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Benvenuti in queste pagine dedicate a scienza, storia ed arte. Amelia Carolina Sparavigna, Torino

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Wednesday, November 21, 2018

Cesare, Vercingetorige ed i Mandubi

Talvolta si sente dire che, durante l'assedio di Alesia, Cesare abbia fatto morire di fame i vecchi, le donne e i bambini dei Mandubi. Vediamo come sono andate le cose, dalle parole di Cesare nel De Bello Gallico.
I Galli di Vercingetorige, assediati nell’acropoli di Alesia ed a corto di cibo, per resistere fino all'arrivo di rinforzi, obbligano i Mandubi, gli abitanti di Alesia che avevano dovuto accogliere i Galli di Vercingetorige, a lasciare il loro oppido. Che se ne vadano, vecchi, donne e bambini a farsi sfamare da Cesare, dice il capo dei Galli. E i Mandubi, cacciati dalla loro città, si offrirono schiavi ai Romani. Ma i Romani erano a loro volta accerchiati dagli altri Galli, ed avevano il cibo razionato. Per questo motivo, Cesare proibì di accoglierli. Non ordinò di ucciderli, proibì di accoglierli, e niente più. Per fare una tale proibizione, era segno che i suoi soldati avrebbero anche voluto prenderli come schiavi. Siamo al libro 7 capitolo 78 del De Bello Gallico. 
Forse avete letto o sentito dire che i Mandubi hanno avuto una lentissima agonia nella terra di nessuno tra le linee di Cesare e dei Galli, morendo di fame e di sete, dopo giorni e giorni di sofferenze e lamenti. Vediamo allora che cosa dice Cesare in sintesi. Fine del capitolo 78: dopo che furono poste delle guardie sul vallo, vietò di lasciare [i Mandubii] entrare. [79] Interea, in quel mentre, Commio e gli altri capi [dei Galli] che reggevano il comando supremo, con tutto l'esercito arrivarono ad Alesia, e, occupato uno dei colli si accamparono a non più di un miglio dalle nostre difese. Postero die equitatu ex castris educto, il giorno dopo fanno uscire la cavalleria ed occupano tutta la pianure. Ad Alesia vedono e gioiscono e fanno uscire le truppe. E scoppia la battaglia. I Mandubi hanno quindi passato una sola notte tra i Romani ed i Galli. Se sono morti, sono morti il giorno dopo perché si sono trovati nel mezzo della battaglia, e non per aver sofferto di sete e fame per diversi giorni. E' probabile invece che siano rientrati in Alesia, quando i Galli hanno aperto le porte per uscire all'attacco dei Romani. Ormai i Galli avevano già visto i rinforzi e credevano che la battaglia si sarebbe risolta presto a loro favore. Non c'era motivo per non accogliere nuovamente i Mandubi nella città.
Ricapitolando: i Mandubi, usciti da Alesia si sono rivolti ai Romani. Poste le guardie, Cesare vieta ai Romani di accoglierli. In quel mentre, arrivano i rinforzi dei Galli ed il giorno dopo scoppia la battaglia. I Mandubbi hanno passato tra le mura di Alesia e le linee romane, una sola notte.
Comunque, come mai esiste la fake news dell'agonia dei Manduii? Colpa di Cassio Dione.
Prendiamo il Dione Cassio Coccejano tradotto da Giovanni Viviani. Tomo primo. Dalla tipografia de' fratelli Sonzogno, 1823. Pagina 440. Dione mette in testa a Cesare idee che non aveva, e non rispettando i tempi del racconto, produce false speculazioni. 
"Andando in lungo l’assedio, e già cominciando a mancare il frumento, cacciò [Vercingetorige] fuori della città i piccoli figli e le donne, e tutti gli altri inutili per la guerra; sperando, ma invano, che ne sarebbe avvenuta o l’una o l’altra di queste due cose, cioè, o che tal moltitudine fatta prigioniera dai Romani sarebbe stata salvata, o che quei che restavano avrebbero sostentata più lungamente la vita con li alimenti destinati per la medesima. Ma neppure lo stesso Cesare abbondava in guisa di grano, che mantener potesse anche gli altri, e giudicando inoltre, che col rimandare indietro coloro avrebbe fatto si  che i nemici consumassero la vettovaglia in più copia, e tenendo per certo, che sarebbero stati ricevuti, li discacciò tutti lungi da sè, dal che ne avvenne, che tutta questa turba, non accogliendola ne gli uni, ne gli altri, perì miseramente fra la città e gli alloggiamenti. Di lì a non molto poi vennero presso i Barbari i rinforzi di gente a cavallo, e di altri da essa condotti, ma furono respinti dai Romani in un equestre combattimento," eccetera. "Di lì a non molto", ma Dione, era il giorno dopo!
Ecco cosa dice Cesare, unica fonte di ciò che accadde ad Alesia.
[78] Sententiis dictis constituunt ut ei qui valetudine aut aetate inutiles sunt bello oppido excedant, atque omnia prius experiantur, quam ad Critognati sententiam descendant: illo tamen potius utendum consilio, si res cogat atque auxilia morentur, quam aut deditionis aut pacis subeundam condicionem. Mandubii, qui eos oppido receperant, cum liberis atque uxoribus exire coguntur. Hi, cum ad munitiones Romanorum accessissent, flentes omnibus precibus orabant, ut se in servitutem receptos cibo iuvarent. At Caesar dispositis in vallo custodibus recipi prohibebat.
Dopo aver sentito i vari pareri, decidono di allontanare dalla città coloro che, per scarsa condizione fisica o per età non potevano combattere e di tentare tutto, prima di risolversi alla proposta di Critognato; tuttavia, in caso di necessità o di ritardo dei rinforzi, bisognava giungere a un tale passo piuttosto che accettare condizioni di resa o di pace. I Mandubi, che li avevano accolti nella loro città, sono costretti a partire con i figli e le mogli. Giunti alle difese romane, tra le lacrime e con preghiere d'ogni genere, supplicavano i nostri di prenderli come servi e di dar loro del cibo. Ma Cesare, disposte sentinelle sul vallo, impediva di accoglierli.
[79] Interea Commius reliquique duces quibus summa imperi permissa erat cum omnibus copiis ad Alesiam perveniunt et colle exteriore occupato non longius mille passibus ab nostris munitionibus considunt. Postero die equitatu ex castris educto omnem eam planitiem, quam in longitudinem tria milia passuum patere demonstravimus, complent pedestresque copias paulum ab eo loco abditas in locis superioribus constituunt. Erat ex oppido Alesia despectus in campum. Concurrunt his auxiliis visis; fit gratulatio inter eos, atque omnium animi ad laetitiam excitantur. Itaque productis copiis ante oppidum considunt et proximam fossam cratibus integunt atque aggere explent seque ad eruptionem atque omnes casus comparant.
In quel mentre, Commio e gli altri capi [dei Galli], che reggevano il comando supremo, giungono ad Alesia con tutte le truppe, occupano il colle esterno e si attestano a non più di un miglio dalle nostre difese. Il giorno dopo fanno uscire dal loro campo la cavalleria e riempiono tutta la pianura che si stendeva per tre miglia, come sopra ricordato. Quanto alla fanteria, la dispongono poco distante, nascosta sulle alture. Dalla città di Alesia la vista dominava sulla pianura. Vedendo i rinforzi, i Galli accorrono: esultano, gli animi di tutti si schiudono alla gioia. Di conseguenza guidano le truppe fuori dalle mura e si schierano di fronte alla città, coprono la prima fossa con fascine, la colmano di terra si preparano all'attacco, al tutto per tutto.
[80] Caesar omni exercitu ad utramque partem munitionum disposito, ut, si usus veniat, suum quisque locum teneat et noverit, equitatum ex castris educi et proelium committi iubet. Erat ex omnibus castris, quae summum undique iugum tenebant, despectus, atque omnes milites intenti pugnae proventum exspectabant. Galli inter equites raros sagittarios expeditosque levis armaturae interiecerant, qui suis cedentibus auxilio succurrerent et nostrorum equitum impetus sustinerent. Ab his complures de improviso vulnerati proelio excedebant. Cum suos pugna superiores esse Galli confiderent et nostros multitudine premi viderent, ex omnibus partibus et ei qui munitionibus continebantur et hi qui ad auxilium convenerant clamore et ululatu suorum animos confirmabant. Quod in conspectu omnium res gerebatur neque recte ac turpiter factum celari poterat, utrosque et laudis cupiditas et timor ignominiae ad virtutem excitabant. Cum a meridie prope ad solis occasum dubia victoria pugnaretur, Germani una in parte confertis turmis in hostes impetum fecerunt eosque propulerunt; quibus in fugam coniectis sagittarii circumventi interfectique sunt. Item ex reliquis partibus nostri cedentes usque ad castra insecuti sui colligendi facultatem non dederunt. At ei qui ab Alesia processerant maesti prope victoria desperata se in oppidum receperunt.
Cesare dispose l'esercito lungo entrambe le linee fortificate, affinché ognuno, in caso di necessità, conoscesse bene il proprio posto e ivi si schierasse. Poi, guida la cavalleria fuori dal campo e ordina di dar inizio alla battaglia. Fuori campo, situatosi sulla cima del colle, la vista dominava; tutti i soldati, ansiosi, aspettavano l'esito dello scontro. I Galli tenevano in mezzo alla cavalleria pochi arcieri e fanti con armatura leggera, che avevano il compito di soccorrere i loro [suis] quando ripiegavano e di frenare l'impeto dei nostri cavalieri. Gli arcieri e i fanti avevano colpito inaspettatamente parecchi dei nostri, costringendoli a lasciare la battaglia. Da ogni parte tutti i Galli, sia chi era rimasto all'interno delle difese, sia chi era giunto in rinforzo, convinti della loro superiorità e vedendo i nostri pressati dalla loro massa, incitavano i loro con grida e ululati. Lo scontro si svolgeva sotto gli occhi di tutti, perciò nessun atto di coraggio o di viltà poteva sfuggire: la lode gloriosa e il timore d'ignominia spronavano al valore gli uni e gli altri. Si combatteva da mezzogiorno, il tramonto era ormai vicino e l'esito era ancora incerto, quand'ecco che, in un settore, a ranghi serrati i cavalieri germani [e chi erano questi germani?] caricarono i nemici e li volsero in fuga. Alla ritirata della cavalleria, gli arcieri vennero circondati e uccisi. Anche nelle altre zone i nostri inseguirono fino all'accampamento i nemici in fuga, senza permetter loro di raccogliersi. I Galli che da Alesia si erano spinti in avanti, mesti, disperando o quasi della vittoria, cercarono rifugio in città.
In 
 si pone la seguente domanda "Come mai si parla della crudeltà di Cesare e non si parla della crudeltà dei galli che lasciarono morire di fame donne, vecchi  e bambini sotto i loro occhi?"
Perché c'è chi, per politica, vuol dipingere Cesare come crudele e allora non si legge Cesare ma si prende la versione che fa comodo, quella di  Dione.  

Thursday, November 8, 2018

Caesar. 1892. Clara Grosch


Caesar. 1892. Clara Grosch. German/Swiss. 1863-1932. oil on canvas.

Clara Grosch war die Tochter von Ferdinand Grosch und Cora Erdmann. Sie besuchte die Schulen in Karlsruhe und Düsseldorf. Im Jahre 1902 heiratete sie den Kunstmaler Jakob Wagner. Als bekannte Kunstmalerin signierte sie ihre Bilder weiterhin als Clara Grosch.

Monday, October 22, 2018

Tendenza della Storia? Un passo di Otto Schönberger, "Tendenz" im Bellum Gallicum, 1990, sull'approccio di Rambaud all'opera di Giulio Cesare.

Michel Rambaud (1921-1985), è stato uno studioso francese, professore di Latino alla Faculté des lettres et sciences humaines di Lyon. E' stato membro della Société historique, archéologique et littéraire de Lyon. Ha pubblicato nel 1952 l'opera intitolata "L'art de la déformation historique dans les commentaires de César.". E' un titolo che ci dice esplicitamente quello che si può trovare in detta opera. Ed in effetti, chiunque consideri Giulio Cesare come un dittatore, nel senso moderno del termine, troverà in questo libro tutto il supporto al caso suo.
In Rambaud troviamo i punto di partenza di alcuni studi che rendono Cesare come un genocida, nello specifico degli Usipeti e Tencteri. Abbiamo discusso (Zenodo) che questi popoli non sono scomparsi dalla storia, anzi li ritroviamo a sconfiggere i Romani nella Clades Lolliana (una sconfitta di cui si parla poco, avvenuta sotto Augusto). Marco Lollio subì da parte di  Sigambri, Usipeti e Tencteri una disastrosa sconfitta nel 17 a.C., dove perse l'aquila della legio V. La Clades Lolliana è stata, secondo Svetonio, una sconfitta paragonabile solo a quella di Publio Quintilio Varo nella battaglia di Teutoburgo. 
C'è una contraddizione nell'opera di Rambaud ed è la seguente. A proposito di Usipeti e Tencteri, Peter Hueber, il cui libro Michel Rambaud loda fra tutti quelli che cita nella sua bibliografia come "très important" (pag. 386), e che  Matthias Gelzer accomuna con Rambaud nella sua critica al loro approccio all'opera di Cesare, nega addirittura che vi sia stato massacro degli Usipeti e Tencteri, sostenendo che fu una tipica esagerazione di Cesare per autoincensarsi [Vedi nota alla fine del Post]. 
Ma torniamo a pensiero di Rambaud; egli sostiene nel suo libro, che la deformazione storica in Cesare assurga addirittura a livello di distruzione della verità, "un classico esempio di rapporto tendenzioso". Ecco che cosa dice  Otto Schönberger [C. Iulius Caesar, Der Gallische Krieg, Lateinisch-deutsch, Herausgegeben von Otto Schönberger, München und Zürich, 1990], nel seguente riferimento segnalatomi da Francesco Carotta.

S. 667
„Tendenz“ im Bellum Gallicum
[…]
Man warf Caesar vor, sein Buch sei voll von Verschleierungen und Entstellungen der Wahrheit. Besonders Michel Rambaud behauptet in seinem Buch über die historische Deformation bei Caesar, es handle sich um ein Pamphlet, das die Wahrheit zerstöre, ein klassisches Beispiel tendenziöser Berichterstattung. Alles, was Caesar sage, diene seiner Verherrlichung oder Entschuldigung. Rambaud (177 f.) führt eine Reihe von Techniken auf, die Caesar anwende, um die Wahrheit zu entstellen: zu große Zahlen, Übertreibungen, Ungenauigkeiten, Verkleinerungen usw. Die Kunstmittel der hellenistischen Historiographie, die ästhetischen Zwecken dienten, seien dazu verwendet, dem Leser Caesars Sicht der Ereignisse zu insinuieren. Rambaud übertreibt jedoch ein sinnvolles kritisches Prinzip. Mit Hilfe seiner Methode ließe sich unschwer beweisen, daß die Eroberung Galliens nicht stattfand und Caesar nur eine Falschmeldung darüber verbreitete.
[…]
C. Iulius Caesar, La Guerra Gallica, Latino-tedesco, a cura di Otto Schönberger, Monaco e Zurigo, 1990.
p. 667
„Tendenza“ nel Bellum Gallicum
[…]
Si è rimproverato a Cesare che il suo libro sia pieno di dissimulazioni e di travisamenti della verità. Particolarmente Michel Rambaud sostiene nel suo libro sulla deformazione storica in Cesare, che si tratti di un libello che distrugge la verità, un classico esempio di rapporto tendenzioso. Tutto quel che Cesare dice, sarebbe al servizio della sua esaltazione o giustificazione. Rambaud (177 sq) enumera una serie di tecniche usate da Cesare per alterare la verità: numeri troppo grandi, esagerazioni, imprecisioni, riduzioni ecc. Gli artifici della storiografia ellenistica, che servivano a fini estetici, sarebbero stati impiegati per insinuare al lettore il punto di vista di Cesare sugli avvenimenti. Rambaud esagera però un principio critico sensato. Coll’ausilio del suo metodo si potrebbe facilmente dimostrare che la conquista della Gallia non ebbe luogo e che Cesare aveva soltanto diffuso una bufala.
[Traduzione di Francesco Carotta]

Usando il metodo Rambaud, "si potrebbe facilmente dimostrare che la conquista della Gallia non ebbe luogo e che Cesare aveva soltanto diffuso una bufala." Sembra quindi, dalle parole di Schönberger, che il metodo Rambaud sia facile da usare per fare proprio quello di cui Rambaud accusa Cesare, ossia mistificare i fatti. E ciò è stato già notato da un altro critico di Rambaud, Baldson, che accusa Rambaud, sotto il pretesto di criticare l’art de la déformation historique di Cesare, di praticare lui stesso l’art de la déformation historiographique.

Dall'articolo di J. P. V. D. Balsdon, 1955, https://doi.org/10.2307/298756
p. 164: For R. there seems to be no halfway house between believing that everything Caesar wrote is true and believing that everything he wrote is untrue. And such is the determination with which he seeks to prove the case, that it is tempting to see in it l’art de la déformation historiographique.

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NOTA: Francesco Carotta, che mi ha segnalato il passo di Huber, mi ha anche gentilmente dato una traduzione. Eccola.

Peter Huber, Die Glaubwürdigkeit Caesars in seinem Bericht über den Gallischen Krieg, [1. Auflage: 1914] 2. Auflage: 1931.
S. 5–10: Einleitung.
S. 9: […]
Als letztes Beispiel ziehe ich heran Cäsars Bericht über die Vernichtung der Usipeter und Tencterer, wo er uns glauben machen will, die 430000 germanischen Auswanderer hätten sich abschlachten oder in das Wellengrab des Rheins jagen lassen, ohne daß von seinen Soldaten auch nur ein einziger gefallen sei (IV 15). Meines Erachtens richtet sich eine derartige Aufschneiderei von selbst[4], ich kann sie aber auch noch entkräften durch den Hinweis auf den glänzenden Sieg, den Tags zuvor 800 tapfere Reiter dieser Völker über 5000 römische davongetragen hatten (IV 12). Solche Leute lassen sich nicht von Schrecken gelähmt abschlachten wie Schafe, Außerdem verweise ich auf Rauchensteins [Der Feldzug Cäsars gegen die Helvetier, Zürich 1882] wichtige Beobachtung, daß die beiden angeblich … [von Cäsar]

[4] Übrigens waren ja bei den Römern solche Übertreibungen (namentlich Barbaren gegenüber) gang und gäbe. Vgl. die unglaubliche Lüge bei Sueton, Div. Julius 25: Germanos, qui trans Rhenum incolunt, primus Romanorum ponte fabricato adgressus, maximis (?!) adfecit cladibus. Das kann uns nicht wundern, wenn Cäsar selbst (bell. civ. I 7, 6) zu einen Soldaten sagen konnte, sie hätten ganz Gallien und Germanien unterworfen!
S. 10:
[angeblich] … von Cäsar fast völlig vernichteten Völker später bei Tacitus eine große Rolle spielen (S. 25 f.). Das ist die „bewundernswürdige Objektivität“, die Schanz [Geschichte der Römischen Literatur, München 1909] an Cäsar zu rühmen weiß.
S. 69–77:
Caesars Kampf mit den Usipetern und Tencterern.
S. 69:
Auch die glühendsten Verehrer und begeisterten Bewunderer Cäsars müssen zugeben, daß sein Vorgehen gegen die Usipeter und Tencterer nicht einwandfrei ist. Da er nun ganz natürlich gerade in diesem Teil seines Berichtes beschönigen, verdrehen und entstellen mußte, so dürfte es nicht unangebracht sein, eingehend seinen Bericht zu analysieren, da ein solcher Versuch meines Wissens bis jetzt fehlt. Nur so wird sich zeigen lassen, daß wir doch in der Klarstellung des Sachverhaltes weiter kommen können, als man gewöhnlich glaubt.
Schon in der Einleitung habe ich bemerkt, daß die fast völlige Vernichtung der beiden Wandervölker, ohne daß die Römer irgend welche Verluste erleiden, in das Reich der Fabel zu verweisen ist. Denn sie spielen in den späteren Kämpfen zwischen Germanen und Römern eine große Rolle. Und besonders möchte ich hervorheben, daß sie schon in der Zeit des Drusus wieder als selbständige Völkerschaften erscheinen, während ihre angeblichen Beschützer, die Sugambrer, von Augustus auf das linke Rheinufer verpflanzt wurden[1]. Diese Beobachtung allein schon mahnt zur Vorsicht gegenüber Cäsars Darstellung.

[1] Bemerkenswert ist dabei, daß auch Augustus gegen diese sich einer ähnlichen Perfidie bediente wie Cäsar gegen die Usipeter und Tenkterer. Denn er ließ die vornehmen Gesandten derselben festnehmen und in gallischen Städten internieren. Nun erst war das seiner Führer beraubte Volk bereit sich links des Rheins ansiedeln zu lassen.
[…]
S. 75:
4. Zu zahlreichen Bedenken und Zweifeln gibt auch die Darstellung von der Flucht und Vernichtung der Germanen Anlaß. Daß das Anrücken der Römer, in deren Lager ihre Führer gelockt worden waren, größte Ratlosigkeit in den Reihen der Germanen hervorrief und ihre Widerstandskraft lähmte, ist ohne weiteres klar und zuzugeben. Aber wenig wahrscheinlich ist von vornherein die völlige Überrumpelung derselben. Es war doch nicht Nacht, sondern hellichter Tag. Soll man wirklich glauben, daß gar keine Sicherung vorgeschoben war[2], daß vollends auf der ganzen, 12 km langen Strecke von den so zahlreichen Germanen sich niemand befunden hat, der den Anmarsch der Römer hätte melden können? Schon die ganz natürliche Neugierde auf den Ausgang der Unterhandlungen verbietet eine solche Annahme. Dazu kommt, daß die Römer in voller Schlachtordnung[3] anrücken, so daß über ihre Absichten kein Zweifel herrschen kann. Es hält nun schwer zu glauben, daß völlige Kopflosigkeit unter den vielen Tausenden tapferer Germanen geherrscht und den Gedanken an verzweifelte Verteidigung gar nicht habe aufkommen lassen. Daß vollends nicht mehr Zeit war, um die Waffen zu ergreifen[4], ist weiter nichts als eine der üblichen Phrasen, die an Bedeutung nicht dadurch gewinnt, dass später darauf Bezug genommen wird. Denn 14, 4 ist die Rede von einigen, die schnell die Waffen ergreifen konnten und Widerstand leisteten, während die Weiber und Kinder flohen[5]. Was sollen denn unterdessen die übrigen Germanen getan haben? Und man wird … [jener Angabe]

[2] Ich bemerkte bereits, daß nach dem Berichte Cäsars für diesen Tag der Waffenstillstand nicht mehr galt. Ist es aber menschenmöglich, daß die vornehmen Germanen ohne derartige Garantien ins Lager Cäsars gegangen sind? Ich betone wiederum, daß ein solch geringes Entgegenkommen Cäsars ganz besonders seine Darstellung unwahrscheinlich macht.
[3] acie triplici instituta … ad hostium castra pervenit (14, 1).
[4] neque consilii habendi neque arma capiendi spatio dato (14, 2).
[5] at reliqua multitudo puerorum mulierumque passim fugere coepit (14, 5). Ohne Bedeutung? Eine solche Preisgabe dieser pignora, wie sie Tacitus Germ. 7 nennt, ist höchst befremdlich. Brauchen diese nicht die Martern und den Tod vonseiten der Gallier zu fürchten, wie das die Häuptlinge der Germanen vorgeben (15, 5) ?

S. 76:
[Und man wird] … jener Angabe um so weniger Glauben schenken, als in 15, 1 (Germani post tergum clamore audito, cum suos interfici viderent, armis abiectis signisque militaribus relictis se ex castris eiecierunt) das Wegwerfen der Waffen auf alle Germanen bezogen werden muß[1]. Man betrachte dann endlich die folgende Aufzählung bei Cäsar 15, 1 f.: Die Germanen werfen die Waffen weg, fliehen an den Rhein, geben dort die weitere Flucht auf und erst, als eine große Anzahl von ihnen getötet worden ist, stürzt sich der Rest in den Fluß. Da muß sich doch jedem die Frage aufdrängen: Warum stürzen sie sich denn nicht gleich in den Fluß, auf was sollen sie denn gewartet haben[2]? Es ist das übliche blutrünstige Bild der römischen Siegesbulletins und um so weniger glaubwürdig, als die Römer nicht einen einzigen Mann dabei verlieren[3]. Der Vorsichtige Cäsar hat aber auch die Germanen gleich die Waffen wegwerfen lassen und ihre tapferen 800 Reiter schweigt er an diesem Tage tot. Wer diesen Aufputz römischer Siegesnachrichten kennt, setzt hinter derlei Übertreibungen von vornherein ein großes Fragezeichen. Erwägt man aber die große Bedeutung, die den Usipetern und Tencterern später von Tacitus beigemessen wird[4], so ergibt sich ohne weiteres der Schluß, daß der Ausgang dieses Krieges ein ganz anderer, für die beiden Völker viel weniger verlustreicher gewesen sein muß. Ohne natürlich den Worten eine besondere Bedeutung beizulegen, möchte ich doch auf die Stelle 16, 2 hinweisen, wo statt dieses Untergangs der beiden Völker von einer „Flucht“ derselben gesprochen wird[5].

[1] Oder verbirgt sich hinter diesen Widersprüchen die Tatsache, daß nur ein Teil der Germanen um den Abmarsch zu decken die Römer bei der Wagenburg bindet und zur Entwicklung zwingt?
[2] Oder hat dort noch ein letzter Kampf stattgefunden ? Daß nämlich alle Germanen die Waffen weggeworfen hätten, ist ja an sich eine ungeheuerliche Übertreibung.
[3] Ich erinnere an die ähnliche Prahlerei II 11, 6: Bis zum Einbruch der Dunkelheit würgen die Römer unter den fliehenden Belgiern sine ullo periculo!
[4] Ich verweise auf meine Bemerkungen am Beginn dieses Abschnittes.
[5] accessit etiam, quod illa pars equitatus Usipetum et Tencterorum … post fugam suorum se trans Rhenum in fines Sugambrorum receperat. Auch möchte ich der Vollständigkeit halber VI 35, 5 buchen : Sugambri … a quibus receptos ex fuga Tencteros atque Usipetes supra docuimus.

——
Traduzione italiana:

Peter Huber, La credibilità di Cesare nei suoi commentarii sulla guerra gallica. [1ª edizione: 1914] 2ª edizione: 1931. Traduzione di Francesco Carotta.

p. 5–10:
Introduzione. p. 9:
[…]
Come ultimo esempio citerò il rapporto di Cesare sull’annientamento degli Usipeti e Tencteri, nel quale ci vuol far credere che i 430.000 emigrant germanici si siano lasciati massacrare o gettare nell’onda del Reno come in una fossa comune, senza che nemmeno uno solo dei suoi soldati sia caduto (IV 15). A mio avviso una tale millanteria si giudica da sola[4], ma la posso anche confutare facendo riferimento alla brillante vittoria che il giorno precedente 800 valorosi cavalieri di questi popoli avevano riportato su 5000 romani (IV 12). Gente simile non si lascia paralizzare dallo spavento e macellare come pecore. Rimando inoltre all’osservazione importante di Rauchenstein [Der Feldzug Cäsars gegen die Helvetier, „La campagna di Cesare contro gli Elvezi“, Zurigo 1882], che i due popoli …

[4] D’altronde tali esagerazioni (segnatamente verso i barbari) erano correnti presso i Romani. Cf. l’incredibile menzogna in Svetonio, Div. Giulio 25: Germanos, qui trans Rhenum incolunt, primus Romanorum ponte fabricato adgressus, maximis (?!) adfecit cladibus. Non ci può quindi più stupire che Cesare stesso (bell. civ. I 7, 6) abbia potuto dire ai suoi soldati che avevano soggiogato tutta la Gallia e la Germania!
p. 10:
… quasi completamente sterminati da Cesare avranno poi un ruolo importante in Tacito  (p. 25 sq.). Questa è la „ammirevole oggettività“ che Schanz [Geschichte der Römischen Literatur, „Storia della letteratura romana“, Monaco 1909] sa elogiare in Cesare.
p. 69–77:
La battaglia di Cesare con gli Usipeti e Tencteri.
p. 69:
Anche i più ardenti appassionati ed entusiasti ammiratori di Cesare debbono ammettere che le sue azioni contro gli Usipeti e Tencteri non sono irreprensibili. Dato che egli proprio in questa parte del suo rapporto ha dovuto abbellire, stravolgere e travisare, non dovrebbe essere fuori luogo analizzare accuratamente il suo rapporto, poiché un tale tentativo che io sappia finora manca. Solo così si potrà mostrare che nel chiarimento dei fatti si può progredire più di quanto ordinariamente si creda.
Già nell’introduzione ho segnalato che lo sterminio quasi completo dei due popoli migranti senza che i Romani abbiano avuto nessuna perdita, è da bandire nel regno delle fiabe. Poiché avranno un ruolo rilevante nelle battaglie posteriori fra Germani e Romani. E vorrei sottolineare particolarmente che già al tempo di Druso appaiono di nuovo come popoli autonomi, mentre i loro pretesi protettori, i Sugambri, vennero trapiantati da Augusto sulla riva sinistra del Reno[1]. Questa osservazione basta già da sola ad esortare alla prudenza riguardo alla descrizione di Cesare.

[1] Notevole è che verso di loro anche Augusto si sia servito di una perfidia simile a quella di Cesare contro gli Usipeti e Tencteri. Fece infatti arrestare i loro notabili venuti in ambasciata, ed internare in città galliche. Soltanto allora, privato dei propri capi, quel popolo accettò di farsi insediare a sinistra del Reno.
[…]
p. 75:
4. Anche la descrizione della fuga e dell’annientamento dei Germani dà adito a numerose riserve e dubbi. Che l’avanzata dei Romani, nell’accampamento dei quali erano stati attirati i loro capi, provocò una grande confusione nelle file dei Germani paralizzando la loro resistenza, ciò è senz’altro chiaro ed ammissibile. Ma meno probabile a priori è che gli stessi siano stati colti del tutto alla sprovvista. Non era di notte, ma in pieno giorno. Possiamo credere che nessuno era stato messo di guardia[2], che sul lungo tratto di 12 km non si sia trovato neanche uno dei così numerosi Germani che abbia potuto annunciare la marcia di avvicinamento dei Romani? Già solo la curiosità naturale per l’esito delle trattative vieta una tale ipotesi. Si aggiunga che i Romani avanzarono schierati in assetto da combattimento[3], cosicché non ci poteva essere alcun dubbio sulle loro intenzioni. È dunque difficile credere che le molte migliaia di valorosi Germani abbiano perso completamente la testa e che non gli sia venuta l’idea di tentare una disperata difesa. Che non ci sia più stato il tempo di afferrare le armi[4] non è altro che una delle solite frasi, che non acquisiscono maggior senso quando poi vi viene fatto riferimento. Poiché 14, 4 si parla di alcuni che riuscirono ad afferrare velocemente le armi ed opporre resistenza, mentre le donne ed i bambini scapparono[5]. Che cosa dunque avranno nel frattempo fatto i rimanenti Germani? E si presterà …

[2] Ho già menzionato che secondo il rapporto di Cesare la tregua in quel giorno non era più in vigore. Com’è dunque possibile che i notabili germani siano andati senza alcuna garanzia nell’accampamento di Cesare? Faccio di nuovo notare che una tale scarsa disponibilità di Cesare rende la sua descrizione particolarmente improbabile.
[3] acie triplici instituta … ad hostium castra pervenit (14, 1).
[4] neque consilii habendi neque arma capiendi spatio dato (14, 2).
[5] at reliqua multitudo puerorum mulierumque passim fugere coepit (14, 5). Senza senso? Una simile rinuncia di questi pignora, come Tacito Germ. 7 li chiama, è assolutamente sorprendente. Non temono essi la tortura e la morte per mano dei Galli, come i capi dei Germani asseriscono (15, 5) ?

p. 76:
… ancor meno fede a tale affermazione che in 15, 1 (Germani post tergum clamore audito, cum suos interfici viderent, armis abiectis signisque militaribus relictis se ex castris eiecierunt) il gettare le armi dovrebbe riferirsi a tutti i Germani[1]. Si osservi infine la seguente enumerazione in Cesare 15, 1 sq: I Germani gettano le armi, fuggono al Reno, cessano la fuga, e soltanto quando un gran numero di loro è rimasto ucciso, il resto si butta nel fiume. Qui gli viene a chiunque di chiedersi: Ma perché non si buttano subito nel fiume, ma cosa mai avranno aspettato[2]? È l’abituale affresco sanguinario dei bollettini della vittoria dei Romani, ed ancor meno credibile non avendo i Romani perso neanche un uomo[3]. Il prudente Cesare ha però anche fatto gettare le armi ai Germani, ed in questa giornata ha taciuto del tutto i loro valorosi 800 cavalieri. Chi conosce l’ornato degli annunci della vittoria romani, mette dietro simili esagerazioni un grosso punto di domanda. Se si considera però la grande importanza che viene accordata più tardi da Tacito agli Usipeti e Tencteri[4], si giunge senz’altro alla conclusione che l’esito di questa guerra deve essere stato un altro, con molte meno perdite da parte di entrambi i popoli. Senza naturalmente voler dare alle parole un particolare significato, vorrei però far notare il passo 16, 2, dove, invece della „rovina“ di entrambi i popoli, si parla di una loro „fuga“[5].

[1] Oppure si nasconde dietro tutte queste contraddizioni il fatto che per coprire la loro ritirata solo una parte dei Germani affronta i Romani fra i carri ed i bagagli vincolandoli, e coinvolgendoli nello sviluppo?
[2] Oppure ha avuto luogo colà un ultimo combattimento? Che infatti tutti i Germani abbiano gettate le armi, è già di per sé un’esagerazione inaudita.
[3] Rimando ad una simile vanteria II 11, 6: Fino al calar della notte i Romani si accaniscono contro i Belgi in fuga sine ullo periculo!
[4] Rimando alle mie osservazioni all’inizio di questo capitolo.
[5] accessit etiam, quod illa pars equitatus Usipetum et Tencterorum … post fugam suorum se trans Rhenum in fines Sugambrorum receperat. Per completezza vorrei registrare anche VI 35, 5 : Sugambri … a quibus receptos ex fuga Tencteros atque Usipetes supra docuimus.

Post archiviato
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Sunday, October 14, 2018

Lucifer




Illustration of Lucifer in the first fully illustrated print edition of Dante Alighieri's Divine Comedy. Woodcut for Inferno, canto 33. Pietro di Piasi, Venice, 1491. This work is in the public domain in its country of origin and other countries and areas where the copyright term is the author's life plus 100 years or less. (Image Courtesy Chiswick Chap, for Wikipedia). 
Lucifer has in his mouth, Ivda, Bruto and Casio, two that betrayed Caesar.
Note the artist rendered the fact that Dante and Virgil have passed Lucifer, at the centre of the Earth and see him upside down.

In Dante's Divina Commedia, the Hell is a conical cavity reaching to the centre of the Earth. At the apex of the cone, there is Lucifer. After Dante and his guide Virgil have passed Lucifer at the bottom of the Hell, and are continuing their journey, Dante looks back and sees Lucifer upside down. And Virgil explains that they have passed the center of the Earth, which is pulling the weights (a clear statement on gravitation):

... tu passasti 'l punto
al qual si traggon d'ogne parte i pesi.
E se' or sotto l'emisperio giunto
ch'e` contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto
fu l'uom che nacque e visse sanza pecca:
tu hai i piedi in su picciola spera
che l'altra faccia fa de la Giudecca.

…thou then didst pass the point to which
 all gravities from every part are drawn.
And now thou art arrived beneath the hemisphere
opposed to that which canopies the great dry land
and underneath whose summit was consumed the
Man, who without sin was born and lived; thou
hast thy feet upon a little sphere, which forms the
other face of the Judecca.
[The Inferno, Edited by Israel Gollancz, 1903]

Dante and Virgil commenced their ascent to the other side of the Earth, toward the Antipodes, where they find the Purgatory, a conical hill, rising out of the ocean at a point diametrically opposite to Jerusalem. 

More at From Rome to the Antipodes: The Medieval Form of the World, International Journal of Literature and Arts, 2013, 1(2), 16-25. 

Saturday, September 29, 2018

Morphing Giulio Cesare: da Aquinum a Pantelleria


La testa di Cesare (a sinistra) è stata trovata ad Aquinum. L'eccezionale scoperta è dovuta agli archeologi diretti da Giuseppe Ceraudo, dell’Università del Salento. A destra c'è il volto del Cesare di Pantelleria sovrapposto alla testa di Aquinum.

Morphing Giulio Cesare: da Aquinum a Tusculum



La testa di Cesare (a sinistra) è stata trovata ad Aquinum. L'eccezionale scoperta è dovuta agli archeologi diretti da Giuseppe Ceraudo, dell’Università del Salento. A destra c'è il volto del Cesare di Tuscolo sovrapposto alla testa di Aquinum.

Thursday, September 27, 2018

Il Giulio Cesare di Mantegna


I Trionfi di Cesare, Mantegna, Dettaglio.

I Trionfi di Cesare (per esteso i Trionfi di Cesare in Gallia, come riporta un'insegna nella seconda tela) sono una serie di nove tele dipinte da Andrea Mantegna tra il 1485 circa e il 1505, conservate nel Palazzo del bagno di Hampton Court a Londra. Si tratta del primo e più riuscito tentativo di ricreare la pittura trionfale dell'Antica Roma.

«In questa opera si vede con ordine bellissimo [...] i profumi, gl'incensi, i sacrifizii, i sacerdoti, i tori pel sacrificio coronati e prigioni, le prede fatte da' soldati, l'ordinanza delle squadre, i liofanti, le spoglie, le vittorie e le città e le rocche, in varii carri contrafatte con una infinità di trofei in sull'aste e varie armi per testa e per indosso, acconciature, ornamenti e vasi infiniti.»

(Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568))



Friday, September 21, 2018

Natus ad Imperium

Gaius Iulius Caesar
da wikipedia in Latino https://la.wikipedia.org/wiki/Gaius_Iulius_Caesar
Nativitas: 100 BCE (avrei preferito, ab Urbe condita); Roma
Obitus: Martius 44 BCE (idem); Roma, Theatrum Pompeium
Patria: Roma antiqua
Gaius Iulius Gaii filius Gaii nepos Caesar Imperator, ab anno 42 a.C.n. Divus Iulius (natus Romae ex stirpe patricia die 13 Iulii 100 a.C.n.; ibidem mortuus 15 Martii 44 a.C.n.), fuit vir publicus, consul, dux exercitus, dictator in perpetuum,[1] orator, poeta, insignis scriptor prosae Latinae. Partes maximi momenti egit in casibus, quibus Respublica Romana in Imperium Romanum transmutata est. Triumviratu cum Crasso et Pompeio, praestantissimis civibus, constituto ab anno 60 a.C.n. per aliquot annos apud Romanos plurimum valuit, quamvis ei potestatem per rationes populares accumulanti senatores, qui optimatibus favebant, videlicet Cato Minor, Cicero, et alii, opponebant. Victa Gallia in potestatemque populi Romani redacta, Caesar imperium Romanum ad Oceanum Britannicum et Rhenum extendit et ipse primus dux Romanus hunc ponte exstructo, illud navibus transgressus est.

Wednesday, September 19, 2018

Dal saggio «Caesar als Historiker» di M. Gelzer

A proposito di Giulio Cesare come storico, mi è stato segnalato da Francesco Carotta questo passo dal saggio "Caesar als Historiker" di Gelzer. Carotta,  gentilmente, mi ha anche fornito una traduzione dall'originale in tedesco. Prima della lettura, desidero ricordare che Cesare scriveva per i romani che potevano leggerlo, che erano molto pochi, e che per la stesura del De Bello Gallico ha usato i suoi rapporti di guerra, e quelli dei suoi generali che doveva inviare al Senato di Roma. Nel libro si trovano quindi fatti ben noti al Senato di Roma, nonché ai suoi generale.  Se Cesare avesse inventato, ai suoi nemici in Roma, la cosa non sarebbe passata inosservata e sarebbe stata denucniata. 
Lasciatemi anticipare le parole di Gelzer che troverete nel testo, che ci ricordano che la STORIA è essa pure materia scientifica: "Di fronte a ciò, allo storico di formazione scientifica è lecito  ricordare che una critica appropriata deve partire innanzitutto dalle condizioni politiche e sociali e dai concetti dell’epoca." "Demgegenüber darf der wissenschaftlich geschulte Historiker daran erinnern, daß sachgemäße Kritik zunächst von den politischen und sozialen Verhältnissen und Vorstellungen des Zeitalters auszugehen hat."
Aggiungo una osservazione ed una nota.
Osservazione: il "darf" di Gelzer  rende bene l'idea che, nonostante la pregressa letteratura su Cesare prodotta da  Rambaud e, nel suo solco, da Carcopino e Canfora,  mi è lecito discutere la storia senza mettermi gli "occhiali" moderni. Ed è  mia opinione che, con "occhiali" moderni, non si faccia scienza ma politica. Dal mio punto di vista avrei messo addirittura un "deve".
Ed ecco la nota:  un passo da "Analysen zu Suetons Divus Julius und der Parallelüberlieferung", di Cordula Brutscher, pubblicato in Noctes Romanae Bd.8, 1958, p. 68:
"Dem Erforschen der historischen Wahrheit sind selbstverständliche Grenzen gesetzt : nie wird man ein Ereignis bis in das letzte psychologische Detail reproduzieren können, auch wenn es noch so reich dokumentiert ist, weil die Kategorien des Denkens einer Epoche von keiner anderen ganz verstanden werden können." "Alla ricerca della verità storica sono posti dei limiti ovvii: non si potrà mai riprodurre un avvenimento fin nell’ultimo dettaglio psicologico, per quanto riccamente documentato possa essere, perché le categorie del pensare di un’epoca non possono essere capite completamente da nessun’altra." [Traduzione di Francesco Carotta].


M. Gelzer, «Caesar als Historiker», in: Kleine Schriften Bd. 2, Wiesbaden 1963, S. 312–314:
[…] Prendiamo dapprima in considerazione il de bello Gallico. Quest’opera serve da secoli da libro scolastico, essendo dunque uno dei libri antichi più letti. Gli insegnanti di latino di quando andavo a scuola sapevano i 7 libri a memoria; grazie a questo intensivo occuparsene vennero esaminati così attentamente, come il loro autore non avrebbe mai potuto prevedere, scrivendo egli in fretta e figurandosi come lettori innanzitutto i senatori dell’anno 51. Detto per inciso, la formula spesso ripetuta di Mommsen (26), che essi siano 'il rapporto militare del generale democratico al popolo dal quale aveva ricevuto l’incarico' trae sfortunatamente in inganno, perché né Cesare era un 'democratico', né il 'popolo romano' leggeva. Ovviamente vennero letti anche da uomini colti dell’ordine equestre come Attico e soprattutto da quelli che erano al servizio di Cesare, come Cornelio Balbo. Ma l’ordine equestre nel suo insieme non era un fattore politico determinante, orientandosi a seconda dei rapporti di forza.
L’intenso studio moderno di Cesare ha condotto, soprattutto nel de bello Gallico, ad un eccesso di critica, iniziata già nel secolo scorso, ed in tempi più recenti degenerata fino alla mania, nell’intento di smascherare Cesare come uno dei peggiori falsificatori della storia. Di ciò in Germania è sintomatico uno scritto di Peter Huber "Die Glaubwürdigkeit Caesars in seinem Bericht über den Gallischen Krieg" (La credibilità di Cesare nel suo commentario sulla guerra Gallica), pubblicato per la prima volta nel 1912, e nel 1931 in seconda edizione (27). Nella conclusione (p. 110) riassume: "Si andrebbe di molto errati se si volesse addebitare a Cesare principalmente soltanto di tacere od abbellire fatti spiacevoli. Molto peggio è che si possano dimostrare nel suo rapporto non poche affermazioni altamente dubbie quanto alla motivazione delle sue imprese, come pure travisamenti intenzionali e grossolane deformazioni nella narrazione del loro svolgersi." Tale critica fu spinta al colmo da Michel Rambaud nel libro "L’art de la déformation historique dans les Commentaires de Cesar" (1953). Otto Seel ha di recente giustamente messo in luce la fatalità inerente a questo tipo di critica, dovendo essa evincere i suoi argomenti da Cesare stesso, poiché per la guerra Gallica mancano quasi completamente ulteriori fonti da lui indipendenti (28).
Invece nessuno vorrà sottovalutare i meriti dell’acribia filologica quando segnala contraddizioni nell’opera di Cesare. Ciò vale per esempio per le cifre date sulle perdite dei Nervii nella battaglia del fiume Sabis nell’anno 57, …
[...]
Però l’acribia filologica è spesso unita a moventi di natura emozionale. Vi entra in gioco il nazionalismo. Cesare è infatti una fonte importante per la protostoria celtica e germanica, e si tenta di considerare i suoi rapporti dal punto di vista degli antenati. Oppure coloro che studiano la storia del proprio paese o delle tecniche militari cercano solerti i riscontri sul terreno delle indicazioni topografiche scritte per senatori che non disponevano di carte geografiche, e di ricostruire le operazioni belliche in tutti i dettagli. Ultimamente vi si aggiungono passioni pacifiste e socialiste, con rigetto delle guerre di conquista e dell’imperialismo, eppoi risentimenti contro  comandanti nati, che non provengono dagli strati sociali più bassi degli operai e dei contadini. Con grande ingenuità viene presupposta già nell’antichità l’esistenza di una propaganda mendace, quale fu resa possibile solo dalla tecnica moderna, un errore che sta alla base dello zelante libro di Rambaud. Bertolt Brecht lasciò un frammento di romanzo, "Gli affari del signor Giulio Cesare“ (Berlino 1957), dal quale mi sono notato la seguente frase (p. 8): "Aveva persino scritto lui stesso dei libri, per ingannarci. Ed aveva pure speso soldi, e non pochi! Per prevenire il riconoscimento dei veri motivi dei loro atti, i grandi uomini ci hanno messo il sudore."
Di fronte a ciò, allo storico di formazione scientifica è lecito ricordare che una critica appropriata deve partire innanzitutto dalle condizioni politiche e sociali e dai concetti dell’epoca. Si deve sapere prima di tutto che la politica romana veniva allora fatta nel Senato. C’erano altresì assemblee popolari che eleggevano annualmente i magistrati e votavano i progetti di legge. Tuttavia esse si riunivano soltanto a Roma, e del milione di cittadini aventi diritto al voto in Italia vi partecipavano al massimo alcune migliaia. Privatamente i senatori parlavano [con disprezzo] della imperita multitudo, facilmente manovrabile con mezzi demagogici. Proprio per questo i Commentarii [di Cesare] si rivolgevano in primo luogo ai senatori.
[…]

(26) p. e. Ed. Norden, Die antike Kunstprosa (1898), 210. Fr. Bömer Hermes 81, 249.
(27) Bamberg, Buchner Verlag.
(28) Ambiorix, Beobachtungen zu Text und Stil in Caesars B. G. Jahrbuch für fränkische Landesforschung 20 (1960), 55. Inoltre nella prefazione dell’edizione, p. 78. Esemplare per la sua prudenza ed avvedutezza di giudizio Fr. Adcock, Caesar as Man of Letters.

II.
Wir fassen zunächst das bellum Gallicum ins Auge. Dieses Werk dient seit Jahrhunderten als Schulbuch, ist also eines der am meisten gelesenen antiken Bücher. Die Lateinlehrer meiner Schulzeit kannten die 7 Bücher auswendig, und dank dieser intensiven Beschäftigung wurden sie in einer Weise unter die Lupe genommen, wie es ihr schnell schreibender Verfasser, der sich als Leser zunächst die Senatoren des Jahrs 51 vorstellte, nicht ahnen konnte. Beiläufig sei bemerkt, daß Mommsens oft nachgesprochene Formulierung(26), sie seien "der militärische Rapport des demokratischen Generals an das Volk, von dem er seinen Auftrag erhalten hatte", bedauerlich irreführt, weil weder Caesar ein 'Demokrat' war noch das 'römische Volk' Bücher las. Selbstverständlich wurden sie auch von gebildeten Männern des römischen Ritterstands wie Atticus gelesen und vorab von denen in Caesars Dienst, wie Cornelius Balbus. Aber der Ritterstand im ganzen war kein selbständiger politischer Machtfaktor, sondern richtete sich nach den Machtverhältnissen.
Das moderne intensive Caesarstudium hat insonderheit beim bellum Gallicum zu einer Überfülle von Kritik geführt, die schon im vorigen Jahrhundert begann und in neuerer Zeit bis zur Manie ausartete, Caesar als einen der schlimmsten Geschichtsfälscher zu entlarven. In Deutschland ist dafür symptomatisch eine Schrift von Peter Huber "Die Glaubwürdigkeit Caesars in seinem Bericht über den Gallischen Krieg", die zuerst 1912 und 1931 in 2. Auflage erschien(27). Im Schlußwort (110) faßt er zusammen: „Man würde aber weit fehlgehen, wollte man Caesar in der Hauptsache bloß Verschweigen und Beschönigen unliebsamer Tatsachen zur Last legen. Viel schlimmer ist, daß sich in seinem Bericht nicht wenige höchst fragwürdige positive Angaben in der Begründung seiner Unternehmungen ebenso wie in der Schilderung ihres Verlaufs, bewußte Verdrehungen und grobe Entstellungen der Wahrheit nachweisen lassen." Auf den Gipfel wurde diese Kritik getrieben von Michel Rambaud in dem Buch "L’art de la déformation historique dans les Commentaires de Cesar" (1953). Otto Seel hat kürzlich zutreffend auf das Fatale dieser Art von Kritik hingewiesen, sofern sie nämlich ihre Argumente aus Caesar selbst gewinnen muß, da für den Gallischen Krieg sonstige unabhängige Überlieferung beinahe ganz fehlt (28).
Dagegen wird niemand die Verdienste philologischer Akribie, die auf Widersprüche im Werk Caesars hinweist, verkennen. Das gilt beispielsweise für die Angabe über die Verluste der Nervier in der Schlacht am Sabis im Jahr 57, …
[...]
Jedoch die philologische Akribie ist vielfach verquickt mit Antrieben emotionaler Natur. Da spielt Nationalismus hinein. Caesar ist ja eine wichtige Quelle für die keltische und germanische Frühgeschichte, und man sucht seine Berichte vom Standpunkt der Vorfahren aus zu betrachten. Oder Heimatforscher und Militärschriftsteller suchen emsig die topographischen Angaben, die für Senatoren geschrieben sind, denen keine Landkarten zur Verfügung standen, im Gelände nachzuweisen und die kriegerischen Operationen in allen Einzelheiten zu rekonstruieren. Neuerdings kommen pazifistische und sozialistische Affekte hinzu mit Ablehnung von Eroberungskriegen und Imperialismus und Ressentiment gegen Herrschernaturen, die nicht der niedrigsten Schicht des Arbeiter- und Bauernstandes entstammen. Mit großer Naivität wird schon im Altertum das Vorhandensein einer Lügenpropaganda vorausgesetzt, wie sie erst die moderne Technik ermöglichte, ein Irrtum, der dem fleißigen Buch von Rambaud zu Grunde liegt. Bertolt Brecht hinterließ ein Romanfragment "Die Geschäfte des Herrn Julius Caesar" (Berlin 19 57), aus dem ich mir folgenden Satz notierte (S. 8): "Er hatte sogar selber Bücher geschrieben, um uns zu täuschen. Und er hatte ebenfalls Geld ausgegeben und nicht wenig! Vor die Erkenntnisse der wahren Beweggründe ihrer Taten haben die großen Männer den Schweiß gesetzt".
Demgegenüber darf der wissenschaftlich geschulte Historiker daran erinnern, daß sachgemäße Kritik zunächst von den politischen und sozialen Verhältnissen und Vorstellungen des Zeitalters auszugehen hat. Da muß man vor allem wissen, daß die römische Politik damals im Senat gemacht wurde. Daneben gab es Volksversammlungen, die jährlich die Magistrate wählten und über Gesetzesvorlagen abstimmten. Doch traten sie nur in Rom zusammen, und von der Million stimmberechtigter Bürger in Italien nahmen bestenfalls einige tausend daran teil. Wenn die Senatoren unter sich waren, sprachen sie von der imperita multitudo, die mit demagogischen Mitteln leicht zu lenken war. Eben darum richteten sich die Commentarien vorab an die Senatoren.
[…]

(26) z. B. Ed. Norden, Die antike Kunstprosa (1898), 210. Fr. Bömer Hermes 81, 249.
(27) Bamberg, Buchner Verlag.
(28) Ambiorix, Beobachtungen zu Text und Stil in Caesars B. G. Jahrbuch für fränkische Landesforschung 20 (1960), 55. Ferner in der Praefatio zur Ausgabe S. 78. Vorbildlich mit seiner Vorsicht und Umsicht des Urteils Fr. Adcock, Caesar als Schriftsteller.

Post archiviato
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Monday, September 17, 2018

Leiden bust of Caesar (Rijksmuseum van Oudheden) Morphing with Tusculum bust.



This is a morphing of the Leiden bust of Julius Caesar. From the left: Leiden bust, 2/3 Leiden and 1/3 Tusculum bust, 1/3 Leiden and 2/3 Tusculum, the face of Tusculum on the Leiden head.


Lifelike rendering of the morphing

Thursday, September 13, 2018

Gaio Giulio Civile

Avete letto bene "Gaio Giulio Civile" e non "Gaio Giulio Cesare"!

I Batavi: un popolo di superman al servizio dell'Imperatore [ di Carlo Ciullini ]

http://www.tuttostoria.net/storia-antica.aspx?code=1055

Tosti questi Batavi!

Saturday, August 25, 2018

Caesar's Comet

Courtesy: Classical Numismatic Group, Inc

He had barely finished, when gentle Venus stood in the midst of the senate, seen by no one, and took up the newly freed spirit of her Caesar from his body, and preventing it from vanishing into the air, carried it towards the glorious stars. As she carried it, she felt it glow and take fire, and loosed it from her breast: it climbed higher than the moon, and drawing behind it a fiery tail, shone as a star.

(BOOK XV (15) METAMORPHOSES by OVID)
http://www.mythology.us/ovid_metamorphoses_book_15.htm

Wednesday, August 22, 2018

Jules César et la Gaule



"Jules César n’a pas seulement inventé la Gaule ; il est entré dans notre Histoire Nationale et en est même devenu le premier de ses héros."

da  "JULES CÉSAR DANS LA TRADITION HISTORIQUE FRANÇAISE DES XIXe ET XXe SIÈCLES" di JEAN-MICHEL RODDAZ

Sunday, August 19, 2018

Giulio Cesare e i Germani

Giulio Cesare e i Germani: Questo articolo propone una discussione di quanto scritto nel De Bello Gallico sulla campagna militare di Cesare contro i Germani, in particolare contro Usipeti e Tencteri. Si analizzerà anche quanto detto da Plutarco a proposito dell'accusa, fatta a Cesare da Catone il Minore, di aver violato la tregua con questi Germani. Infine, si confronteranno i testi di Cesare e Plutarco con quanto scritto nei libri di Luciano Canfora e Jérôme Carcopino.

Thursday, August 16, 2018

Julius Caesar from the Trajan’s forum - lifelike rendering




My lifelike rendering of the 

Head of Julius Caesar from the Trajan’s forum.
Marble. 117—138 CE.
Naples, National Archaeological Museum
(Napoli, Museo archeologico nazionale di Napoli)
Elaborazione di una fotografia di Sergey Sosnovskiy, 2008.

Dal sito
 Sala XXIX, La galleria degli imperatori.
"Come ogni collezione rinascimentale di sculture antiche anche quella Farnese annoverava un ciclo di ritratti che doveva rappresentare la storia di Roma attraverso le immagini dei suoi protagonisti. In gran parte essi erano esposti nella Sala degli Imperatori appositamente allestita a Palazzo, altri erano invece sistemati nella Sala dei Filosofi. La serie di ritratti antichi andò arricchendosi seguendo gli interessi che andavano affermandosi nel Cinquecento fra gli esperti di antiquaria finalizzati in primo luogo a raccogliere i ritratti dei dodici Cesari svetoniani che illustravano la prima età imperiale, nonché quelli di alcune grandi personalità della storia repubblicana quali Bruto instauratore della repubblica e Bruto il cesaricida, Giulio Cesare e Pompeo Magno per citare solo i soggetti più richiesti."
"Like all Renaissance collections of ancient sculpture, the Farnese collection included a cycle of portraits designed to represent the history of Rome through the images of its main characters. Most of these were displayed in a specially decorated Hall of the Emperors in the Palazzo; others were arranged in the Hall of the Philosophers. 
The series of ancient portraits was developed according to interests current in the 16th century among antiquarian experts. Particular emphasis was placed on collecting the portraits of the twelve Suetonian Caesars who reflected the early imperial period, as well as those of the great characters of republican history such as Brutus, the founder of the republic, and Brutus, Caesar’s assassin, along with Julius Caesar and Pompey the Great, to give only the most sought after."

Tuesday, August 7, 2018

La storia si scrive sempre usando il tempo presente?

Ho ritrovato ora un articolo, pubblicato nel 2013 dal Corriere, di Luciano Canfora, dal titolo "La storia si scrive sempre usando il tempo presente". http://cesim-marineo.blogspot.com/2013/11/perche-canfora-rivaluta-stalin.html

L'articolo trae spunto da una recensione di un libro di Paolo Mieli. Il filo conduttore dell'articolo di Canfora, e non solo del libro di Mieli, è quello in origine formulato "esplicitamente e teoreticamente da Benedetto Croce, ed è che 'Ogni vera storia è storia contemporanea'. Con ciò intendendosi che lo sforzo — sempre in fieri — di comprensione del passato parte dalle nostre categorie e risponde a nostre esigenze attuali e, non da ultimo, per ciò che un fatto storico diviene contemporaneo nell’atto mio medesimo di pensarlo. Chi abbia esperienza della storiografia sa che non vi è storico, di cui sia rimasta significativa memoria, che non abbia preso le mosse da un impulso o bisogno intellettuale radicato nel presente, nel suo presente etico-politico: da Erodoto a Giuseppe Flavio, da Livio a Eginardo, etc. ... Di questa fondamentale intuizione si possono dare diversi inveramenti. Lo stesso Croce ne intuisce un possibile uso strumentale in quella che chiama «storiografia di partito» ... e addita uno iato tra «gli scrittori di storia, disadattati o alieni alla politica» e gli uomini politici, i quali «ancorché ignorantissimi delle cose della storia, pur menano le cose del mondo». Al contrario, chi dell’agire politico ebbe un’idea più alta e meno riduttiva poté ribaltare questa visione, pur partendo dalle stesse premesse. Mi riferisco alle considerazioni di metodo che Palmiro Togliatti premise alla sua lezione torinese ... , dove indicò appunto nel politico, distinto in ciò dallo storico professionale (e in ciò sbagliava), colui che invera il principio della ineluttabile contemporaneità della storia. E concludeva, forse intimidito dall’apparente neutralità degli storici di professione: «Soltanto per il politico ogni storia è sempre storia contemporanea» ... "
Canfora continua con varie osservazioni, spaziando da Filippo il Macedone a Stalin - anche da Annibale a Stalin -,  menzionando il Principe di Machiavelli. E ricorda come in effetti sia proprio Bobbio, in una lettera, a richiamarsi al Principe, per considerare "la grandezza «del vostro, e potrei dire anche nostro, Stalin», «venerando e terribile» al pari di Annibale, in quanto è lecito al Principe violare le regole della morale comune se fa «gran cose». E soggiungeva Bobbio: «La costruzione di una società socialista è gran cosa».

Il titolo dell'articolo di Canfora è sicuramente ad effetto: "La storia si scrive sempre usando il tempo presente". Dato che è un titolo, esso è anche il manifesto del suo pensiero. Così intende la storia Canfora e lo ribadisce quando, riferendosi a Togliatti, dice che il Migliore si sbagliava nel distinguere storico da politico.
Allora, seguendo il titolo dato, se noi parliamo di Giulio Cesare, quanto è successo duemila anni fa diventa un tema attuale, per il fatto stesso che noi ne parliamo. E noi così cominciamo a parlare di Giulio Cesare, coniugando al presente.  Ma, la storia si scrive sempre usando il tempo presente?

Vediamo che cosa scrive Canfora nel suo libro, Giulio Cesare: Il dittatore democratico, proprio di Cesare. Mi riferisco in particolare alla spedizione militare contro le tribù germaniche di Usipeti e Tencteri, che avevano passato il Reno, per stabilirsi, allontanandoli con la violenza, nel territorio dei Menapi.Se volete avere tutti i dettagli, potete servirvi di questo LINK.

Dice Canfora "I Germani continuavano a premere per un accordo; Cesare cercava solo un pretesto per massacrarli. Ma fu con l’inganno che ebbe ragione di loro. Il pretesto fu offerto da una sortita di cavalieri degli Usipeti contro la cavalleria gallica alleata di Cesare. Nello scontro morirono alcuni dei collaborazionisti galli più cari a Cesare.Nonostante l’incidente i capi germanici si recarono al previsto incontro con Cesare. Il quale li ricevette a colloquio, ma li fece trucidare a tradimento; quindi assaltò gli avversari sbandati e senza guida, ed estese indiscriminatamente il genocidio a tutti, donne e bambini inclusi. Come crimine disumano questa ecatombe fu percepita anche a Roma, dove Catone, per ragioni beninteso di lotta politica interna, si spinse a chiedere la consegna del proconsole al nemico. La presumibile assenza di autentiche motivazioni umanitarie nella proposta di Catone non deve indurre a sottovalutare l’iniziativa del tenace oppositore. Era significativa comunque che l’enormità del crimine compiuto era percepita. Nondimeno il Senato, in preda ad una“ubriacatura imperialistica” (secondo l’espressione di Carcopino), concesse in onore della carneficina cesariana una colossale supplicatio."
Vedete bene come Canfora scriva al presente, non nel senso che usa i verbi al presente, ma nel senso che usa concetti della storia recente. Questo potrebbe anche essere lecito. Però ci sono dei vincoli che non dovrebbero essere superati, come per esempio inventarsi degli episodi FALSI.
Cesare, nel De Bello Gallico, dice che lascia liberi gli ambasciatori, ma che essi restano con lui per timore dei Galli a cui avevano devastato le terre. Nel libro di Canfora, l’episodio diventa l’assassinio degli ambasciatori (Il quale li ricevette a colloquio, ma li fece trucidare a tradimento). Al LINK trovate anche passi di  Plutarco e Svetonio: questi autori antichi non dicono - ripeto, non dicono - che gli ambasciatori dei Germani siano stati uccisi. Essa è pura invenzione di Canfora. 
Canfora dice che vennero uccisi donne e bambini, leggetevi quello che dice Cesare allora. Cesare non dice che cosa era successo a donne e bambini. Saranno finiti schiavi di Galli o Romani, come era costume dell'epoca. Ma Canfora, sicuramente pensando al presente, vede i cavalieri Galli farli a fettine...
Passiamo a quello che accadde a Roma.
Frequentando il greco Plutarco, ossia leggendo le sue Vite Parallele, troviamo detto in modo molto chiaro che a Roma, l’"ecatombe", come la chiama Canfora, viene vista come una buona novella. Non viene percepita come un crimine, perché era una vittoria sui Germani. L'unica persona che viene agitata dalla notizia, ma soprattutto dalla richiesta della supplicatio, una serie di grandi celebrazioni in onore della vittoria, è Catone il Minore, acerrimo nemico di Cesare. E così inizia a risuonare la sua corda retorica. In Senato, che doveva deliberare la supplicatio, Catone si alza in piedi e comincia il suo discorso retorico. Cesare ha violato la tregua! Anche se i Germani hanno violato prima la tregua lui doveva rispettarla. Ha vinto solo perché, violando la tregua, era diventato superiore ai nemici. Consegniamolo ai nemici, per aver violato la parola data! Il Senato chiede chiarimenti a Cesare che risponde con una missiva piena di insulti, dice Plutarco. Dopo che il Senato ha respinto la mozione di Catone, egli, molto pacatamente, dice quello che effettivamente ha in testa. Ovvero che il Senato non deve aver paura dei barbari, ma di Cesare che vuol prendere il potere.
Il testo di Plutarco è chiaro in proposito. Ma in Plutarco troviamo una svista, il numero che per Cesare era quello stimato dei nemici, diventa il numero dei Germani uccisi, anzi tagliati a fette. E così ha origine il filo conduttore che porta Canfora a parlare di genocidio e dire "ed estese indiscriminatamente il genocidio a tutti, donne e bambini inclusi. Come crimine   disumano   questa   ecatombe   fu   percepita   anche   a   Roma." Ripeto, Cesare non  dice di aver ucciso donne e bambini. A Roma, la notizia della vittoria di Cesare sui Germani - ed è questa la notizia che è arrivata a Roma - era una buona notizia. Non erano passati infatti molti anni da quando i Cimbri avevano dilagato nella valle Padana, e solo il nuovo esercito del console Caio Mario li aveva fermati, e neppure  Caio Mario aveva ucciso donne e bambini. 
Concludo la discussione del passo dal libro di Canfora facendo notare che i Galli alleati di Cesare vengono da lui definiti collaborazionisti. Nel vocabolario Treccani leggiamo che un collaborazionista è chi collabora con le  autorità  nemiche d’occupazione, in particolare chi, durante la seconda guerra mondiale, collaborò con le forze tedesche d’occupazione, come ad esempio i governi di Salò e di Vichy. Insomma, nel libro di Canfora, i Romani di Cesare sembrano i soldati del Terzo Reich e Cesare un Hitler che commetteva genocidi.
Allora, avete visto come si coniuga la storia al presente, magari con l'aggiunta di fake news. 
Termino quindi con la domanda, titolo del post. La storia si scrive sempre usando il tempo presente?


Monday, August 6, 2018

De Bello Gallico 4.14-15, Giulio Cesare (Italiano, Français, English)

Ci sono due frasi, nel De Bello Gallico di Giulio Cesare, che richiedono, secondo me, una traduzione il più letterale possibile. Sono nel Libro IV, capitolo 14 e 15, e riguardano la campagna militare contro Usipeti e Tencteri. La ragione è spiegata dall'articolo Giulio Cesare e i Germani. / Il y a deux phrases, dans De Bello Gallico, qui exigent, à mon avis, une traduction aussi littérale que possible. Ils figurent dans le livre IV et concernent la campagne militaire contre Usipetes et Tencteri. / There are two sentences in De Bello Gallico, which require, in my opinion, a translation as literal as possible. They appear in Book IV and concern the military campaign against Usipetes and Tencteri. The reason is explained by the article Julius Caesar and the Germans.

LATINO Ecco di seguito il testo Latino.

[14] Acie triplici instituta et celeriter VIII milium itinere confecto, prius ad hostium castrapervenit quam quid ageretur Germani sentire possent. Qui omnibus rebus subito perterriti et celeritate adventus nostri et discessu suorum, neque consilii habendi neque arma capiendi spatio dato perturbantur, copiasne adversus hostem ducere an castra defendere an fuga salutem petere praestaret. Quorum timor cum fremitu et concursu significaretur, milites nostri pristini diei perfidia incitati in castra inruperunt. Quo loco qui celeriter arma capere potuerunt paulisper nostris restiterunt atque inter carros impedimentaque proelium commiserunt; at reliqua multitudo puerorum mulierumque (nam cum omnibus suis domo excesserant Rhenum transierant) passim fugere coepit, ad quos consectandos Caesar equitatum misit.
[15] Germani post tergum clamore audito, cum suos interfici viderent, armis abiectis signismilitaribus relictis se ex castris eiecerunt, et cum ad confluentem Mosae et Rheni pervenissent, reliqua fuga desperata, magno numero interfecto, reliqui se in flumen praecipitaverunt atque ibi timore, lassitudine, vi fluminis oppressi perierunt. Nostri ad unum omnes incolumes, perpaucis vulneratis, ex tanti belli timore, cum hostium numerus capitum CCCCXXX milium fuisset, se in castra receperunt. Caesar iis quos in castris retinuerat discedendi potestatem fecit. Illi supplicia cruciatusque Gallorum veriti, quorum agros vexaverant, remanere se apud eum velle dixerunt. His Caesar libertatem concessit.

Italiano

Disposto l’esercito su tre file e coperte rapidamente le otto miglia di distanza, arrivò sul campo nemico prima che i Germani potessero rendersi conto di cosa stava succedendo. Essi, atterriti per diverse ragioni, dall’arrivo improvviso dei nostri e dall’assenza dei loro, dal non avere il tempo di prendere alcuna decisione o di correre alle armi, erano incerti se convenisse affrontare i Romani, difendere l’accampamento o darsi alla fuga. I lori timori erano resi manifesti dai rumori e dalla confusione; i nostri, irritati dal proditorio attacco del giorno precedente, fecero irruzione nel campo avversario. Qui, chi riuscì ad armarsi in fretta, per un po’ oppose resistenza, combattendo tra i carri e le salmerie; altri invece, ossia le donne e i bambini (infatti tutti erano usciti dalle loro terre e avevano attraversato il Reno) cominciarono a fuggire. A seguirli, Cesare mandò la cavalleria.
I Germani, uditi i clamori alle spalle, e vedendo i loro cadere, gettarono le armi, abbandonarono le insegne e fuggirono dall’accampamento. Giunti alla confluenza della Mosa con il Reno, dove non v’era più speranza di fuga, molti vennero uccisi, gli altri si gettarono nel fiume e qui, vinti dalla paura, dalla stanchezza, dalla forte corrente, morirono. I nostri, incolumi, con pochissimi feriti, rientrarono al campo dopo le apprensioni nutrite per uno scontro così rischioso, considerando che il numero dei nemici era stimato a quattrocentotrenta mila unità. Ai Germani trattenuti nell’accampamento Cesare permise di allontanarsi, ma costoro, temendo atroci supplizi da parte dei Galli di cui avevano saccheggiato i campi, dissero di voler rimanere presso di lui. Cesare concesse loro la libera scelta.

A proposito di vedendo i loro cadere, cum suos interfici viderent, mi preme notare che  suos è l’accusativo plurale del sostantivo sui, che significa i suoi / i loro (non solo i famigliari, ma anche gli amici, partigiani, compagni, ecc.) (*). Dato il numero plurale ed il contesto, suos si riferisce meglio al plurale qui celeriter arma capere potuerunt,  cioè ai compagni d’arme che avevano cercato invano di opporre resistenza prendendo le armi, piuttosto che al collettivo ma singolare reliqua multitudo puerorum mulierumque, alla moltitudine di bambini e donne, che aveva preso la fuga, passim fugere coepit, e che quindi i combattenti non potevano più vedere, poiché si era già allontanata (non a caso fu mandata la cavalleria ad inseguirli: ad quos consectandos Caesar equitatum misit). Questo quos, accusativo plurale maschile, ha sostituito il singolare di multitudo, per rendere l'idea dei molti che si disperdono in tutte le direzioni nella fuga. Notiamo inoltre che il summenzionato quos non è la cosa più vicina al suos del cum suos interfici viderent, ma sono i Germani stessi, quelli che stanno combattendo contro i Romani, ad esserlo.

Si deve dunque intendere il suos riferito ai compagni d’arme dei Germani.
Più sopra, da un lato Cesare dice nam cum omnibus suis domo excesserant, significando ivi con  omnibus suis le loro famiglie, ma prima dice dei discessu suorum, intendendo l'assenza dei leader militari  (e non dei parenti). Nel terzo caso,  cum suos interfici viderent, con suos si intendono i compagni d'arme.  Ci sono quindi tre significati diversi della stessa parola nello stesso paragrafo, per via della polisemia del Latino sui.
Lasciatemi insistere su questo: pensare che il termine sui debba avere lo stesso significato in occorrenze diverse è molto fuorviante. Si deve infatti sempre considerare il contesto e la grammatica.
Per il contesto si leggano appunto Julius Caesar and the Germans oppure Giulio Cesare e i Germani.

(*) Castiglioni, L., & Mariotti, S. (1965). Vocabolario della Lingua Latina. Loescher. Torino.

In Francese

Utilizzo la traduzione proposta in "Guerre des Gaules, traduite des mémoires dits Commentaires de César", par Teophile Berlier. A Paris, chez Parmantier, libraire, rue Dauphine, n. 14, 1825.

XIV. Ayant rangé l’armée sur trois lignes, il fit avec une extrême vitesse un chemin de huit milles, et parvint au camp des ennemis avant qu’ils passent connaître ce qui venait de se passer au sien. Frappés d’une terreur subite par la promptitude de notre arrivée, manquant de chefs, et n’ayant le temps ni d’assembler un conseil, ni de prendre les armes , ils ne savaient, dans leur trouble, à quel parti s'arrêter, ou de faire sortir les troupes pour combattre, ou de se borner à la défense de leur camp, ou enfin de chercher leur salut dans la fuite. Au milieu des courses et des cris par lesquels ces Germains signalaient leur frayeur , nos soldats , irrités de leur perfidie de la veille, fondirent sur leur camp. Ceux d’entre les enne mis qui avaient usé d’assez de promptitude pour s’armer opposèrent un peu de résistance , et se battirent entre les chars et les bagages; mais tout le reste, y compris les femmes et les enfans ( car les Germains étaient sortis de leur pays et avaient passé le Rhin avec tout ce qu’ils pos sédaient) , se mirent à fuir çà et là devant la cavalerie que César envoya à leur poursuite.

XV. Ceux qui combattaient, entendant de grands cris derrière eux, et voyant le carnage qu’on faisait de leurs camarades, ne songèrent plus, jetant leurs armes et aban donnant leurs enseignes , qu'à se sauver du camp. Lorsqu'ils furent parvenus au confluent de la Meuse et du Rhin , que l’espoir de fuir plus loin leur fut ravi, et qu’un grand nombre d’entre eux eut été tué , le reste se précipita dans le fleuve , et y périt accablé par la peur, la lassitude et la violence des eaux. Les nôtres , sans qu’il en eût été tué un seul, et comptant à peine quelques blessés, rentrèrent dans leur camp , délivrés des inquiétudes d’une si grande guerre, soutenue contre des ennemis dont le nombre s’était élevé à quatre cent trente mille. César accorda aux Germains qu’il avait retenus dans son camp la faculté de s’en aller; mais , comme ils redoutaient les plus cruels traitemens de la part des Gaulois, dont ils avaient dévasté le territoire, ils exprimèrent le désir de rester auprès de César, qui voulut bien le leur permettre.

A commento di questa traduzione, potete vedere che Teophile Berlier legge nel testo di Cesare proprio quello che ho proposto nella traduzione in Italiano, ossia che il suos è riferito ai compagni d'arme.

Ecco la mia traduzione in Inglese

Having divided his army in three lines, and in a short time performed a march of eight miles, he arrived at the camp of the enemy before the Germans could perceive what was going on; who being suddenly alarmed by all the circumstances, both by the speediness of our arrival and the absence of their own chiefs, as time was afforded neither for concerting measures nor for seizing their arms, are perplexed as to whether it would be better to lead out their forces against the enemy, or to defend their camp, or seek their safety by flight. Their consternation being made apparent by their noise and tumult, our soldiers, excited by the treachery of the preceding day, rushed into the camp: such of them as could readily get their arms, for a short time withstood our men, and gave battle among their carts and baggage wagons; but the rest of the people, children and women (for they had left their country and crossed the Rhine with all their families) began to fly in all directions; to follow them Caesar sent the cavalry.

The Germans, hearing the shouting behind them, and seeing their comrades falling, threw away their arms, abandoned their standards, and fled out of the camp, and when they had arrived at the confluence of Meuse and Rhine rivers, the survivors despairing of further escape, many of them had been killed, threw themselves into the river and there perished, overcome by fear, fatigue, and the violence of the stream. Our soldiers, after the alarm of so great a war, for the number of the enemy amounted to 430,000, returned to their camp, all safe to a man, very few being even wounded. Caesar granted those whom he had kept in the camp liberty of departing. They however, dreading revenge and torture from the Gauls, whose lands they had harassed, said that they desired to remain with him. Caesar granted them permission to choose. 

Mi permetto di scrivere la discussione in Inglese della mia traduzione.
Concerning and seeing their comrades falling, cum suos interfici viderent, I have to stress that suos is the plural accusative of the substantive sui, which is easily translated in the Italian i suoi / i loro (amici, partigiani, compagni, familiari, ecc.). In (**), we see that sui, suorum, means their friends, soldiers, fellow-beings, equals, adherents, followers, partisans, posterity, slaves, family, etc., of persons in any near connection with the antecedent. Since suos is plural, and because of the context, suos is better referring to the plural qui celeriter arma capere potuerunt, that is to the men which were fighting, who had tried in vain to oppose resistance, rather than to the singular reliqua multitudo puerorum, the multitude of women and children, that had previouly fled, passim fugere coepit. As a consequence of this flight, the men could no longer see them, because women and children had already abandoned the camp (it was not by chance that the cavalry was sent to follow them: ad quos consectandos Caesar equitatum misit). Actually, this quos, accusative plural masculine susbstituing the singular multitudo, is used to render the idea of the many persons dispersed in the flight.  Moreover, let us note that the abovementioned quos is not the nearest thing to suos which appears in cum suos interfici viderent:  the nearest subject are the same Germans, which are figthing against the Romans.

For the previously given reasons, it is necessary to consider suos referred to the comrades-in-arms of the Germans, here rendered as comrades.

In fact, just above, on the one side Caesar tells nam cum omnibus suis domo excesserant, meaning here with omnibus suis their families, but before he speaks of the discessu suorum, meaning the absence of their military leaders (and not of the relatives). In the third case, cum suos interfici viderent, with suos are meant the comrades. Three meanings of the same word in the same paragraph, due to the polysemy of the Latin sui. Let us stress the following. To think that sui has the same meaning in different occurrences is misleading, because it is always necessary to consider the context and the grammar.

For the background, read please  Julius Caesar and the Germans .

(**) A Latin Dictionary. Founded on Andrews' edition of Freund's Latin dictionary. revised, enlarged, and in great part rewritten by. Charlton T. Lewis, Ph.D. and. Charles Short, LL.D. Oxford. Clarendon Press. 1879. Available at http://www.perseus.tufts.edu/

Discussione
Perché considero la traduzione di questi due capitoli del De Bello Gallico importante?
La risposta è la seguente. Molte traduzioni Italiane, Francesi e Tedesche traducono il suos lasciando semplicemente "i loro" (ed equivalente in Francese e in Tedesco), senza specificare chi siano questi "loro".  L'Inglese che non ha la locuzione adatta per dire "i loro" (diciamo meglio, potrebbe essere un theirs, ma non è bella), si trova a dover usare un sostantivo, e, nella maggior parte delle traduzioni, il suos  risulta indicare i familiari. In alcuni pochi casi si trova friends o companions.
Ripetiamo, nel sui polisemico le traduzioni inglesi vedono il significato di famiglia. 
Faccio un esempio. Il testo è Commentaries on the Gallic War. Translated into English by T. Rice Holmes. Publication date 1908:  "but  the host of women and children (for they had left their country and crossed the Rhine with all their belongings) began to flee in all directions; and Caesar sent his cavalry to hunt them down. The Germans heard the shrieks behind, and, seeing that their kith and kin were being slaughtered, threw away their weapons, abandoned their standards, and rushed out of the camp." Da queste traduzioni in Inglese, si vede che Cesare è reso  come massacratore di donne e bambini. Ma non sono solo i traduttori inglesi. Ci sono traduzioni che lasciano "i loro", ma mettono delle note che dicono che "i loro" sono le donne e i bambini, come per esempio nella traduzione di Franco Manzoni per Mursia, 1989.

C'è però un autore antico, che ha riferito in dettaglio su Cesare e lo scontro con gli Usipeti e Tencteri,  e che legge il sui come i compagni d'arme, anzi, come i soldati a piedi, e questo autore è Cassio Dione. Ecco che cosa dice.
"Stando i Romani ne’ quartieri d’ inverno presso gli alleati, i Tencteri  e gli Usipeti, popoli di Germania, si perchè erano discacciati dagli Svevi, come anche perchè venivano invitati dai Galli, passato il Reno, fecero impeto sopra i confini dei Treviri. Quivi avendo essi trovato Cesare, ne rimasero spaventati, e s’indussero a spedire a lui ambasciatori, i quali facessero alleanza col medesimo, chiedendogli che assegnasse loro una qualche regione, o elle permettesse ai medesimi di occuparsela. Ma non avendo ottenuta alcuna, di queste due cose, sulle prime promisero, che di buon grado alle lor case se ne sarebbero ritornati, e addimandarono la tregua; e poscia vedendo, che Cesare si avvicinava con pochi soldati a cavallo, i quali erano sul fior dell’ età, non ne fecero essi gran conto, e pentitisi di quanto avevano fatto, sospesero la partenza , ed all impensata diedero addosso ai detti cavalieri romani  e da ciò preso coraggio determinarono di fare la guerra. Non fu tal cosa approvata da coloro, ch’erano d’età più matura. i quali portatisi da Cesare contro la volontà de' più giovani,  implorarono il perdono, gettando la colpa sopra pochi. Cesare li trattenne, fingendo, che fra non molto avrebbero ricevuta la risposta  e quindi se n’andò contro gli altri, che stavano dentro gli alloggiamenti, e diede loro l’assalto in tempo che  dopo il mezzodì se ne stavano in riposo, e non  si aspettavano veruna ostilità, sul riflesso che quei della lor parte erano a trattar con Cesare: e fatto improvviso impeto sopra i medesimi, uccise una gran quantità di soldati a piedi, i quali oltreché non aveano campo di prender le armi, venivano anche impacciati dalle mogli e dai figliuoli, che  stavano misti confusamente insieme vicino ai carri." A pagina 386 delle  Istorie romane di Dione Cassio Coccejano tradotte da Giovanni Viviani. Tomo primo. Dalla tipografia de' fratelli Sonzogno, 1823.
Notiamo che il testo greco parla proprio di soldati a piedi (τῶν πεζῶν).

Lasciate che vi mostri una parte di una traduzione moderna, dello stesso passo di Cassio Dione, fatta da Giuseppe Norcio, BUR, 1995.
"Intanto mosse contro gli altri, che meriggiavano sotto le tende e non si aspettavano un attacco, perché i loro vecchi si trovavano presso Cesare. Assalite le tende piene di soldati, che non ebbero neppure il tempo di afferrare le armi e stavano presso i carriaggi insieme alle donne e ai bambini, fece una strage."
Come potete ben notare, la traduzione moderna ha una forma molto diversa da quella del Viviani. Nella traduzione del Viviani, secondo Cassio Dione quelli che sono stati uccisi sono i soldati. Invece, nella traduzione di Norcio, l'ambiguità su chi siano gli uccisi è evidente.

Concludiamo, nel De Bello Gallico è descritto un combattimento a piedi avvenuto nel campo dei Germani. Vedendo che i loro compagni d'arme erano uccisi dai Romani, i Germani avevano cercato di fuggire e raggiungere le donne e i bambini, che erano già fuggiti, e per questo motivo Cesare aveva messo la cavalleria a seguirli.
Cesare non ci dice che cosa è successo alle persone raggiunte dalla cavalleria. In un altro passo del De Bello Gallico però, Cesare è più preciso. Parlando dello scontro coi  guerrieri dei Treviri dice "Quos Labienus equitatu consectatus, magno numero interfecto, compluribus captis, paucis post diebus civitatem recepit." Vuol dire che la cavalleria di Labieno ne ha ucciso molti e che parecchi sono stati fatti prigionieri (pochi giorni dopo lo scontro, i Treviri si sono arresi). Allora, anche nel caso degli Usipeti e dei Tencteri, avrà fatto dei prigionieri. Forse non era necessario neppure dirlo, perché donne e bambini erano automaticamente considerati come prigionieri. Nel caso dei Treviri era invece necessario dirlo perché si trattava di combattenti.
Essendo il suos l'accusativo di sui che nel dizionario Latino-Italiano o Latino-Inglese ha svariati riferimenti a gruppi di persone legati da vincoli di causa, ossia amicizia, politica, armi etc., la mia posizione è quella che le persone che i Germani hanno visto cadere siano stati i loro compagni d'arme e non i familiari.



Tuesday, July 31, 2018

Caesar and the Jews

From the article "Julius Caesar and the Jews"
https://www.jewishhistory.org/julius-caesar-and-the-jews/
"
In 49 BCE, Julius Caesar was pursuing Pompey all the way to Egypt.
"Once there, he committed a rare tactical blunder and found himself besieged in Alexandria by Pompey’s army and its allies. Sorely in need of friends, he looked for any help that would extricate him from his dangerous situation. 
Until that time, Hyrcanus had been an official ally of Pompey. However, he shrewdly switched sides and declared his allegiance to Caesar. He then committed over 3,000 Jewish soldiers to an expeditionary force that invaded Egypt and helped raise the siege of Alexandria.
Thus, when the Roman civil war ended in Julius Caesar’s complete victory Hyrcanus was in a fortuitous position. Indeed, Caesar showed the Jews his gratitude for their help. He revoked the harsh decrees and burdensome taxation imposed by Pompey. He also allowed the walls and fortifications of Jerusalem to be rebuilt and restored Jaffa as well as a number of other coastal cities to Jewish rule." 
The assassination of Caesar in 44 BCE worried the Jews: "Would his successor be as positively disposed toward them? Tragically, that eventual successor, Marc Antony, gave power to a man whose rule was as antithetical to Jewish principles and ideals as imaginable."
The man was Herod, the murder of his sons.