuggiti dal campo all'arrivo dei romani. In ogni caso, i Germani non hanno visto donne e bambini uccisi, hanno visto i loro commilitoni uccisi dai romani entrati nel campo! Germani post tergum clamore audito, cum suos interfiei viderent, armis abiectis signis militaribus relictis se ex castris eiecerunt.  Notate, e lo ripeterò fino alla nausea, che il "suis" latino significa anche "partigiano", ossia della stessa fazione politica o militare, e "compagno d'arme", non solo "familiare".

Il motivo per cui insisto su questo punto lo spiego ancora una volta in dettaglio. Molte traduzioni Italiane, Francesi e Tedesche traducono il suos lasciando semplicemente "i loro" (ed equivalente in Francese e in Tedesco), senza specificare chi siano questi "loro".  L'Inglese, che non ha la locuzione adatta per dire "i loro" (diciamo meglio, potrebbe essere un theirs, ma non è bella), si trova a dover usare un sostantivo, e, nella maggior parte delle traduzioni, il suos  risulta indicare i familiari. In alcuni pochi casi si trova friends o companions. Ma tante traduzioni inglesi ci vedono il significato di famiglia.
Faccio un esempio. Il testo è Commentaries on the Gallic War. Translated into English by T. Rice Holmes. Publication date 1908:  "but  the host of women and children (for they had left their country and crossed the Rhine with all their belongings) began to flee in all directions; and Caesar sent his cavalry to hunt them down. The Germans heard the shrieks behind, and, seeing that their kith and kin were being slaughtered, threw away their weapons, abandoned their standards, and rushed out of the camp." Da questa traduzione si vede che Cesare è reso come massacratore di donne e bambini. Ma non sono solo i traduttori inglesi. Ci sono traduzioni che lasciano "i loro", ma mettono delle note che dicono che "i loro" sono le donne e i bambini, come per esempio nella traduzione di Franco Manzoni per Mursia, 1989.

Un excursus sul clamore Parliamo di cosa succede ad Alesia, per chiarire la questione del clamore e il suo effetto sui guerrieri. Anche se la situazione è diversa, mi preme mettere in luce che Cesare usa la locuzione del "post tergum clamore", per indicare il nemico, o in generale le truppe armate,  prese alle spalle. Andiamo al De bello gallico VII,84. [84] Vercingetorix ex arce Alesiae suos conspicatus ex oppido egreditur; crates, longurios, musculos, falces reliquaque quae eruptionis causa paraverat profert. Pugnatur uno tempore omnibus locis, atque omnia temptantur: quae minime visa pars firma est, huc concurritur. Romanorum manus tantis munitionibus distinetur nec facile pluribus locis occurrit. Multum ad terrendos nostros valet clamor, qui post tergum pugnantibus exstitit, quod suum periculum in aliena vident salute constare: omnia enim plerumque quae absunt vehementius hominum mentes perturbant.
Ossia, Vercingetorige vede i suoi dalla rocca di Alesia ed esce dalla città. Porta fascine, pertiche, ripari, falci e ogni altra arma preparata per la sortita. Si combatte contemporaneamente in ogni zona, tutte le nostre difese vengono attaccate: dove sembravano meno salde, lì i nemici accorrevano. Le truppe romane sono costrette a dividersi per l'estensione delle linee, né è facile respingere gli attacchi sferrati contemporaneamente in diversi settori. Il clamore che si alza alle spalle dei nostri, mentre combattevano, contribuisce molto a seminare il panico, perché capivano che la loro vita era legata alla salvezza degli altri: i pericoli che non stanno dinnanzi agli occhi, in genere, turbano con maggior intensità le menti degli uomini.
Questo è quello che è capitato anche ai Germani, che si erano radunati dietro le difese del campo costituite da carri e salmerie, e che vedono l'esercito di Cesare avanzare. Cesare li costringe a dividersi attaccando contemporaneamente nei punti dove la difesa è più debole. Ecco che i Germani della prima linea finiscono con l'essere accerchiati e sorpresi, come i Romani ad Alesia, dal clamore della battaglia dietro alle loro spalle, e capiscono che la loro salvezza è legata alla salvezza dei loro compagni d'arme che stanno combattendo.

Il destino dei vinti Torniamo ai fuggitivi. Possiamo, in ogni caso, chiederci perché non è detta da Cesare la sorte di donne e bambini. La risposta è che non era necessario dirlo dato che il Senato di Roma sapeva che sarebbero diventati schiavi, venduti ai mercanti locali. Il Senato valutava la politica e l'azione militare.
Il destino dei vinti era noto a tutti al tempo di Cesare, come anche il diritto dei vincitori. Questo lo conosceva molto bene Ariovisto che mandò a dire a Cesare, che "il diritto di guerra permetteva ai vincitori di dominare i vinti a proprio piacimento; ... Se Ariovisto non dava ordini ai Romani su come esercitare il loro diritto, non c'era ragione che i Romani ponessero ostacoli a lui, quando applicava il suo." Del destino dei vinti parla anche Vercingetorige nel suo discorso per incitare le sue genti alla guerra: Haec si gravia aut acerba videautur, multo illa gravius aestimare, liberos, coniuges in servitutem abstrahi, ipsos interfici; quae sit necesse accidere victis.
L'assunzione che la cavalleria dei Romani abbia radunato le donne e i bambini, per farne schiavi è quindi nella norma dell'epoca. Ovviamente aveva radunato quelli che era riuscita a prendere, perché è Cesare stesso a dire che tanti sono scappati, e lo vediamo più avanti. E' possibile che molti civili, che forse non erano riusciti - oppure non avevano voluto - muoversi dall'accampamento, siano periti nello scontro o nella fuga, tentando di attraversare il fiume.
Dietro a tutti gli eserciti antichi, non solo dietro a quello romano, si muovevano i mercanti di schiavi. Anche dietro a quello di Alessandro Magno, per esempio, c'erano i mercanti a far affari coi vinti. Per questo motivo, i cavalieri Galli avevano tutto l'interesse a catturare i fuggitivi vivi. E' brutto dirlo, ma era la merce da vendere ai mercanti. Vi ricordo che la pratica di commerciare in schiavi esisteva anche tra i Germani. Come dice Cesare stesso, essi "Concedono libero accesso ai mercanti, più per aver modo di vendere il loro bottino di guerra che per desiderio di comprare prodotti d'importazione." E nel bottino di guerra c'erano anche i prigionieri da vendere come schiavi. I Germani facevano preda con la guerra ad altre tribù. "Mercatoribus est aditus magis eo ut quae bello ceperint quibus vendant habeant, quam quo ullam rem ad se importari desiderent."

Torniamo al report  dello scontro con Usipeti e Tencteri.
I legionari Romani si scontrano con i guerrieri Germani, che vedendosi facilmente battuti, si precipitano in fuga disordinata verso il fiume. Notate che nel report non sono menzionati i temuti cavalieri Germani, quelli che avevano attaccato la cavalleria dei Galli, e che dovevano essere nel campo. Questi cavalieri, all'interno del campo e senza una cavalleria avversaria da colpire, si sono messi a combattere come la fanteria. E quindi a combattere era solo fanteria, quella Romana e quella dei Germani.
Il report sullo scontro con Usipeti e Tencteri si conclude dicendo che i Germani fuggono disordinatamente verso il fiume cercando invano la salvezza. In gran numero sono uccisi e il resto muore nel fiume, nel tentativo di attraversarlo. I Romani si ritirano nel loro accampamento senza aver subito perdite e sollevati dallo scampato pericolo, perché i Germani erano 430 mila (nel testo di Cesare si legge un numero di CCCCXXX mila nemici).
Torniamo a quanto dice Cesare: "I Germani ....  fuggirono dall'accampamento. Giunti alla confluenza della Mosa con il Reno, dove non avevano più speranze di fuga, molti vennero uccisi, gli altri si gettarono nel fiume e qui, vinti dalla paura, dalla stanchezza, dalla forte corrente, morirono."
Vediamo il Latino: Germani ... se ex castris eiecerunt, et cum ad confluentem Mosae et Rheni pervenissent, reliqua fuga desperata, magno numero interfecto, reliqui se in flumen praecipitaverunt atque ibi timore, lassitudine, vi fluminis oppressi perierunt. Scappano tutti dal campo e prendono tutti la direzione della confluenza della Mosa nel Reno? Vuol dire  che l'accampamento era tra i due fiumi? Oppure, si deve intendere che Cesare parli solo di quelli che hanno preso quella direzione? Bel problema. Intanto, quando Cesare parla dei Germani che vengono uccisi o muoiono nel fiume parla solo dei guerrieri. Le donne e i bambini sono già fuori da questo scenario.

CCCCXXX Forse questa cifra è stata alterata dagli amanuensi, perché CCCCXXX è un numero quasi incredibile. Eppure, nel primo libro del De Bello Gallico, vediamo che, nella loro migrazione, gli Elvezi ammontavano a 368.000 unità di cui 92.000 abili alle armi, secondo gli elenchi redatti dagli Elvezi stessi e rinvenuti da Cesare. Se manteniamo lo stesso rapporto tra popolazione ed abili alle armi troviamo, per Usipeti e Tencteri, 107 mila abili alle armi. Questo dato non vien fornito da Cesare per Usipeti/Tencteri, come non si dice neppure il numero totale dei cavalieri dei Germani.
In  precedenza, avevo supposto un numero di guerrieri inferiore a quello che disponevano gli Suebi, che avevano spinto Usipeti e Tencteri fuori dalle loro terre. Cesare dice degli Suebi: "Hi centum pagos habere dicuntur, ex quibus quotannis singula milia armatorum bellandi causa ex finibus educunt. Reliqui, qui domi manserunt, se atque illos alunt; hi rursus in vicem anno post in armis sunt, illi domi remanent. Si dice che siano formati da cento tribù: ognuna fornisce annualmente mille soldati, che vengono portati a combattere fuori dai loro territori contro i popoli vicini. Chi è rimasto a casa, provvede a mantenere sé e gli altri; l'anno seguente si avvicendano: quest'ultimi vanno a combattere, i primi rimangono in patria." Se il numero di uomini d'arme che ogni anno gli Usipeti con i Tencteri e  gli Suebi potevano accampare era circa uguale, significa che era il tormento continuo che questi ultimi davano alle due tribù ad averle costrette ad oltrepassare il Reno. In effetti, mentre gli Suebi potevano contare su guerrieri rinvigoriti dal riposo di un anno, gli altri popoli avevano i guerrieri logorati da combattimenti continui, e che non si potevano più dedicare ad attività come la cura dei campi.
E' bene notare che il numero di 430 mila unità non si riferisce al numero di guerrieri, è il numero di teste in totale associate al nemico. Può essere che Cesare si riferisca ad una stima di un numero di nemici, ottenuto sommando a quelli che avevano già passato il fiume, anche quelli che avrebbero potuto farlo nell'immediato futuro. (sui numeri che si trovano nel De Bello Gallico, si veda l'articolo He came, he saw, we counted : the historiography and demography of Caesar's gallic numbers, di David Henige, https://www.persee.fr/doc/adh_0066-2062_1998_num_1998_1_2162)
Perplessità può nascere poiché Cesare parla di un solo campo. Proviamo a pensare a un solo accampamento con 430 mila persone, e poi carri, tende, fuochi, animali da traino, animali da soma, bestiame vario. Immaginate quanto doveva essere grande. I carri e le salmerie erano di solito posti al perimetro dell'accampamento come una sorta di baluardo. Ed infatti si combatteva, come dice Cesare, inter carros impedimentaque.
Per cercare di visualizzare un campo del genere, ho pensato a quelli che oggi sono i campi profughi. Si veda https://www.raptim.org/largest-refugee-camps-in-2018/ A questa pagina web ho trovato il campo Kakuma, Northwestern Kenya, popolazione: 184,550. Il campo di Kakuma è di 10.9 km quadrati circa. Lo devo moltiplicare per 2,3 per avere un campo con 430 mila persone, supponendo ovviamente la stessa densità. Ma il campo dei Germani poteva essere ancora più grande. Immaginiamolo circolare, con area di 25.16 km quadrati. Il raggio del campo è di 2,83 km, la circonferenza di 17.8 km. Ho preso un tal cerchio e l'ho messo in prossimità della regione dove il Reno e la Mosa si uniscono. In effetti, in rete girano alcune mappe che mostrano il campo dei germani tra i due fiumi a ovest di Nimega. (notate però che il riferimento a Mosa e Reno nel testo di Cesare è considerato da alcuni elemento spurio, e quindi non originale, ma aggiunto in seguito). Oggi la Mosa e il Reno si uniscono più a Ovest, ma prima della piena del 1856, c'era una giunzione proprio dove vediamo Reno e Mosa molto vicini nella figura seguente (a Fort St. Andries. Si veda Where Did Caesar Defeat the Usipetes and Tencteri? Arthur Tappan Walker, The Classical Journal, Vol. 17, No. 2 (Nov., 1921), pp. 77-86)
Però, vi prego di consultare l'articolo Late Holocene lowland fluvial archives and geoarchaeology: Utrecht's case study of Rhine river abandonment under Roman and Medieval settlement sui paleocanali della regione. Presenta anche una mappa relativa al 50 BC.
Vi invito a vedere le mappe nell'articolo. A me sembra che i paleo-canali dell'epoca non mostrino che vicino a Nimega ci fosse una confluenza di Mosa e Reno. Comunque, in rete girano le mappe, e prendiamole giusto per fare la nostra simulazione. Diciamo che la Mosa ed il Reno di Cesare erano i fiumi che oggi hanno questi nomi e che all'epoca ci fosse una giunzione a Fort St. Andries (però, ripeto, non mi sembra così dalle mappe dei paleo-canali). Diciamo anche gli amanuensi non abbiano cambiato i nomi originali con gli unici nomi di fiumi che avevano in testa. Simuliamo.


Figura 1: Il cerchio rosso ha il raggio di 2.83 km come stimato sopra. Sono 25,16 km quadrati, tra Reno e Mosa. Siamo vicini a Nimega. Nimega oggi ha 166 mila abitanti su 57,53 km quadrati (in rete girano mappe che mostrano il germani come accampati a ovest della città olandese). Se l'accampamento era tra i due fiumi, i germani si erano, forse, affidati ad una difesa naturale su due lati. Il terzo lato sarebbe stato investito dall'esercito romano, se proveniva da Nimega.  Logicamente, l'accampamento non era a cerchio, ma si sarebbe allungato lungo i fiumi per facilitare l'accesso all'acqua. Vi ricordo, tra parentesi, che Nimega è sorta dove era un castrum romano, dell'età di Augusto, ivi posto a difesa del fiume Waal e della valle del Reno. 

Che esercito doveva avere Cesare per spingere una così grande massa verso la confluenza dei fiumi, specialmente se l'accampamento era allungato lungo uno o entrambi i fiumi? 
A Farsalo, Cesare aveva tre legioni ed il fronte era di circa tre km. Se contro Usipeti e Tencteri avesse schierato otto legioni, avrebbe potuto estendere l'esercito per più di 8 km e chiuderli facilmente nel cuneo tra i due fiumi. E a questo punto, noi possiamo anche capire lo sgomento dei germani. Non avendo mai visto un esercito schierato in questo modo, non sanno cosa fare. Cesare individua i punti più deboli della difesa del campo dei Germani e punta a frazionare lo scontro, come abbiamo già detto (si veda di nuovo la discussione sul post tergum clamore).


Figura 2:  In verità, alcuni archeologi collocano nel territorio di Kessel, a sud della Mosa, il luogo dello scontro. Nell'immagine satellitare ho posto il campo con popolazione di 430 mila unità a sud della Mosa. Ovviamente, anche in questo caso, la forma del campo non doveva essere circolare, ma allungata lungo la Mosa. Immaginate di quanto doveva essere allungato, se anche solo la fascia lungo il fiume fosse stata larga un chilometro. Il cerchio serve solo per rendere l'idea della superficie totale coperta dall'accampamento. In (*), si stima una popolazione dei Germani di 140 mila, di cui 35 mila guerrieri,  rapportandola ai romani impegnati contro di loro, che si stima in 35 mila. 
[* Roymans, N. (2018), in Conflict Archaeology. Routledge, New York. Pagina 167]


Per quanto riguarda le ricerche di Roymans, si veda la critica all'identificazione del sito e alle prove addotte,  https://www.noviomagus.info/caesarned.htm oppure
Mi permetto di estrarre "Over de plaats van de veldslag worden enkele zaken door elkaar gehaald om toch vooral maar de onwetende lezer of kijker te overtuigen. Julius Caesar schrijft nergens Rijn of Waal of Maas. Dat zijn interpretaties van historici uit het verleden. Caesar zelf schrijft over deze rivieren het volgende: "de Mosa heeft een deel van de Renus ontvangen dat Vacalus heet, vormt het eiland van de Bataven en werpt zich in de Oceaan en op ongeveer 80 mijlen van de Oceaan werpt zij (de Mosa) zich in de Renus". Het gaat hier dus niet over de plaats van de veldslag, maar over rivieren. De vraag blijft welke rivieren? Mosa en Renus waren namen van rivieren die meerdere keren voorkomen in de geschreven geschiedenis. Probeer de geciteerde tekst maar eens toe te passen in Nederland." C'è confusione sul luogo della battaglia, per convincere il lettore che non conosce i fatti. Giulio Cesare non scrive mai Reno, né Waal né Maas. Queste sono interpretazioni di storici del passato. Cesare scrive di questi fiumi, ma quanto scrive non è relativo al luogo della battaglia ma ai fiumi. E poi resta la domanda: quali fiumi? Intendeva la Mosa e il Reno odierni o altri fiumi?  [in fondo al post, i commenti al lavoro di Roymans].
Chi scrive al sito noviomagus.info segnala anche il fatto che si è lavorato su reperti trovati durante un lungo arco di tempo in un deposito alluvionale. Per quanto riguardo il sito e come Roymans propone lo scontro tra Romani e Germani, ecco una mappa che si è fatta guardando l'immagine al link.


In Roymans' map, the Roman Camp, that he marked with a circle and a question mark, has the size of a camp even larger of those I guessed for the Germans! Nella mappa dell'articolo di Roymans, il campo dei Romani, schematizzato con un cerchio e un punto interrogativo è persino più grande della mia stima del campo dei Germani con 430 mila unità. La figura proposta da Roymans sembra far intendere che i Romani erano almeno cinque volte i Germani, e questo non è plausibile.

Notiamo che il fatto che il campo dei Germani fosse tra i due fiumi, e proprio tra questi due fiumi, non è detto da Cesare. Inoltre, quando descrive la battaglia, Cesare non riporta i nomi dei fiumi.
Se il campo dei Germani era a sud della Mosa (diciamo così per riferimento alle figura date sopra), con otto legioni Cesare avrebbe potuto lo stesso spingerli verso la confluenza della Mosa nel Reno in una manovra a tenaglia, chiudendoli in una sacca. Io non mi pronuncio assolutamente sul posto della battaglia, ed neppure sul numero della popolazione. Per esso, possiamo affidarci a Cesare. Oppure possiamo pensare ad un numero che sia un terzo di quello proposto da Cesare. Anche nel caso di 140 mila unità, l'accampamento era molto esteso. 
In un campo - che siano state 140 o 430 mila persone - il clamore della battaglia, con le urla dei guerrieri, le grida di donne e bambini, doveva essere un'arma ulteriore a favore dei Romani. I Germani non erano addestrati a questo. Che il clamore della battaglia fosse un'arma, abbiamo visto che lo dice lo stesso Cesare quando parla di una delle battaglie di Alesia. In una delle prime traduzioni in Francese. « Les Commentaires de Cesar », traduits en français par Robert Gaguin », 1482, si sottolinea proprio il clamore, "la clamuer et tumulte de gens darmes". Ed all'epoca di Gaguin si combatteva - anche se c'era già dell'artiglieria - su campi di battaglia come quelli di Cesare.

Torniamo ancora una volta a quello che dice Cesare. "Disposto l'esercito su tre file, percorse rapidamente otto miglia e piombò sul campo nemico prima che i Germani potessero rendersi conto di cosa stava accadendo." Sia che arrivasse da est, sia che provenisse da sud, aveva il terreno libero per dispiegare le legioni. I Germani restano sorpresi da come Cesare sia riuscito ad arrivare così velocemente sul campo, in formazione da battaglia. "I nemici, atterriti per più di una ragione, dall'arrivo improvviso dei nostri, dall'assenza dei loro, dal non avere il tempo di prendere alcuna decisione, né di correre alle armi, erano incerti se conveniva affrontare i Romani, difendere l'accampamento o darsi alla fuga." Il campo dei Germani è molto grande e loro non riescono a coordinarsi e a stabilire una strategia. Inoltre, se i Germani tenevano le armi in determinati punti del campo, e questi punti erano distanti, il problema dei guerrieri era se andare ad armarsi o scappare dal campo. L'incertezza sul da farsi non ha giovato loro."I rumori e la confusione davano il segno del timore che regnava tra i nemici; i nostri, irritati dal proditorio attacco del giorno precedente, fecero irruzione nel campo avversario." Ed ecco che ci troviamo con germani presi alle spalle dai romani nel loro stesso campo. 
Ancora una osservazione sul numero CCCCXXX mila. Come faceva Cesare a conoscere o stimare tal numero? Due possibilità. La prima è che fossero stati direttamente gli ambasciatori dei Germani - sarebbe stato interessante saper come conversavano, ossia con che interpreti - a dirgli la cifra. Forse l'avevano gonfiata per impressionare il nemico. La seconda è che gli informatori di Cesare avessero contato i fuochi dell'accampamento e applicato un fattore di scala.
Ovviamente, resta il dubbio che il numero sia stato volutamente gonfiato, nell'originale da Cesare stesso, oppure da chi ha, nei secoli seguenti, copiato il manoscritto.

La fuga Nel report, Cesare assolutamente non dice è che tutti i nemici sono stati uccisi. I Romani ne hanno uccisi molti e molti sono morti nel fiume. Ma non tutti sono stati uccisi. Di sicuro non le donne e i bambini. Inoltre Cesare prosegue il report dicendo che, finita la guerra coi Germani, gli restava il problema della cavalleria, che dopo la fuga dei loro - ossia della gente che era all'accampamento -, si era rifugiata con la tribù germanica dei Sicambri.  Accessit etiam quod illa pars equitatus Usipetum et Tencterorum, quam supra commemoravi praedandi frumentandi causa Mosam transisse neque proelio interfuisse, post fugam suorum se trans Rhenum in fines Sugambrorum receperat seque cum his coniunxerat. Dalle parole di Cesare è evidente che molti sono sfuggiti e hanno trovato rifugio nel territorio circostante (altrimenti avrebbe detto, "dopo l'annientamento dei loro" oppure "dopo la strage dei loro"). Di specifico sappiamo solo dei cavalieri, ed erano quelli a cui Cesare teneva particolarmente.
A questo punto il Senato di Roma avrebbe potuto chiedere: Cesare, cosa si è fatto per prendere questi cavalieri o evitare possibili altre incursioni? La risposta di Cesare è che si è costruito un ponte per passare il Reno e farsi consegnare tal cavalleria dai Sicambri, che Cesare riteneva, come diritto del vincitore, sua. Dato che questi cavalieri germani non sono gli sono stati consegnati, si è fatto di tutto per respingerli ancora più lontano dal  Reno.

In Senato Cosa succede a Roma, quando arriva la notizia della sconfitta dei Germani, lo sappiamo da altre fonti e non da Cesare (si veda sempre Giulio Cesare e i Germani). Il Senato di Roma, che è soddisfatto del report, - soddisfatto per la buona novella - decreta molti giorni di ringraziamento agli dei per la vittoria. Unica voce fuori dal coro è quella di Catone, a cui Cesare risponde - evidentemente era in Gallia - con una lettera d'insulti. Che cosa voleva Catone? Secondo Catone, Cesare avrebbe dovuto rispettare la tregua in ogni caso, secondo il diritto delle Genti - non è il diritto moderno, ma quello che conoscevano Vercingetorige ed Ariovisto -, e lasciare liberi gli ambasciatori dei Germani (Questo è quanto racconta Plutarco. Notate però che quelli che Cesare ha trattenuto nel campo non erano ambasciatori ma ostaggi, poiché la tregua era stata rotta dai Germani e non vi erano salvacondotti tra le parti).
Catone chiede al Senato che, poiché Cesare era venuto meno alla parola data, doveva essere consegnato ai Germani. Quello di Catone è un artificio retorico, un appello alla sacralità della parola data, per arrivare a dire in Senato quello che effettivamente vuol dire. Cesare ambisce al potere e quindi i Senatori devono far attenzione a lui, non ai Germani, perché il vero pericolo per Roma è Cesare. Catone non trovò alcun appoggio in Senato e perse la partita. Non solo il comando di Cesare in Gallia fu prolungato, ma gli vennero dedicate delle supplicationes (celebrazioni di ringraziamento per la vittoria) di inusitata lunghezza.  Lo dice Cesare stesso chiudendo il libro IV: "His rebus gestis ex litteris Caesaris dierum XX supplicatio a senatu decreta est. In seguito a tali imprese, comunicate per lettera da Cesare, il senato decret? venti giorni di feste solenni di ringraziamento."

I Germani trattenuti nel campo
Il Senato di Roma avrà di sicuro voluto sapere che fine avevano fatto i tanti Germani che Cesare ha trattenuto nel suo campo. "BG 4.15: Caesar iis quos in castris retinuerat discedendi potestatem fecit. Illi supplicia cruciatusque Gallorum veriti, quorum agros vexaverant, remanere se apud eum velle dixerunt. His Caesar libertatem concessit. Ai Germani trattenuti nell'accampamento Cesare permise di allontanarsi, ma costoro, temendo supplizi da parte dei Galli di cui avevano saccheggiato i campi, dissero di voler rimanere presso di lui. Cesare concesse loro la libertà." In effetti, i Germani preferiscono restare coi Romani, ossia farsi arruolare da loro. E a questo punto, possiamo tornare alla questione delle donne e bambini. Sono tutti finiti in schiavitù, oppure Cesare ha fatto un accordo col numeroso gruppo di notabili che aveva trattenuto nel campo? Questo apre veramente uno scenario interessante. Questi germani sono rimasti a combattere per Cesare, e magari Cesare ha dato in pegno qualcosa a queste persone che si erano dati in pegno a lui: i loro parenti ed amici.

La letteratura Esiste tutta una letteratura che dice che Catone, o addirittura che i romani, si erano turbati per il numero delle vittime germaniche (lo ripeto, i romani avevano appreso la notizia dell'esito della guerra coi germani come una buona novella, e lo dice chiaramente Plutarco). Dire che i romani o Catone erano turbati per le vittime dei germani è un falso: Catone non era turbato dal fatto che Cesare avesse ucciso dei Germani. Catone era turbato perché aveva capito che Cesare ambiva al potere. Su questo punto e su come spesso il racconto venga distorto per far apparire Cesare come Hitler, si legga Giulio Cesare e i Germani. (Julius Caesar and the Germans) Si veda in particolare come il numero di 430 mila nemici diventi il numero di 400 mila uccisi, anzi "tagliati a pezzi". E' con Plutarco, che si trasforma il numero dei nemici nel numero delle vittime. Di lì in poi, c'è un susseguirsi di invenzioni sull'accaduto, come quella recente di Luciano Canfora, che nel suo libro su Cesare, inventa che Cesare ha fatto uccidere gli ambasciatori (sempre che sia una sua invenzione, o che non l'abbia presa pari pari da qualche autore precedente, perché comoda per il suo ritratto di Cesare).

Mi permetto di riportare quanto detto da un noto sito che si occupa di antichità. Metto lo screenshot.


"The incident illustrates the ruthless nature of Roman aggression: Caesar first provoked the refugees and finally attacked them during an armistice. When the genocide became known in Rome, Senator Cato the Younger exclaimed that Caesar, the general of eight legions, was to be handed over to those Germans. Caesar was forced to divert the Senate's attention to other subjects, and spent the second half of the year with an invasion of Germania and an expedition to Britain. From a military point of view, both campaigns were unnecessary, but it gave Caesar great political advantages." Evidenzio alcune parole: ruthless ... provoked the refugees ... attacked them during an armistice. ....  genocide became known in Rome, ...  forced to divert the Senate's attention to other subjects, ...  Caesar great political advantages."
https://web.archive.org/web/20190704173858/https://www.livius.org/sources/content/caesar/caesar-on-the-usipetes-and-tencteri/
Per prima cosa, questi Germani non erano propriamente dei rifugiati. Avevano fatto fuori i Menapii (dei Menapii non interessa a nessuno). Cesare aveva proposto a questi popoli di andare dagli Ubii. Sono i Germani ad attaccare i Romani durante la tregua (non era un armistizio, in effetti non erano ancora iniziate le ostilità). A Roma non è arrivata la notizia del genocidio, è arrivata la buona novella della sconfitta dei Germani, non è arrivata nessuna notizia di genocidio (è una pura invenzione dell'editore del sito). Catone non si è lamentato dei morti dei Germani ma che Cesare avesse mancato di parola. Cesare avrebbe distratto il Senato? Cesare voleva i suoi cavalieri Germani che erano suo diritto come vincitore. Inoltre, Cesare non era a Roma, era con le sue otto legioni; non aveva nessun motivo di distogliere l'attenzione del Senato. Per altro, neanche Cicerone è stato a sentire Catone. E' proprio vero che, su Cesare, ognuno scrive quello che vuole e la gira come vuole.

Alessandro era grande?  Con Cesare quindi succede un fenomeno, nato da tutta una letteratura di varia origine e sentimento politico, dal nazionalismo al socialismo, che arriva a porlo quale responsabile dell'eccidio degli Usipeti e dei Tencteri, coma un Hitler ante litteram. E' una cosa che succede perché la guerra gallica è una guerra che ci è ancora vicina, avendo riguardato l'Europa. Ci sarà sempre qualche persona che si sentirà geneticamente legata a qualche popolo con cui i Romani si sono scontrati, dimenticando che tutti gli europei sono un mix di celti, germani, latini, greci, ed anche arabi. Ci sarà però sempre qualche persona che si sentirà turbata da ciò che faceva Cesare, ma magari non turbata da ciò che è successo in Bosnia, a Srebrenica o a Sarajevo. Ed oggi, il diritto delle genti non è più quello di Ariovisto.
Usipeti e Tencteri hanno massacrato i Menapii, e Cesare interviene. Non trovate esempi analoghi in tempi recenti? L'editore di Livius osserva che gli Usipeti e Tencteri non erano Germani, ma erano della Cultura di La Tène. E' quindi Cesare più colpevole? Come dire, se erano Germani veri - quelli proprio veri - era meno grave. In ogni caso, Usipeti e i Tencteri non sono scomparsi dalla storia, perché li ritroviamo a combattere coi Sicambri nella Clades Lolliana, e sempre a far parte della cavalleria dell'Impero di Roma.
Proseguiamo col mondo antico. Volete un esempio di eccidio su base etnica? Eccolo. I Vespri Asiatici. Appiano di Alessandria racconta che: Mitridate del Ponto "scrisse di nascosto a tutti i suoi satrapi e magistrati, che il trentesimo giorno successivo avrebbero dovuto procedere all'uccisione di tutti i cittadini romani ed Italici nelle loro città, comprese le loro mogli, i figli, i loro domestici di nascita italica, gettando poi i loro corpi fuori dalle mura, insepolti, e dividere i loro beni con lo stesso sovrano. Minacciò poi chiunque avesse provato a seppellire i morti o nascondere i vivi, e offrì ricompense a chi lo informava delle persone che erano state nascoste e dovevo essere uccise, o a chi schiavo avesse tradito il proprio padrone, donando loro la libertà affrancandoli. Offrì anche ai debitori che avessero ucciso [gli Italici], la liberazione di metà dei loro obblighi verso i loro usurai." E così avvenne. Vittime  80.000/150.000.

Desidero concludere con una osservazione. Le accuse che si fanno a Cesare non si fanno ad Alessandro Magno, benché fosse anche lui uno spietato guerriero. Alessandro appare addirittura come un civilizzatore, magari proprio alle persone che vedono in Cesare un criminale.
Vi siete mai chiesti come ha fatto Alessandro a conquistare in pochissimi anni l'impero Persiano? Sarebbe bene chiederselo, Alle prime resistenze che ottenne, Alessandro sfoderò una crudeltà estrema. Chi resisteva era annientato. Oppure era venduto come schiavo (Alessandro non si faceva scrupoli di uccidere e vendere come schiavi anche i Greci). La sua fama lo precedeva, facendo sì che tante città e villaggi che si trovavano sul suo cammino gli aprissero le porte, rendendo più veloce la sua conquista. Questo accadeva, non perché fosse buono, ma perché era spietato. Alcuni popoli però non hanno ceduto e sono stati spazzati via dalla storia. Del fatto che tanti popoli abbiano patito a causa di Alessandro Magno, a molti non pesa: non erano popoli europei.

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Dato che sul web potete trovare molte informazioni e foto, mi permetto, a proposito del ritrovamento del presunto luogo della battaglia, di riportare delle osservazioni, non mie ma desunte dal sito https://www.noviomagus.info/caesarned.htm
Il tono del sito è forse un po' polemico. Lungi da me esserlo; per questo motivo vi propongo un sunto del testo olandese emendato in alcuni punti dalla vena polemica.  Qualcosa devo mantenere però, per rendere il senso del testo originale.
Ecco alcune osservazioni da https://www.noviomagus.info/caesarned.htm I miei commenti sono in corsivo.

Con una grande annuncio (11 dicembre 2015), i Paesi Bassi vengono convinti che Giulio Cesare  è stato nel nostro paese. Lo stesso è stato affermato in DWDD del 9 dicembre 2015. Nell'articolo e in quella trasmissione, alcune dichiarazioni sono state fatte da Nico Roymans e Herman Pleij che sembrano essere lontani dalla verità storica (io sto traducendo, queste sono affermazioni del sito olandese). ... E ora un libro di Tom Buijtendorp appare con il titolo 'Caesar in the Low Countries', in cui la storia di Roymans è ulteriormente accentuata. Con la prova? No, con ipotesi, ipotesi e possibilità, ma non provi nulla con quelle (idem come sopra). ... Se leggi l'articolo e analizzi attentamente l'intera trasmissione DWDD, molto si dice, ma in realtà, nulla è stato dimostrato. Ciò è evidente dalle parole dello stesso Roymans quando afferma: "Uno più uno più uno è tre". Quindi sono 3 assunti che devono costituire insieme la prova. [Ossia, si portano in campo tre ipotesi che insieme vengono considerate come una prova].
Ci sono stati già tali tipi di "prove" nella storia. È così che si sono trovati molti posti in cui la Battaglia di Varo (Teutoburgo)  avrebbe potuto aver luogo. La posizione corretta di quella battaglia non è stata ancora determinata in modo indiscusso.

Cosa viene effettivamente dimostrato ora?
L'analisi dell'intera storia è divisa in 3 parti (1 + 1 + 1 = 3).
1. sono state trovate armi e resti di ossa attribuiti a una battaglia;
2. è il tutto datato al I secolo aC;
3. L'unica battaglia descritta in quel momento fu quella di Giulio Cesare nel Bello Gallico nel 55 aC.

[Mi permetto l'osservazione seguente. Al punto 3. Non vero che l'unica "battaglia", descritta in quel momento,  è stata quella tra Cesare e i Germani.  Cesare dice che i Germani hanno fatto fuori i Menapi per impossessarsi del loro territorio. Le azioni di guerra sono quindi, se ci mettiamo in quest'ottica, due e non una. L'attacco dei Germani ai Menapi è l'antefatto di un anno prima].

Si può dire molto di questa analisi.

Ri 1. Che una battaglia possa essere dedotta dalla scoperta di poche armi e resti d'ossa è una scorciatoia. Una battaglia con i legionari romani è un'ipotesi, ma può anche esserci stato semplicemente uno scontro sanguinoso tra diverse tribù [Menapi e Germani?]. Una battaglia con i Romani deve aver prodotto più resti di quelli che sarebbero stati trovati ora. Inoltre, i reperti trovati nel letto del fiume sono resti dilavati (dall'azione dell'acqua). Questo fatto quindi non mostra una posizione esatta. [Ossia, si mette in luce che non è stato un ritrovamento in un punto specifico fatto tramite uno scavo, ma che si sono utilizzati reperti che sono stati dragati dal fiume nel corso di diversi anni]. Anche se fossero tre mandibole di residenti non locali, non è ancora stato dimostrato che fossero soldati romani. E come fa Roymans a spiegare la scoperta di migliaia di ossa di animali? Lui tace su questo fatto, perché contraddice la sua argomentazione. Het verzwijgen is veelzeggend! Het verzwijgen van tegenbewijzen is gemeengoed in de historische wereld.
Potrebbe anche essere stato un omicidio (cosa provi con 100 scheletri incluso quello di donne e bambini?) O un luogo sacrificale rituale (ossa animali). [Questo che dice il sito olandese è importante. Sarebbe interessante capire se la pratica di sacrifici umani ed ecatombi di animali avveniva anche nell'area del Reno. Inoltre, siamo in un punto di passaggio tra due territori e, nell'attraversare il fiume, la gente era particolarmente vulnerabile. Qualche tribù male intenzionata, avrebbe potuto attaccare facilmente per rapina. Oppure, insisto, sono i resti dei Menapi attaccati dai Germani].
E le armi trovate possono anche essere collegate a gente che non ha niente a che fare coi Romani, ossia non devono essere necessariamente state usate dai Romani, per non parlare dei legionari di Giulio Cesare. Vi sono state trovate anche armi che risalivano ai secoli dopo Cristo. L'importazione e il commercio (di scambio) esistevano anche nei secoli prima di Cristo. Per inciso, sembra che siano reperti "vecchi" che vengono ora presentati come prove. Vedi cosa ha scritto Roymans nel 1999!
Quindi, non ci sono prove che questa sia una battaglia importante in cui hanno partecipato oltre 430.000 nemici. Inoltre, non è stato dimostrato che questo sito di battaglia / omicidio / sacrificio riguardi i romani, per non parlare di un esercito di Giulio Cesare. Dove stava? Dov'era il suo campo? Il Prof. H.Thoen ha stabilito dopo 50 anni di ricerche approfondite che Giulio Cesare non è mai stato in Belgio, per non parlare dei Paesi Bassi. Nessun campo romano del secolo prima di Cristo fu trovato in Belgio o nei Paesi Bassi. E i Romani allestivano un accampamento ogni 40 km, nel quale si ritiravano, specialmente in caso di gravi perdite come poteva avvenire nella battaglia contro Tencteri e Usipeti. Altri storici, come il Prof. A.W. Bijvanck, hanno precedentemente affermato che vi era una effettiva minaccia da parte delle tribù germaniche nel 55 aC., nei Paesi Bassi. Non c'è alcun dubbio. Il Reno olandese / tedesco come confine nazionale era quindi cosa completamente assente. ...

Ri 2. Il già citato metodo C14 per la datazione di reperti è ora notevolmente dibattuto. Vedi la letteratura su questo. Una deviazione di 100 anni è addirittura considerata "normale". Non potrai provare quindi nulla di esattamente databile all'anno 55 aC. Anche se si trattasse di resti romani, potrebbero essere di uno scheletro del 50 dC, quando i Romani erano arrivati nei Paesi Bassi nel frattempo. Che ci siano dei romani, questo deve essere dimostrato per prima cosa. Inoltre, con un'indagine al C14, non provi che si tratta di una battaglia di Romani. Nel 55 aC.? Prima che tutta la Gallia fosse conquistata? Un "viaggio" di circa 150 km. a nord per sconfiggere le tribù germaniche a Kessel?  ... I Romani non avevano nemmeno conquistato tutta la Gallia e si trovavano nelle Fiandre francesi a preparare la traversata verso l'Inghilterra?

[E' importante ricordare che qualsiasi misura deve essere accompagnata dalla sua incertezza. Dire che le ossa sono del 55 aC, senza l'incertezza, è dire una cosa con valore nullo. Dire che le ossa sono del 55 aC più/meno 50, significa dire che qualsiasi anno dal 105 aC al 5 aC è accettabile. Il 55 non è meglio dei suddetti anni. Il fatto che sia a metà non costituisce motivo per preferirlo. Se si vuol mettere l'accento - volutamente - sulla data precisa del 55 aC e si toglie l'incertezza, questo non è corretto. E poi insisto, ci sono anche i Menapi massacrati in massa].

Ri 3. Alcune cose sono confuse circa la posizione della battaglia per convincere il lettore o lo spettatore che non conosce i fatti. Giulio Cesare non scrive né Reno né Waal né Maas da nessuna parte. Queste sono interpretazioni di storici del passato. Cesare scrive quanto segue su questi fiumi: "La Mosa ha ricevuto una parte del Renus chiamato Vacalus, a circa 80 miglia dall'Oceano, forma l'isola dei Batavi e si getta nell'Oceano". Non si tratta quindi della posizione della battaglia, ma dei fiumi. Resta la domanda su quali fiumi? Mosa e Renus erano nomi di fiumi che si verificano più volte nella storia scritta. ...
Ebbene, se vi ho incuriosito, leggete il resto al link
https://www.noviomagus.info/caesarned.htm



Wednesday, November 21, 2018

Cesare, Vercingetorige ed i Mandubi

Talvolta si sente dire che, durante l'assedio di Alesia, Cesare abbia fatto morire di fame i vecchi, le donne e i bambini dei Mandubi. Vediamo come sono andate le cose, dalle parole di Cesare nel De Bello Gallico.
I Galli di Vercingetorige, assediati nell’acropoli di Alesia ed a corto di cibo, per resistere fino all'arrivo di rinforzi, obbligano i Mandubi, gli abitanti di Alesia che avevano dovuto accogliere i Galli di Vercingetorige, a lasciare il loro oppido. Che se ne vadano, vecchi, donne e bambini a farsi sfamare da Cesare, dice il capo dei Galli. E i Mandubi, cacciati dalla loro città, si offrirono schiavi ai Romani. Ma i Romani erano a loro volta accerchiati dagli altri Galli, ed avevano il cibo razionato. Per questo motivo, Cesare proibì di accoglierli. Non ordinò di ucciderli, proibì di accoglierli, e niente più. Per fare una tale proibizione, era segno che i suoi soldati avrebbero anche voluto prenderli come schiavi. Siamo al libro 7 capitolo 78 del De Bello Gallico. 
Forse avete letto o sentito dire che i Mandubi hanno avuto una lentissima agonia nella terra di nessuno tra le linee di Cesare e dei Galli, morendo di fame e di sete, dopo giorni e giorni di sofferenze e lamenti. Vediamo allora che cosa dice Cesare in sintesi. Fine del capitolo 78: dopo che furono poste delle guardie sul vallo, vietò di lasciare [i Mandubii] entrare. [79] Interea, in quel mentre, Commio e gli altri capi [dei Galli] che reggevano il comando supremo, con tutto l'esercito arrivarono ad Alesia, e, occupato uno dei colli si accamparono a non più di un miglio dalle nostre difese. Postero die equitatu ex castris educto, il giorno dopo fanno uscire la cavalleria ed occupano tutta la pianure. Ad Alesia vedono e gioiscono e fanno uscire le truppe. E scoppia la battaglia. I Mandubi hanno quindi passato una sola notte tra i Romani ed i Galli. Se sono morti, sono morti il giorno dopo perché si sono trovati nel mezzo della battaglia, e non per aver sofferto di sete e fame per diversi giorni. E' probabile invece che siano rientrati in Alesia, quando i Galli hanno aperto le porte per uscire all'attacco dei Romani. Ormai i Galli avevano già visto i rinforzi e credevano che la battaglia si sarebbe risolta presto a loro favore. Non c'era motivo per non accogliere nuovamente i Mandubi nella città.
Ricapitolando: i Mandubi, usciti da Alesia si sono rivolti ai Romani. Poste le guardie, Cesare vieta ai Romani di accoglierli. In quel mentre, arrivano i rinforzi dei Galli ed il giorno dopo scoppia la battaglia. I Mandubbi hanno passato tra le mura di Alesia e le linee romane, una sola notte.
Comunque, come mai esiste la fake news dell'agonia dei Manduii? Colpa di Cassio Dione.
Prendiamo il Dione Cassio Coccejano tradotto da Giovanni Viviani. Tomo primo. Dalla tipografia de' fratelli Sonzogno, 1823. Pagina 440. Dione mette in testa a Cesare idee che non aveva, e non rispettando i tempi del racconto, produce false speculazioni. 
"Andando in lungo l’assedio, e già cominciando a mancare il frumento, cacciò [Vercingetorige] fuori della città i piccoli figli e le donne, e tutti gli altri inutili per la guerra; sperando, ma invano, che ne sarebbe avvenuta o l’una o l’altra di queste due cose, cioè, o che tal moltitudine fatta prigioniera dai Romani sarebbe stata salvata, o che quei che restavano avrebbero sostentata più lungamente la vita con li alimenti destinati per la medesima. Ma neppure lo stesso Cesare abbondava in guisa di grano, che mantener potesse anche gli altri, e giudicando inoltre, che col rimandare indietro coloro avrebbe fatto si  che i nemici consumassero la vettovaglia in più copia, e tenendo per certo, che sarebbero stati ricevuti, li discacciò tutti lungi da sè, dal che ne avvenne, che tutta questa turba, non accogliendola ne gli uni, ne gli altri, perì miseramente fra la città e gli alloggiamenti. Di lì a non molto poi vennero presso i Barbari i rinforzi di gente a cavallo, e di altri da essa condotti, ma furono respinti dai Romani in un equestre combattimento," eccetera. "Di lì a non molto", ma Dione, era il giorno dopo!
Ecco cosa dice Cesare, unica fonte di ciò che accadde ad Alesia.
[78] Sententiis dictis constituunt ut ei qui valetudine aut aetate inutiles sunt bello oppido excedant, atque omnia prius experiantur, quam ad Critognati sententiam descendant: illo tamen potius utendum consilio, si res cogat atque auxilia morentur, quam aut deditionis aut pacis subeundam condicionem. Mandubii, qui eos oppido receperant, cum liberis atque uxoribus exire coguntur. Hi, cum ad munitiones Romanorum accessissent, flentes omnibus precibus orabant, ut se in servitutem receptos cibo iuvarent. At Caesar dispositis in vallo custodibus recipi prohibebat.
Dopo aver sentito i vari pareri, decidono di allontanare dalla città coloro che, per scarsa condizione fisica o per età non potevano combattere e di tentare tutto, prima di risolversi alla proposta di Critognato; tuttavia, in caso di necessità o di ritardo dei rinforzi, bisognava giungere a un tale passo piuttosto che accettare condizioni di resa o di pace. I Mandubi, che li avevano accolti nella loro città, sono costretti a partire con i figli e le mogli. Giunti alle difese romane, tra le lacrime e con preghiere d'ogni genere, supplicavano i nostri di prenderli come servi e di dar loro del cibo. Ma Cesare, disposte sentinelle sul vallo, impediva di accoglierli.
[79] Interea Commius reliquique duces quibus summa imperi permissa erat cum omnibus copiis ad Alesiam perveniunt et colle exteriore occupato non longius mille passibus ab nostris munitionibus considunt. Postero die equitatu ex castris educto omnem eam planitiem, quam in longitudinem tria milia passuum patere demonstravimus, complent pedestresque copias paulum ab eo loco abditas in locis superioribus constituunt. Erat ex oppido Alesia despectus in campum. Concurrunt his auxiliis visis; fit gratulatio inter eos, atque omnium animi ad laetitiam excitantur. Itaque productis copiis ante oppidum considunt et proximam fossam cratibus integunt atque aggere explent seque ad eruptionem atque omnes casus comparant.
In quel mentre, Commio e gli altri capi [dei Galli], che reggevano il comando supremo, giungono ad Alesia con tutte le truppe, occupano il colle esterno e si attestano a non più di un miglio dalle nostre difese. Il giorno dopo fanno uscire dal loro campo la cavalleria e riempiono tutta la pianura che si stendeva per tre miglia, come sopra ricordato. Quanto alla fanteria, la dispongono poco distante, nascosta sulle alture. Dalla città di Alesia la vista dominava sulla pianura. Vedendo i rinforzi, i Galli accorrono: esultano, gli animi di tutti si schiudono alla gioia. Di conseguenza guidano le truppe fuori dalle mura e si schierano di fronte alla città, coprono la prima fossa con fascine, la colmano di terra si preparano all'attacco, al tutto per tutto.
[80] Caesar omni exercitu ad utramque partem munitionum disposito, ut, si usus veniat, suum quisque locum teneat et noverit, equitatum ex castris educi et proelium committi iubet. Erat ex omnibus castris, quae summum undique iugum tenebant, despectus, atque omnes milites intenti pugnae proventum exspectabant. Galli inter equites raros sagittarios expeditosque levis armaturae interiecerant, qui suis cedentibus auxilio succurrerent et nostrorum equitum impetus sustinerent. Ab his complures de improviso vulnerati proelio excedebant. Cum suos pugna superiores esse Galli confiderent et nostros multitudine premi viderent, ex omnibus partibus et ei qui munitionibus continebantur et hi qui ad auxilium convenerant clamore et ululatu suorum animos confirmabant. Quod in conspectu omnium res gerebatur neque recte ac turpiter factum celari poterat, utrosque et laudis cupiditas et timor ignominiae ad virtutem excitabant. Cum a meridie prope ad solis occasum dubia victoria pugnaretur, Germani una in parte confertis turmis in hostes impetum fecerunt eosque propulerunt; quibus in fugam coniectis sagittarii circumventi interfectique sunt. Item ex reliquis partibus nostri cedentes usque ad castra insecuti sui colligendi facultatem non dederunt. At ei qui ab Alesia processerant maesti prope victoria desperata se in oppidum receperunt.
Cesare dispose l'esercito lungo entrambe le linee fortificate, affinché ognuno, in caso di necessità, conoscesse bene il proprio posto e ivi si schierasse. Poi, guida la cavalleria fuori dal campo e ordina di dar inizio alla battaglia. Fuori campo, situatosi sulla cima del colle, la vista dominava; tutti i soldati, ansiosi, aspettavano l'esito dello scontro. I Galli tenevano in mezzo alla cavalleria pochi arcieri e fanti con armatura leggera, che avevano il compito di soccorrere i loro [suis] quando ripiegavano e di frenare l'impeto dei nostri cavalieri. Gli arcieri e i fanti avevano colpito inaspettatamente parecchi dei nostri, costringendoli a lasciare la battaglia. Da ogni parte tutti i Galli, sia chi era rimasto all'interno delle difese, sia chi era giunto in rinforzo, convinti della loro superiorità e vedendo i nostri pressati dalla loro massa, incitavano i loro con grida e ululati. Lo scontro si svolgeva sotto gli occhi di tutti, perciò nessun atto di coraggio o di viltà poteva sfuggire: la lode gloriosa e il timore d'ignominia spronavano al valore gli uni e gli altri. Si combatteva da mezzogiorno, il tramonto era ormai vicino e l'esito era ancora incerto, quand'ecco che, in un settore, a ranghi serrati i cavalieri germani [e chi erano questi germani?] caricarono i nemici e li volsero in fuga. Alla ritirata della cavalleria, gli arcieri vennero circondati e uccisi. Anche nelle altre zone i nostri inseguirono fino all'accampamento i nemici in fuga, senza permetter loro di raccogliersi. I Galli che da Alesia si erano spinti in avanti, mesti, disperando o quasi della vittoria, cercarono rifugio in città.
In 
 si pone la seguente domanda "Come mai si parla della crudeltà di Cesare e non si parla della crudeltà dei galli che lasciarono morire di fame donne, vecchi  e bambini sotto i loro occhi?"
Perché c'è chi, per politica, vuol dipingere Cesare come crudele e allora non si legge Cesare ma si prende la versione che fa comodo, quella di  Dione.  

Sunday, November 18, 2018

The Moon on her Chariot


The Moon setting in her chariot, preceded by the evening star, Hesperus, winged and carrying a torch on the Parabiago Plate.
Museo Archeologico di Milano.


Si veda sul culto della Luna
https://www.romanoimpero.com/2010/09/culto-di-luna.html



Saturday, November 17, 2018

Il fratellino di Gherardo

Willem van Honthorst (Utrecht, 1594 – Utrecht, 19 febbraio 1666) è stato un pittore olandese rappresentante del Secolo d'oro olandese. Era il fratello minore di  Gherardo delle Notti. Entrambi, su volere del padre Herman, furono avviati alla pittura da Abraham Bloemaert.


Gherardo delle Notti

Ecco il link a Treccani Channel sul grande pittore Olandese!


«Da quando gli Uffizi sono stati investiti dalla furia criminale dell’attentato mafioso, nel 1993, l’Adorazione dei pastori di Gherardo delle Notti s’è fatta memoria di quella stagione buia, assurgendo però nel contempo a simbolo anche d’una rinascita orgogliosa» (Antonio Natali).



Ansa, 25 maggio 2018
https://notizie.tiscali.it/feeds/l-adorazione-dei-pastori-gherardo-delle-notti-00003/
L'Adorazione dei Pastori di Gherardo delle Notti, uno dei dipinti danneggiati durante l'esplosione avvenuta nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993, poi recuperati grazie a certosini interventi di restauro. Una 'sala memoriale' per ricordare la strage dei Georgofili nascerà agli Uffizi nell'area antistante la sala d'accesso al Corridoio Vasariano (la più danneggiata, nel museo, dalla deflagrazione dell'autobomba), in occasione della sua futura riapertura.

Friday, November 16, 2018

Piemonte Romano: Pontecurone

Il nome deriva dal latino pons Coronis o pontis Coronis, con riferimento  al ponte sul torrente Curone. Il primo nucleo abitato di Pontecurone si può dare per certo già in epoca augustea - con il rifiorire della Via Postumia (che collegava Piacenza a Genova passando per Voghera, Tortona e Libarna) nelle vicinanze dell'importantissimo guado sul Curone, grazie al ritrovamento di numerose monete di quell'epoca nel territorio.



Mi piace questa vista dal satellite perché sembra che Pontecurone abbia mantenuto la tipica planimetria a scacchiera romana.

Il Piemonte e Roma

Ecco alcuni estratti da Il Piemonte in epoca romana, di Sergio Roda
http://piemonteautonomie.cr.piemonte.it/cms/index.php/il-piemonte-in-epoca-romana

In Piemonte vi erano alcune tribù celtiche e liguri, talora definite come celto-liguri, le più consistenti delle quali sono i Salassi (stanziati in Val­le d'Aosta e nelle valli canavesane settentrionali), i Tau­rini (in una vasta area di pianura parzialmente corrispondente all'attuale provincia di Torino), i Sallui o Libui (nel Vercellese), i Vertamacori (nel Novarese), e, a sud del Po, i Bagienni (nella vasta area corrispondente all’attuale territorio di Asti, Alba e Cuneo), gli Statielli (nel territorio di Acqui Terme), gli Epanteri Mon­tani (stanziati nell'Alta Val Tanaro). Di questi ricordiamo che i Taurini si opposero invano alla discesa di Annibale in Italia nel 218 a. C..
"L’occupazione e la conquista romana del Piemonte fu assai più tarda rispetto alle altre zone dell’Italia settentrionale ove nel III secolo a. C. i Romani fondarono anche importanti colonie come Rimini, Cremona o Piacenza. ... Un primo stanziamento stabile romano sembra in ogni modo individuabile nel territorio compreso tra i fiumi Po, Tanaro e Stura ed ebbe come centro motore la città di Pollentia (Pollenzo): ...  Risale in ogni caso all’ultimo quarto del II secolo a. C. una serie di importanti realizzazioni viarie e stradali accompagnate da interventi di centuriazione nelle campagne che non determinarono però un’immediata urbanizzazione dell’area piemontese. Oltre a Dertona, istituita nel 122 a. C., il II secolo exeunte conobbe soltanto un’altra colonia, Eporedia (Ivrea), fondata nel 100 a. C. per ragioni strategiche sia militari (imposte dalla opportunità di controllare il territorio dopo la temibile invasione dei Cimbri fermata l’anno precedente – 101 – da Caio Mario in area vercellese) ..."
Sergi o Roda continua l'articolo dicendo che all'inizio del I secolo a. C. si era ancora lontani dall'avere una salda struttura amministrativa in Piemonte. Una svolta si ebbe nell'89 a.C. con l'emanazione della Lex Pompeia de Transpadanis e della Lex Plautia Papiria. Queste leggi concessero a tutte le comunità italiche a nord e a sud del Po il diritto latino di cittadinanza (ius Latii).
Questo fu "il segnale concreto della volontà romana di consolidare la propria presenza anche nella regione pedemontana, volontà che fu ulteriormente incoraggiata quando le campagne di Giulio Cesare in Gallia resero impellente la necessità di rendere agibili in maniera permanente passi di transito alpini di più antica o più recente apertura, dal Monginevro (via ad Alpes Cotitias) al Gran San Bernardo (via ad Alpes Poeninas) e al Piccolo San Bernardo (via ad Alpes Graias)."
Diventata un'area sicura per l’espansione territoriale in Gallia e nell’Europa Centrale, espansione che era nei disegni di Cesare e poi di Augusto, si ebbe il "riordino di realtà urbane come Novaria (Novara) e Vercellae (Vercelli) convertite in municipi, o della fondazione di importanti colonie come Augusta Taurinorum (Torino) e Augusta Praetoria (Aosta), o dello sviluppo di piccole città dal grande peso strategico come Segusium (Susa); mentre a sud del Po le fondazioni urbane di Augusta Bagiennorum (Benevagienna) in età augustea e quelle precedenti di Alba Pompeia (Alba) e di Aquae Statiellae (Ac­qui) erano avvenute in continuità con i centri indigeni protourbani." (Ricordiamo che Augusta Taurinorum, prima della rifondazione di  Augusto era un castrum di Cesare). Nascono anche altri centri come Forum Vibii Caburrum (Cavour), Forum Gema (San Lorenzo di Caraglio), Pedo (Borgo San Dalmazzo), la colonia lulia Augusta (Centallo). Questi centri erano, in larga misura, "corrispondenti alle stazioni di esazione della cosiddetta Quadragesima Galliarum, l’imposta del 2,5% sulle merci in transito da e per la Gallia Transalpina."
Nel 49 a. C. le colonie latine nella pianura padana divennero municipi e gli abitanti divennero cittadini romani. Nel 42 a.C. la provincia della Gallia Cisalpina, nata nella prima metà del I secolo a. C. (forse attorno al 90/89 a. C.), comprendente tutta l’Italia settentrionale, venne abolita. Era diventata parte dell’Italia romana, risultato della concezione politico-amministrativa di Augusto. Così, "l’intera penisola fino al confine della pianura con le Alpi veniva intesa come spazio sacro e inviolabile della città di Roma. " I cittadini godevano nella loro città dei diritti di una doppia cittadinanza, sia romana sia della civitas in cui vivevano.
Abbiamo finora visto cosa era successo alla pianura padana. Vediamo ora come erano governate le aree alpine. Per "i Romani, le aree di montagna costituivano una realtà geopolitica a se stante e peculiare che andava trattata amministrativamente con altrettanta specificità: in conformità a tale concezione, ... [Augusto] suddivise l’arco alpino occidentale in distretti militari governati da prefetti, le Alpes Maritimae, le Alpes Cottiae e le Alpes Graiae e le Alpes Poeninae, che si estendevano sui due versanti fino allo sbocco in pianura delle valli. Le Alpes Cottiae ebbero un regime particolare in quanto sottoposte all'autorità del re segusino Cozio che, con il titolo praefectus civitatum, dalla capitale Segusium estese il suo dominio su quattordici tribù stanziate sui due versanti alpini e garantì la sicurezza dell’importantissima via del Monginevro."
Il Piemonte non montano, da Augusto fino al III secolo d. C., era diviso in tra due delle undici Regiones dell'Italia. La zona a nord del Po era nella Regio XI Transpadana che includeva anche parte della Lombardia settentrionale. La zona a sud del Po era nella Regio IX Liguria che includeva anche l’attuale Liguria. Ecco le città. Nella Regio XI: Augusta Taurinorum (Torino), Augusta Praetoria (Aosta), Eporedia (Ivrea), Vercellae (Vercelli), Novaria (Novara). Nella Regio IX: Alba Pompeia (Alba), Aquae Statiellorum (Acqui Terme), Augusta Bagiennorum (Benevagienna), Carreum Potentia (Chieri), Derthona (Tortona), Forum Fulvii (Villa del Foro), Hasta (Asti), Industria (Monteu da Po), Iria (Voghera), Libarna (Serravalle Scrivia), Pollentia (Pollenza), Vardacate (Casale Monferrato).

Un saluto da Augusta Taurinorum, Regio XI.

Wednesday, November 14, 2018

Top 10 des inventions et découvertes de l'Egypte ancienne

Top 10 des inventions et découvertes de l'Egypte ancienne

Mathématiques, Calendrier, Gouvernement, Bibliothèque, Le vin, Cosmétiques, Momification, Médecine, Hiéroglyphes, Pyramides

"Dans les livres d’histoire, les Grecs ont parfois le mérite d’inventer les mathématiques. Ils étaient compétents en mathématiques et en astronomie, mais la vérité est qu’ils l’ont appris des Egyptiens. La principale différence est que la géométrie et l’arithmétique égyptiennes ont été principalement utilisées pour des applications pratiques: mesures, transactions commerciales, construction de pyramides et découpages de roches. Les mathématiques n’étaient pas considérées comme une science théorique."