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Benvenuti in queste pagine dedicate a scienza, storia ed arte. Amelia Carolina Sparavigna, Torino

Thursday, October 25, 2018

Van Dyck. Pittore di corte: la mostra a Torino nel 2018-19

«Grande per la Fiandra era la fama di Pietro Paolo Rubens, quando in Anversa nella sua scuola sollevossi un giovinetto portato da così nobile generosità di costumi e da così bello spirito nella pittura che ben diede segno d'illustrarla ed acrescerle splendore.»
Il giovinetto era Antoon van Dyck.


Il principe Tommaso Francesco di Savoia Carignano , 1634, Antoon van Dyck
Sempre in ammirazione di questo quadro.

Prepariamoci alla mostra.
"La Galleria Sabauda di Torino accoglie, dal 16 novembre 2018, una nuova grande mostra dedicata a Antoon Van Dyck (1599-1641), il miglior allievo di Pieter Paul Rubens, che rivoluzionò l’arte del ritratto del Seicento. La mostra “Van Dyck. Pittore di corte” vuol fare emergere l’esclusiva relazione che il pittore ebbe con le corti più importanti, italiane ed europee, per le quali dipinse innumerevoli ritratti, capolavori unici per elaborazione, qualità cromatica, eleganza e dovizia nella riproduzione soddisfacendo le esigenze di rappresentazione delle classi regnanti."

Quando 16 novembre 2018 - 17 marzo 2019
Orario: 09:00 - 19:00

Dove Musei Reali, Piazzetta Reale, 1 - Torino

Monday, October 22, 2018

Tendenza della Storia? Un passo di Otto Schönberger, "Tendenz" im Bellum Gallicum, 1990, sull'approccio di Rambaud all'opera di Giulio Cesare.

Michel Rambaud (1921-1985), è stato uno studioso francese, professore di Latino alla Faculté des lettres et sciences humaines di Lyon. E' stato membro della Société historique, archéologique et littéraire de Lyon. Ha pubblicato nel 1952 l'opera intitolata "L'art de la déformation historique dans les commentaires de César.". E' un titolo che ci dice esplicitamente quello che si può trovare in detta opera. Ed in effetti, chiunque consideri Giulio Cesare come un dittatore, nel senso moderno del termine, troverà in questo libro tutto il supporto al caso suo.
In Rambaud troviamo i punto di partenza di alcuni studi che rendono Cesare come un genocida, nello specifico degli Usipeti e Tencteri. Abbiamo discusso (Zenodo) che questi popoli non sono scomparsi dalla storia, anzi li ritroviamo a sconfiggere i Romani nella Clades Lolliana (una sconfitta di cui si parla poco, avvenuta sotto Augusto). Marco Lollio subì da parte di  Sigambri, Usipeti e Tencteri una disastrosa sconfitta nel 17 a.C., dove perse l'aquila della legio V. La Clades Lolliana è stata, secondo Svetonio, una sconfitta paragonabile solo a quella di Publio Quintilio Varo nella battaglia di Teutoburgo. 
C'è una contraddizione nell'opera di Rambaud ed è la seguente. A proposito di Usipeti e Tencteri, Peter Hueber, il cui libro Michel Rambaud loda fra tutti quelli che cita nella sua bibliografia come "très important" (pag. 386), e che  Matthias Gelzer accomuna con Rambaud nella sua critica al loro approccio all'opera di Cesare, nega addirittura che vi sia stato massacro degli Usipeti e Tencteri, sostenendo che fu una tipica esagerazione di Cesare per autoincensarsi [Vedi nota alla fine del Post]. 
Ma torniamo a pensiero di Rambaud; egli sostiene nel suo libro, che la deformazione storica in Cesare assurga addirittura a livello di distruzione della verità, "un classico esempio di rapporto tendenzioso". Ecco che cosa dice  Otto Schönberger [C. Iulius Caesar, Der Gallische Krieg, Lateinisch-deutsch, Herausgegeben von Otto Schönberger, München und Zürich, 1990], nel seguente riferimento segnalatomi da Francesco Carotta.

S. 667
„Tendenz“ im Bellum Gallicum
[…]
Man warf Caesar vor, sein Buch sei voll von Verschleierungen und Entstellungen der Wahrheit. Besonders Michel Rambaud behauptet in seinem Buch über die historische Deformation bei Caesar, es handle sich um ein Pamphlet, das die Wahrheit zerstöre, ein klassisches Beispiel tendenziöser Berichterstattung. Alles, was Caesar sage, diene seiner Verherrlichung oder Entschuldigung. Rambaud (177 f.) führt eine Reihe von Techniken auf, die Caesar anwende, um die Wahrheit zu entstellen: zu große Zahlen, Übertreibungen, Ungenauigkeiten, Verkleinerungen usw. Die Kunstmittel der hellenistischen Historiographie, die ästhetischen Zwecken dienten, seien dazu verwendet, dem Leser Caesars Sicht der Ereignisse zu insinuieren. Rambaud übertreibt jedoch ein sinnvolles kritisches Prinzip. Mit Hilfe seiner Methode ließe sich unschwer beweisen, daß die Eroberung Galliens nicht stattfand und Caesar nur eine Falschmeldung darüber verbreitete.
[…]
C. Iulius Caesar, La Guerra Gallica, Latino-tedesco, a cura di Otto Schönberger, Monaco e Zurigo, 1990.
p. 667
„Tendenza“ nel Bellum Gallicum
[…]
Si è rimproverato a Cesare che il suo libro sia pieno di dissimulazioni e di travisamenti della verità. Particolarmente Michel Rambaud sostiene nel suo libro sulla deformazione storica in Cesare, che si tratti di un libello che distrugge la verità, un classico esempio di rapporto tendenzioso. Tutto quel che Cesare dice, sarebbe al servizio della sua esaltazione o giustificazione. Rambaud (177 sq) enumera una serie di tecniche usate da Cesare per alterare la verità: numeri troppo grandi, esagerazioni, imprecisioni, riduzioni ecc. Gli artifici della storiografia ellenistica, che servivano a fini estetici, sarebbero stati impiegati per insinuare al lettore il punto di vista di Cesare sugli avvenimenti. Rambaud esagera però un principio critico sensato. Coll’ausilio del suo metodo si potrebbe facilmente dimostrare che la conquista della Gallia non ebbe luogo e che Cesare aveva soltanto diffuso una bufala.
[Traduzione di Francesco Carotta]

Usando il metodo Rambaud, "si potrebbe facilmente dimostrare che la conquista della Gallia non ebbe luogo e che Cesare aveva soltanto diffuso una bufala." Sembra quindi, dalle parole di Schönberger, che il metodo Rambaud sia facile da usare per fare proprio quello di cui Rambaud accusa Cesare, ossia mistificare i fatti. E ciò è stato già notato da un altro critico di Rambaud, Baldson, che accusa Rambaud, sotto il pretesto di criticare l’art de la déformation historique di Cesare, di praticare lui stesso l’art de la déformation historiographique.

Dall'articolo di J. P. V. D. Balsdon, 1955, https://doi.org/10.2307/298756
p. 164: For R. there seems to be no halfway house between believing that everything Caesar wrote is true and believing that everything he wrote is untrue. And such is the determination with which he seeks to prove the case, that it is tempting to see in it l’art de la déformation historiographique.

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NOTA: Francesco Carotta, che mi ha segnalato il passo di Huber, mi ha anche gentilmente dato una traduzione. Eccola.

Peter Huber, Die Glaubwürdigkeit Caesars in seinem Bericht über den Gallischen Krieg, [1. Auflage: 1914] 2. Auflage: 1931.
S. 5–10: Einleitung.
S. 9: […]
Als letztes Beispiel ziehe ich heran Cäsars Bericht über die Vernichtung der Usipeter und Tencterer, wo er uns glauben machen will, die 430000 germanischen Auswanderer hätten sich abschlachten oder in das Wellengrab des Rheins jagen lassen, ohne daß von seinen Soldaten auch nur ein einziger gefallen sei (IV 15). Meines Erachtens richtet sich eine derartige Aufschneiderei von selbst[4], ich kann sie aber auch noch entkräften durch den Hinweis auf den glänzenden Sieg, den Tags zuvor 800 tapfere Reiter dieser Völker über 5000 römische davongetragen hatten (IV 12). Solche Leute lassen sich nicht von Schrecken gelähmt abschlachten wie Schafe, Außerdem verweise ich auf Rauchensteins [Der Feldzug Cäsars gegen die Helvetier, Zürich 1882] wichtige Beobachtung, daß die beiden angeblich … [von Cäsar]

[4] Übrigens waren ja bei den Römern solche Übertreibungen (namentlich Barbaren gegenüber) gang und gäbe. Vgl. die unglaubliche Lüge bei Sueton, Div. Julius 25: Germanos, qui trans Rhenum incolunt, primus Romanorum ponte fabricato adgressus, maximis (?!) adfecit cladibus. Das kann uns nicht wundern, wenn Cäsar selbst (bell. civ. I 7, 6) zu einen Soldaten sagen konnte, sie hätten ganz Gallien und Germanien unterworfen!
S. 10:
[angeblich] … von Cäsar fast völlig vernichteten Völker später bei Tacitus eine große Rolle spielen (S. 25 f.). Das ist die „bewundernswürdige Objektivität“, die Schanz [Geschichte der Römischen Literatur, München 1909] an Cäsar zu rühmen weiß.
S. 69–77:
Caesars Kampf mit den Usipetern und Tencterern.
S. 69:
Auch die glühendsten Verehrer und begeisterten Bewunderer Cäsars müssen zugeben, daß sein Vorgehen gegen die Usipeter und Tencterer nicht einwandfrei ist. Da er nun ganz natürlich gerade in diesem Teil seines Berichtes beschönigen, verdrehen und entstellen mußte, so dürfte es nicht unangebracht sein, eingehend seinen Bericht zu analysieren, da ein solcher Versuch meines Wissens bis jetzt fehlt. Nur so wird sich zeigen lassen, daß wir doch in der Klarstellung des Sachverhaltes weiter kommen können, als man gewöhnlich glaubt.
Schon in der Einleitung habe ich bemerkt, daß die fast völlige Vernichtung der beiden Wandervölker, ohne daß die Römer irgend welche Verluste erleiden, in das Reich der Fabel zu verweisen ist. Denn sie spielen in den späteren Kämpfen zwischen Germanen und Römern eine große Rolle. Und besonders möchte ich hervorheben, daß sie schon in der Zeit des Drusus wieder als selbständige Völkerschaften erscheinen, während ihre angeblichen Beschützer, die Sugambrer, von Augustus auf das linke Rheinufer verpflanzt wurden[1]. Diese Beobachtung allein schon mahnt zur Vorsicht gegenüber Cäsars Darstellung.

[1] Bemerkenswert ist dabei, daß auch Augustus gegen diese sich einer ähnlichen Perfidie bediente wie Cäsar gegen die Usipeter und Tenkterer. Denn er ließ die vornehmen Gesandten derselben festnehmen und in gallischen Städten internieren. Nun erst war das seiner Führer beraubte Volk bereit sich links des Rheins ansiedeln zu lassen.
[…]
S. 75:
4. Zu zahlreichen Bedenken und Zweifeln gibt auch die Darstellung von der Flucht und Vernichtung der Germanen Anlaß. Daß das Anrücken der Römer, in deren Lager ihre Führer gelockt worden waren, größte Ratlosigkeit in den Reihen der Germanen hervorrief und ihre Widerstandskraft lähmte, ist ohne weiteres klar und zuzugeben. Aber wenig wahrscheinlich ist von vornherein die völlige Überrumpelung derselben. Es war doch nicht Nacht, sondern hellichter Tag. Soll man wirklich glauben, daß gar keine Sicherung vorgeschoben war[2], daß vollends auf der ganzen, 12 km langen Strecke von den so zahlreichen Germanen sich niemand befunden hat, der den Anmarsch der Römer hätte melden können? Schon die ganz natürliche Neugierde auf den Ausgang der Unterhandlungen verbietet eine solche Annahme. Dazu kommt, daß die Römer in voller Schlachtordnung[3] anrücken, so daß über ihre Absichten kein Zweifel herrschen kann. Es hält nun schwer zu glauben, daß völlige Kopflosigkeit unter den vielen Tausenden tapferer Germanen geherrscht und den Gedanken an verzweifelte Verteidigung gar nicht habe aufkommen lassen. Daß vollends nicht mehr Zeit war, um die Waffen zu ergreifen[4], ist weiter nichts als eine der üblichen Phrasen, die an Bedeutung nicht dadurch gewinnt, dass später darauf Bezug genommen wird. Denn 14, 4 ist die Rede von einigen, die schnell die Waffen ergreifen konnten und Widerstand leisteten, während die Weiber und Kinder flohen[5]. Was sollen denn unterdessen die übrigen Germanen getan haben? Und man wird … [jener Angabe]

[2] Ich bemerkte bereits, daß nach dem Berichte Cäsars für diesen Tag der Waffenstillstand nicht mehr galt. Ist es aber menschenmöglich, daß die vornehmen Germanen ohne derartige Garantien ins Lager Cäsars gegangen sind? Ich betone wiederum, daß ein solch geringes Entgegenkommen Cäsars ganz besonders seine Darstellung unwahrscheinlich macht.
[3] acie triplici instituta … ad hostium castra pervenit (14, 1).
[4] neque consilii habendi neque arma capiendi spatio dato (14, 2).
[5] at reliqua multitudo puerorum mulierumque passim fugere coepit (14, 5). Ohne Bedeutung? Eine solche Preisgabe dieser pignora, wie sie Tacitus Germ. 7 nennt, ist höchst befremdlich. Brauchen diese nicht die Martern und den Tod vonseiten der Gallier zu fürchten, wie das die Häuptlinge der Germanen vorgeben (15, 5) ?

S. 76:
[Und man wird] … jener Angabe um so weniger Glauben schenken, als in 15, 1 (Germani post tergum clamore audito, cum suos interfici viderent, armis abiectis signisque militaribus relictis se ex castris eiecierunt) das Wegwerfen der Waffen auf alle Germanen bezogen werden muß[1]. Man betrachte dann endlich die folgende Aufzählung bei Cäsar 15, 1 f.: Die Germanen werfen die Waffen weg, fliehen an den Rhein, geben dort die weitere Flucht auf und erst, als eine große Anzahl von ihnen getötet worden ist, stürzt sich der Rest in den Fluß. Da muß sich doch jedem die Frage aufdrängen: Warum stürzen sie sich denn nicht gleich in den Fluß, auf was sollen sie denn gewartet haben[2]? Es ist das übliche blutrünstige Bild der römischen Siegesbulletins und um so weniger glaubwürdig, als die Römer nicht einen einzigen Mann dabei verlieren[3]. Der Vorsichtige Cäsar hat aber auch die Germanen gleich die Waffen wegwerfen lassen und ihre tapferen 800 Reiter schweigt er an diesem Tage tot. Wer diesen Aufputz römischer Siegesnachrichten kennt, setzt hinter derlei Übertreibungen von vornherein ein großes Fragezeichen. Erwägt man aber die große Bedeutung, die den Usipetern und Tencterern später von Tacitus beigemessen wird[4], so ergibt sich ohne weiteres der Schluß, daß der Ausgang dieses Krieges ein ganz anderer, für die beiden Völker viel weniger verlustreicher gewesen sein muß. Ohne natürlich den Worten eine besondere Bedeutung beizulegen, möchte ich doch auf die Stelle 16, 2 hinweisen, wo statt dieses Untergangs der beiden Völker von einer „Flucht“ derselben gesprochen wird[5].

[1] Oder verbirgt sich hinter diesen Widersprüchen die Tatsache, daß nur ein Teil der Germanen um den Abmarsch zu decken die Römer bei der Wagenburg bindet und zur Entwicklung zwingt?
[2] Oder hat dort noch ein letzter Kampf stattgefunden ? Daß nämlich alle Germanen die Waffen weggeworfen hätten, ist ja an sich eine ungeheuerliche Übertreibung.
[3] Ich erinnere an die ähnliche Prahlerei II 11, 6: Bis zum Einbruch der Dunkelheit würgen die Römer unter den fliehenden Belgiern sine ullo periculo!
[4] Ich verweise auf meine Bemerkungen am Beginn dieses Abschnittes.
[5] accessit etiam, quod illa pars equitatus Usipetum et Tencterorum … post fugam suorum se trans Rhenum in fines Sugambrorum receperat. Auch möchte ich der Vollständigkeit halber VI 35, 5 buchen : Sugambri … a quibus receptos ex fuga Tencteros atque Usipetes supra docuimus.

——
Traduzione italiana:

Peter Huber, La credibilità di Cesare nei suoi commentarii sulla guerra gallica. [1ª edizione: 1914] 2ª edizione: 1931. Traduzione di Francesco Carotta.

p. 5–10:
Introduzione. p. 9:
[…]
Come ultimo esempio citerò il rapporto di Cesare sull’annientamento degli Usipeti e Tencteri, nel quale ci vuol far credere che i 430.000 emigrant germanici si siano lasciati massacrare o gettare nell’onda del Reno come in una fossa comune, senza che nemmeno uno solo dei suoi soldati sia caduto (IV 15). A mio avviso una tale millanteria si giudica da sola[4], ma la posso anche confutare facendo riferimento alla brillante vittoria che il giorno precedente 800 valorosi cavalieri di questi popoli avevano riportato su 5000 romani (IV 12). Gente simile non si lascia paralizzare dallo spavento e macellare come pecore. Rimando inoltre all’osservazione importante di Rauchenstein [Der Feldzug Cäsars gegen die Helvetier, „La campagna di Cesare contro gli Elvezi“, Zurigo 1882], che i due popoli …

[4] D’altronde tali esagerazioni (segnatamente verso i barbari) erano correnti presso i Romani. Cf. l’incredibile menzogna in Svetonio, Div. Giulio 25: Germanos, qui trans Rhenum incolunt, primus Romanorum ponte fabricato adgressus, maximis (?!) adfecit cladibus. Non ci può quindi più stupire che Cesare stesso (bell. civ. I 7, 6) abbia potuto dire ai suoi soldati che avevano soggiogato tutta la Gallia e la Germania!
p. 10:
… quasi completamente sterminati da Cesare avranno poi un ruolo importante in Tacito  (p. 25 sq.). Questa è la „ammirevole oggettività“ che Schanz [Geschichte der Römischen Literatur, „Storia della letteratura romana“, Monaco 1909] sa elogiare in Cesare.
p. 69–77:
La battaglia di Cesare con gli Usipeti e Tencteri.
p. 69:
Anche i più ardenti appassionati ed entusiasti ammiratori di Cesare debbono ammettere che le sue azioni contro gli Usipeti e Tencteri non sono irreprensibili. Dato che egli proprio in questa parte del suo rapporto ha dovuto abbellire, stravolgere e travisare, non dovrebbe essere fuori luogo analizzare accuratamente il suo rapporto, poiché un tale tentativo che io sappia finora manca. Solo così si potrà mostrare che nel chiarimento dei fatti si può progredire più di quanto ordinariamente si creda.
Già nell’introduzione ho segnalato che lo sterminio quasi completo dei due popoli migranti senza che i Romani abbiano avuto nessuna perdita, è da bandire nel regno delle fiabe. Poiché avranno un ruolo rilevante nelle battaglie posteriori fra Germani e Romani. E vorrei sottolineare particolarmente che già al tempo di Druso appaiono di nuovo come popoli autonomi, mentre i loro pretesi protettori, i Sugambri, vennero trapiantati da Augusto sulla riva sinistra del Reno[1]. Questa osservazione basta già da sola ad esortare alla prudenza riguardo alla descrizione di Cesare.

[1] Notevole è che verso di loro anche Augusto si sia servito di una perfidia simile a quella di Cesare contro gli Usipeti e Tencteri. Fece infatti arrestare i loro notabili venuti in ambasciata, ed internare in città galliche. Soltanto allora, privato dei propri capi, quel popolo accettò di farsi insediare a sinistra del Reno.
[…]
p. 75:
4. Anche la descrizione della fuga e dell’annientamento dei Germani dà adito a numerose riserve e dubbi. Che l’avanzata dei Romani, nell’accampamento dei quali erano stati attirati i loro capi, provocò una grande confusione nelle file dei Germani paralizzando la loro resistenza, ciò è senz’altro chiaro ed ammissibile. Ma meno probabile a priori è che gli stessi siano stati colti del tutto alla sprovvista. Non era di notte, ma in pieno giorno. Possiamo credere che nessuno era stato messo di guardia[2], che sul lungo tratto di 12 km non si sia trovato neanche uno dei così numerosi Germani che abbia potuto annunciare la marcia di avvicinamento dei Romani? Già solo la curiosità naturale per l’esito delle trattative vieta una tale ipotesi. Si aggiunga che i Romani avanzarono schierati in assetto da combattimento[3], cosicché non ci poteva essere alcun dubbio sulle loro intenzioni. È dunque difficile credere che le molte migliaia di valorosi Germani abbiano perso completamente la testa e che non gli sia venuta l’idea di tentare una disperata difesa. Che non ci sia più stato il tempo di afferrare le armi[4] non è altro che una delle solite frasi, che non acquisiscono maggior senso quando poi vi viene fatto riferimento. Poiché 14, 4 si parla di alcuni che riuscirono ad afferrare velocemente le armi ed opporre resistenza, mentre le donne ed i bambini scapparono[5]. Che cosa dunque avranno nel frattempo fatto i rimanenti Germani? E si presterà …

[2] Ho già menzionato che secondo il rapporto di Cesare la tregua in quel giorno non era più in vigore. Com’è dunque possibile che i notabili germani siano andati senza alcuna garanzia nell’accampamento di Cesare? Faccio di nuovo notare che una tale scarsa disponibilità di Cesare rende la sua descrizione particolarmente improbabile.
[3] acie triplici instituta … ad hostium castra pervenit (14, 1).
[4] neque consilii habendi neque arma capiendi spatio dato (14, 2).
[5] at reliqua multitudo puerorum mulierumque passim fugere coepit (14, 5). Senza senso? Una simile rinuncia di questi pignora, come Tacito Germ. 7 li chiama, è assolutamente sorprendente. Non temono essi la tortura e la morte per mano dei Galli, come i capi dei Germani asseriscono (15, 5) ?

p. 76:
… ancor meno fede a tale affermazione che in 15, 1 (Germani post tergum clamore audito, cum suos interfici viderent, armis abiectis signisque militaribus relictis se ex castris eiecierunt) il gettare le armi dovrebbe riferirsi a tutti i Germani[1]. Si osservi infine la seguente enumerazione in Cesare 15, 1 sq: I Germani gettano le armi, fuggono al Reno, cessano la fuga, e soltanto quando un gran numero di loro è rimasto ucciso, il resto si butta nel fiume. Qui gli viene a chiunque di chiedersi: Ma perché non si buttano subito nel fiume, ma cosa mai avranno aspettato[2]? È l’abituale affresco sanguinario dei bollettini della vittoria dei Romani, ed ancor meno credibile non avendo i Romani perso neanche un uomo[3]. Il prudente Cesare ha però anche fatto gettare le armi ai Germani, ed in questa giornata ha taciuto del tutto i loro valorosi 800 cavalieri. Chi conosce l’ornato degli annunci della vittoria romani, mette dietro simili esagerazioni un grosso punto di domanda. Se si considera però la grande importanza che viene accordata più tardi da Tacito agli Usipeti e Tencteri[4], si giunge senz’altro alla conclusione che l’esito di questa guerra deve essere stato un altro, con molte meno perdite da parte di entrambi i popoli. Senza naturalmente voler dare alle parole un particolare significato, vorrei però far notare il passo 16, 2, dove, invece della „rovina“ di entrambi i popoli, si parla di una loro „fuga“[5].

[1] Oppure si nasconde dietro tutte queste contraddizioni il fatto che per coprire la loro ritirata solo una parte dei Germani affronta i Romani fra i carri ed i bagagli vincolandoli, e coinvolgendoli nello sviluppo?
[2] Oppure ha avuto luogo colà un ultimo combattimento? Che infatti tutti i Germani abbiano gettate le armi, è già di per sé un’esagerazione inaudita.
[3] Rimando ad una simile vanteria II 11, 6: Fino al calar della notte i Romani si accaniscono contro i Belgi in fuga sine ullo periculo!
[4] Rimando alle mie osservazioni all’inizio di questo capitolo.
[5] accessit etiam, quod illa pars equitatus Usipetum et Tencterorum … post fugam suorum se trans Rhenum in fines Sugambrorum receperat. Per completezza vorrei registrare anche VI 35, 5 : Sugambri … a quibus receptos ex fuga Tencteros atque Usipetes supra docuimus.

Post archiviato
http://archive.is/R8woi

Sunday, October 21, 2018

Un Cuore nella Pietà di Michelangelo


Il Cristo e la Madonna, un Cuore unico nella Pietà di Michelangelo.
Immagine ottenuta con lo scan in 3D
https://it.wikipedia.org/wiki/Pietà_vaticana#/media/File:Scan_the_World_-_Pietà_(Michelangelo).stl

La Mappa dei Ferrero


Che Ferrero sia un cognome molto diffuso in Piemonte forse non sorprende, ma potete averne conferma visiva con la Mappa dei Cognomi. https://www.cognomix.it/mappe-dei-cognomi-italiani/FERRERO
La Mappa è una cortesia del sito Cognomix.it, Map tiles by Stamen Design, under CC BY 3.0. 

Il rasoio Villanoviano





"Il rasoio in bronzo è uno strumento da toletta di uso esclusivamente maschile, frequentemente deposto nei corredi funebri. Il rinvenimento, pur raro, in ripostigli ed in aree di abitato ne esclude tuttavia un uso esclusivamente rituale e funerario. ... L'uso di questo strumento nella cura della barba e della capigliatura maschili, ipotizzato già dai primi scavatori nell''800 sulla base di confronti etnografici, ha trovato conferma nel rinvenimento di almeno un esemplare che conservava, aderenti al taglio, alcuni peli di barba. La deposizione costante del rasoio all'interno delle sepolture maschili permette comunque di attribuire a questo oggetto, aldilà dell'uso pratico, un valore simbolico, forse legato al raggiungimento dell'età adulta. Questo esemplare si distingue per la decorazione incisa sulla lama, che ci restituisce l'immagine di un'ascia immanicata, suggerendo forse il possesso di questo oggetto di prestigio da parte del defunto." Provenienza: Bologna. Necropoli San Vitale, tomba 280
Datazione: 775 - 725 a.C, Materiale: Bronzo
Da http://www.museibologna.it/archeologico/percorsi/47680/id/47843/oggetto/47979/

Saturday, October 20, 2018

Edgar Allan Poe e gli Italiani

He had a weak point -- this Fortunato -- although in other regards he was a man to be respected and even feared. He prided himself on his connoisseurship in wine. Few Italians have the true virtuoso spirit. For the most part their enthusiasm is adopted to suit the time and opportunity, to practise imposture upon the British and Austrian millionaires. In painting and gemmary, Fortunato, like his countrymen, was a quack, but in the matter of old wines he was sincere. 

Aveva un lato debole, quel Fortunato, benché fosse sotto ogni rispetto un uomo da rispettare, ed anche da temere. Si vantava d’essere un gran conoscitore di vini. Son pochi gli italiani veramente conoscitori; il loro entusiasmo il più delle volte è preso a prestito, accomodato al tempo e all’occasione; è una ciarlataneria per far bene coi milionari inglesi e americani. In fatto di pitture e di pietre preziose, Fortunato, come i suoi compatrioti, era un ciarlatano; ma, davvero, in materia di vecchi vini era sincero.

Caesar's Propaganda? XenophonTheAthenian's answer

Did Caesar write Commentarii de Bello Gallico as propaganda?

This is a question I found in
https://www.reddit.com/r/AskHistorians/comments/2o39m1/did_caesar_write_commentarii_de_bello_gallico_as/ User superflossman asks this, because "Many of my teachers and professors over the years have said that it was in fact propaganda, but a cursory search on something like Jstor points me toward many scholarly articles that say that it was not. Was it propaganda? Is there a way to truly know? Is there one unified scholarly opinion held by the majority?"

The discussion, as we can see, is pivoting about the fact that the De Bello Gallico has to be considered, in a proper manner, as a self-serving text and not propaganda.

In answering the question, user XenophonTheAthenian first observes that "propaganda" really exists in a world that can utilize modern communication. Then notes the following.

 "First of all you [superflossman] seem to be unclear on what exactly Caesar's commentaries are. You seem to be under the impression that these were originally intended as literary works to be disseminated throughout the city, the way a novel would today. This is untrue. While Caesar's work was later collected and published as a real book, this was not its original purpose at all. The very title of the work is a clear indicator of this - "commentarii" are not "commentaries" at all, the correct translation of the term in the context in which it is being used by Caesar is "dispatches." Roman governors were expected to send dispatches back to the senate (Cicero's "litteras" which he famously claims Piso did not send during his proconsular command in Macedonia), although technically they did not have to. Much of the content and style of the work is directly influenced by this. For example, Caesar's consistent use of the third-person is because the dispatches were intended to be read aloud in the senate, much the same way that dispatches from an American general are often read aloud in the Capitol. Additionally, the (sometimes quite extreme) inconsistencies in style clearly reflect that Caesar was not the only author. ...  it's quite clear that Caesar drew heavily on the dispatches of his subordinates for certain things, although of course he edited them and the overwhelming majority of the work is entirely his own. ... Like I said, that's what the word "commentarii," when used in a legal sense, means. ...
Anyway, I digress. That's really not that important. What is important is Caesar's style. Caesar is not writing so that "the average cives on the street" can read his work. The average citizen probably had very little direct exposure to Caesar's works, as publication in Republican Rome was not the streamlined ...  affair of Augustus' day, books were almost prohibitively expensive, and we know of no public readings of Caesar's works, which were probably published and spread in a manner similar to Cicero's essays, which were essentially sent to his friends and anyone who requested them. Besides the necessity of straightforwardness in military dispatches (Caesar's were probably more ornate than most - Cicero makes fun of Piso for introducing rhetorical style into his military accounting) Caesar's style is also a result of his own rhetorical school. Caesar was a member of the Direct, or Plain Style. This is the style of Homer, the style of Plato, Herodotus, even of Thucydides - of pretty much everyone before Demosthenes really got the Periodic Style perfected. The Plain Style avoids complex subordination (although Caesar's personal form of it used a lot of indirect speech) and whereas the Periodic Style listed clauses in order of logical progression the Plain Style listed them in chronological order. That this is in no way unique to this particular work is quite clear when we note that it is present in de Bello Civili (which had an even narrower audience and which, mind you, is vastly more self-serving, and is quite openly too, than de Bello Gallico - I have always been puzzled why de Bello Gallico is held up in the popular imagination as propaganda but de Bello Civili somehow escapes it) and is present in Sallust's transcript of Caesar's speech against Cicero's decision to execute the Catilinarians. Unless we suppose that Caesar's speech against Cicero was intended to be read by the "average cives," when it was never even published, it's rather silly to suppose that Caesar crafted his style with a populist purpose in mind. Besides, simple as it appears Caesar's style is extremely highly-developed, as ancient commentators noted, and hardly the sort of thing that everyone read - de Bello Civili in particular stands out as a real masterwork of literary craft in the Plain Style.
.... Finally  ... [a] statement [like this] here: "Julius Caesar was accumulating too many fans in the capital and was sent off to the god-forsaken border of Gaul to hold the damn line and stay out of the way, festering in obscurity" is totally and indefensibly untrue. Caesar was awarded as his proconsular command Illyricum and Cisalpine Gaul, to which Transalpine Gaul was later added. These were not "god-forsaken," out-of-the-way provinces whose governors were expected to sit there and simply preserve the status quo. These were not provinces in which one "fester[ed] in obscurity." Cisalpine Gaul and Illyricum were, along with Macedonia and Syria, the singlemost important provinces of the late Republic. Cisalpine Gaul in particular is of more importance to us, since Caesar didn't do much in Illyricum. Cisalpine Gaul was where generals became triumphators, where spent fortunes were restored in only a few years, and was one of the key provinces to which every magistrate up for provincial assignments looked. That the province was almost exclusively awarded to proconsular governors, and almost never to propraetors, testifies to its importance, as does the fact that the province was under arms pretty much 100% of the time, even when the governor was being replaced and he was supposed to disband his army. The danger to the Cisalpine frontier was well-known to the state - where had the Teutones come down from, within living memory, after all? Revolts were commonplace, and the constantly shifting Gallic tribes constantly attacked Roman allies along the Transalpine coast, necessitating offensives - the exact reason Caesar uses to justify his attack (whether it really was justified is another story). The immense plunder that could be exacted by even the shortest campaign into Transalpine Gaul was unimaginable, easily comparable to the plunder of the east, and the boost to a politician's dignitas was even greater still, probably greater than out east. Cicero was awarded Cisalpine Gaul at the end of his consulship, as a reward for his service to the state. Cicero ended up resigning his governorship ... and handing it over to his colleague Antony in addition to Antony's province of Macedonia. Cicero makes a big deal that Antony was in control of Macedonia and Cisalpine Gaul, saying that he allowed a monster  [Antony] ... to take the two most important provinces to maintain the peace and stability of the state. And you miss the fact that the senate did not award Caesar his province - the entire reason that Cato claimed Caesar's proconsulship was illegal was not because of anything he did in Gaul, but because Pompey used his influence to stall the senate and allowed Caesar to get a tribune to propose a law (which, like all laws, was voted on in the comitia, not the senate) granting him dual governorship (instead of proconsular command over the trees of Italy, as the senate proposed). Caesar's enemies didn't send him to Gaul - he and Pompey made the decision.
Anyway, enough of that. You [superflossman] are essentially right in that the de Bello Gallico is intended as a self-serving piece. It's initial purpose was to persuade the senate that his command was proceeding legitimately (which Cato contested repeatedly). Now, you're also right in saying that it served as a vehicle to increase his popularity, despite what I say above. The purpose of the publication of Caesar's dispatches was to spread news of his proconsulship beyond the floor of the senate, although the outreach of the work was certainly not as wide as you seem to imply.
... Caesar's works, widely read though they were, certainly did not have to social scope of modern propaganda, nor were they as omnipresent and forceful. True propaganda is increasingly being shown as an element of modern society and in particular modern communications. We should think of Caesar's works less like propaganda and more like political pamphlets. I suggest consulting the relevant sections of Gelzer's biography of Caesar, of which there is an English translation available. Gelzer gives an excellent overview of the initial delivery, collection, editing, and publication of the work (as well as trying to solve some disputes about exactly how they were published, a question that we don't really know) and really not much has progressed since his time."

Thanks to XenophonTheAthenian's discussion, any reasoning about De Bello Gallico is easier. Chapeau! XenophonTheAthenian, Chapeau!

Thursday, October 18, 2018

Earnshaw's theorem

Earnshaw's theorem states that a collection of point charges cannot be maintained in a stable stationary equilibrium configuration solely by the electrostatic interaction of the charges. This was first proven by British mathematician Samuel Earnshaw in 1842. It is usually referenced to magnetic fields, but was first applied to electrostatic fields. Earnshaw's theorem applies to classical inverse-square law forces (electric and gravitational).
It means that it is linked to the Gauss Law. And here a proof.

Tuesday, October 16, 2018

Amato Billour | Teachers Who Rescued Jews During the Holocaust | "Their Fate Will Be My Fate Too..." | Yad Vashem

Amato Billour | Teachers Who Rescued Jews During the Holocaust | "Their Fate Will Be My Fate Too..." | Yad Vashem

A Firenze visse Amato Billour, insegnante di Inglese. Con la moglie Letizia tenne con se il figlio di Hulda Campagnano.
"Reuven  stayed with the teacher and his wife for almost a year, from December 1943 until August 1944. The Billours were very kind and sensitive to all his needs, and he soon began calling them “father” and “mother”. Contact was kept with his mother, and from time to time meetings were arranged in public places so that Hulda could meet her son, who was now called “Emilio”. When Florence was liberated in August 1944, Reuven was returned to his mother, but he never forgot the Billours and their love for him."

Benjamin Blankenstein | Teachers Who Rescued Jews During the Holocaust | "Their Fate Will Be My Fate Too..." | Yad Vashem

Benjamin Blankenstein | Teachers Who Rescued Jews During the Holocaust | "Their Fate Will Be My Fate Too..." | Yad Vashem


Benjamin was a teacher at a local Christian elementary school  of Soestdijk, in the Netherlands. He and his wife Maria had a baby daughter, born in 1940. When Benjamin Blankenstein heard that the Bernstein family had been betrayed at an earlier hiding place, he proposed to hide them in his home. Maria, who had just given birth to their second daughter, agreed. Henry, Martha and their son Rolf  found a home under the Blankenstein’s roof.  But the police broke into the Blankenstein home on June 5, 1944, while Benjamin was at school. The police arrested the Bernsteins and, about half an hour later, Benjamin was arrested at the school. He perished in Bergen-Belsen on February 24, 1945. The Bernsteins were deported. Henry and Rolf were murdered in Auschwitz. Martha survived the war. "Upon her return from the camp, ill and alone, she was again welcomed by Maria Blankenstein."